LA VIOLENZA SULLE DONNE.Appunti di tirocinio col Centro Italiano Sviluppo Psicologia.Programma
radio del 1 Dicembre 2011.
Nella
prima parte del programma abbiamo trattato il fenomeno della violenza
sulle donne e come sia connotata da un ciclo ripetuto. Nella seconda
parte abbiamo visto come sia possibile conoscerlo più nel dettaglio,
trasformare questi episodi e cercare infine di prevenirli. 1)
fase
della tensione: la violenza inizia a nascere e si intravede in alcuni
momenti di vita quotidiana attraverso indicatori di conflitto; 2)
fase
dell’aggressione: quando di verifica l’azione vera e propria
(violenza psicologica, fisica, sessuale) 3)
fase
della calma o remissione della colpa: l’aggressore chiede scusa alla
vittima per mantenerla più legata a lui attraverso comportamenti
protettivi che rinforzano la dipendenza affettiva nei suoi confronti. A
fronte della diffusione di questi fenomeni è sembrato utile e
stimolante toccare l’aspetto della prevenzione. Infatti, “Conoscere per trasformare e prevenire” costituisce oggi una
linea unitaria per promuovere e sviluppare l’interesse del mondo
sanitario e per coinvolgere sempre più ampiamente il mondo medico e le
sue associazioni. La
prima tappa, la conoscenza: -
conoscere l'estensione del fenomeno, sapere che una donna su
quattro nell'arco della vita subisce violenza e che una donna su dieci
subisce violenza nell'ultimo anno di vita; -
conoscere il collegamento della violenza con i processi di formazione
delle patologie. Ricerche in questa direzione sono state condotte a
partire dalle donne che hanno subito violenza; scarse ancora sono le
ricerche sulle patologie in donne che non hanno denunciato fatti di
violenza. Ciò significa che il mondo medico non ha ancora mosso i
propri passi in autonomia provvedendo a svolgere una indagine eziologica
a tutto campo sulle patologie a più alto impatto tra la popolazione
femminile, come ad esempio le patologie psichiche, quelle
cardiovascolari e da stress. La
seconda tappa, la trasformazione: -
trasformare l'attività diagnostica. Ciò deve significare
inserire nelle pratiche cliniche la violenza come probabile co-fattore
di rischio; significa guardare al processo patologico non solo come un
dato autonomo del bios ma anche come possibile conseguenza e
prodotto di azioni esterne come la violenza in tutti i suoi aspetti, da
quella fisica a quella psicologica. La
terza tappa, la prevenzione: -
la violenza denunciata spontaneamente dalla donna è la minima parte di
un fenomeno molto più ampio e sommerso. La donna non conosce gli
effetti della violenza sulla salute, non sa che tollerare la violenza ha
costi elevati sull'equilibrio psico-fisico: informare la donna diviene allora il compito principale di ogni servizio
sanitario che ha tra la sua utenza prevalente le donne. L'informazione
deve riguardare sia il rapporto violenza - malattia sia i luoghi
specifici (Servizi, Centri antiviolenza, ecc.) dove la donna può
discutere i suoi problemi e darvi opportuni inquadramenti prima che essi
si trasformino in percorsi di malattia. Conseguentemente con tutto quanto detto finora, le azioni prioritarie, preventive ed assistenziali contro la violenza di genere, devono essere indirizzate alla protezione e alla difesa di autonomia, di dignità e di potere delle donne perché possano vivere in pace, in giustizia ed in uguaglianza.Credere che il problema della violenza è esclusivamente delle donne è illusorio perché la violenza non è un problema “delle” ma un problema “per” le donne, essendo in realtà, e fondamentalmente, un problema “della” cultura maschile patriarcale e, quindi, “degli” uomini. Sono le norme di questa cultura quelle che propiziano e tollerano la violenza, e sono loro, gli uomini, a portarla avanti in diversi modi e in diversi ambiti.In effetti, non si possono escludere, per combattere la violenza, le strategie che mirano alla trasformazione delle norme e delle istituzioni sociali e culturali, ma non possono nemmeno essere esclusi da queste strategie gli uomini, in quanto sono quelli che producono in maggior parte il problema negli ambiti privati e pubblici. Includere loro suppone, non solo che rendano conto alla giustizia dei loro atti, ma pensare alla violenza maschile come oggetto possibile di ricerca e prevenzione, e ai maschi che la esercitano come soggetti possibili di assistenza e di rieducazione. Includerli significa, contemporaneamente, impegnare tutti gli uomini a rompere il silenzio complice e a collaborare attivamente nella lotta contro la violenza.Attualmente questa posizione di inclusione degli uomini nelle strategie contro la violenza si sta portando avanti in diversi paesi attraverso diverse azioni. Suddette attuazioni implicano da una parte, azioni sociopolitiche generali, e dall’altra, azioni concrete con gli uomini. Queste attuazioni mirano a: ·
condannare la violenza di genere in tutte le sue forme; · mettere in questione la violenza come via valida nella risoluzione dei conflitti tra le persone; · mettere in discussione e trasformare le strutture di potere e i privilegi maschili/patriarcali –fondamentalmente il sessismo e il maschilismo- in cui la violenza è radicata. Il femminismo e la cultura della pace sono due pilastri che devono sostenere questa attuazione, ai fini di sviluppare strategie di convivenza paritaria e rispettosa tra uomini e donne; ·
fare impegnare gli uomini a lavorare insieme alle donne
nella lotta contro tutte le forme di
violenza sociale, sessuale e domestica contro di esse; · sviluppare strategie assistenziali e rieducative per i maschi che commettono violenza, e per quelli a rischio di commetterla o di accrescerla, procurando la sua detenzione precoce; ·
generare attività educative, preventive e di
sensibilizzazione indirizzate ai maschi, -bambini giovani e adulti-
che permettano loro di inserirsi nella trasformazione della violenza
maschile e nello sviluppo di condotte rispettose e di attenzione.
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