LA
COMUNITA' PSICOTERAPEUTICA RESIDENZIALE E IL SUO CAMPO MENTALE
di LUIGI D’ELIA
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sana, viva e creativa, una mente-ambiente che
costituisca una gestalt sovraordinata, una rappresentazione
“trascendente” capace di operare i processi trasformativi e di
neo-significazione procedendo dalla “cronaca” dei fatti, delle
azioni di tutti i giorni, fino alla “nuova storia” degli individui e
del gruppo nel suo insieme. Se in una CT si attiva un pensiero condiviso
ed un comune linguaggio nell’équipe, se cioè si promuove una
“cultura di gruppo” che sia orientata da questa trans-scena che a
sua volta rappresenta una mente sana, viva e creativa, il quotidiano
confronto di ogni operatore con la sconfinata apatia o con la noia degli
ospiti, o con il loro fatalismo o impotenza, o ancora, con la loro
oppositività, il loro negativismo, la loro paura e violenza, la loro
fragilità, ebbene, tale quotidiano confronto potrà essere alla pari e
talvolta vincente, e l’operatore non si sentirà perciò mai solo:
ogni sua attività, seppure la più umile e semplice, diventa un
tassello di un mosaico, di paziente co-costruzione di un quadro più
integrato e organico; e ciò che avviene al di fuori dell’ospite di
CT, nell’ambiente umano e non umano che in quel momento lo contiene e
lo nutre, ma anche nell’ambiente “microculturale” costituito dalla
CT, potrà diventare il suo nuovo “cibo per la mente” di cui lui
potrà appropriarsi (Searles, 1965). La “teoria della mente”
d’ispirazione comunitaria si costruisce come tentativo di risposta al
problema della psicosi osservata però dall’osservatorio privilegiato
rappresentato dal quotidiano e dalla sua matrice terapeutica:
l’ampliamento dello spettro osservativo ci pone, come osservatori, in
condizioni analoghe a quelle dei contemporanei di Galileo allorché,
ponendo l’occhio sul telescopio, continuavano ad osservare ciò che già
supponevano di conoscere. È senz’altro possibile affermare che la
principale e più evidente differenza tra la situazione della CT e ogni
altra risieda proprio nello strumento osservativo che la residenzialità
costituisce per i curanti: la quotidiana e compartecipata frequentazione
della psicosi ci costringe a rapide ed impensate integrazioni, a brusche
revisioni, proprio perché ciò che è sotto i nostri occhi è l’
“agito della mente”, presente nell’hic et nunc in tutte le sue
possibili topografie e dimensioni. È per questo che, nella quotidiana
prassi di una CT, l’équipe è costantemente sottoposta a
sollecitazioni “psicotizzanti” che ripropongono al suo interno gli
insanabili conflitti di cui sono portatori gli ospiti residenti:
partendo da questo isomorfismo, ha inizio la terapia.
AREE MENTALI E LIVELLI FUNZIONALI: UNA GRIGLIA OSSERVATIVA
Nella nostra esplorazione del setting di CT, abbiamo riportato
l’esigenza, per questo tipo d’intervento, di fare riferimento alla
globalità e alla gruppalità della situazione comunitaria come
requisito essenziale del funzionamento della CT. Questo non significa
immaginare la CT come un blocco monolitico che, come una struttura
rigida, si muove tutta insieme e senza mediazioni: la globalità e la
gruppalità che attengono al setting sono ascrivibili alla
rappresentazione mentale dell’équipe e dei pazienti di una delle
dimensione sistemiche della CT, quella che riguarda la CT come
macro-sistema, che ha a che fare con il concetto di totalità come
espressione del Sé. Possiamo immaginare questa totalità
macro-sistemica come una delle possibili metafore della mente umana. Non
si presume qui certo di esaurire il concetto di mente umana iscrivendolo
forzosamente all’interno di un contesto ristretto come quello di
Comunità Terapeutica, ma s’intende invece descrivere la Comunità
Terapeutica come una mente umana. Questo ci consente di visualizzare il
passaggio che avviene in CT tra ogni “area mentale” e la sua
“declinazione funzionale” all’interno della sua organizzazione.
Le aree mentali
Una CT che funziona come una mente sana, viva e creativa, è una CT che
è innanzitutto in contatto con il senso del limite: il limite del
sistema che non è in grado compiutamente d’indagare se stesso; il
limite di una “storia”, unica e irripetibile (quella di ogni CT e
del suo gruppo fondatore), che tende “fisiologicamente” a conservare
la propria identità personale. Accanto a questi limiti “a monte”,
ve ne sono innumerevoli altri relativi ai concetti stessi di “cura”
e di “guarigione”, ma anche, più banalmente, i limiti personali
degli individui e delle loro possibilità, i limiti economici che
talvolta sono decisivi nelle (non) scelte terapeutiche delle CT, i
limiti della socio-cultura di appartenenza in cui si muove ogni CT.
Posti i vincoli, è possibile esplorare le possibilità. Se consideriamo
la mente come la coesistenza di aspetti antinomici, dovremo sforzarci di
pensarla contemporaneamente come unitaria e molteplice (ma anche conscia
e inconscia, femminile e maschile, digitale e analogica). L’assetto
comunitario si pone isomorficamente in corrispondenza dialogica con la
co-presenza degli aspetti antinomici e pluralistici della mente,
consentendo una dialettica trasformativa e feconda tra di essi e, nello
specifico, tra gli aspetti della patologia e gli aspetti della salute
mentale. Il dialogo tra le parti può rappresentarsi di volta in volta
su scenari sempre diversi, e allo stesso tempo su tutti gli scenari.
L’organizzazione di una CT deve poter consentire flessibilmente la
rappresentazione sui molteplici scenari (in tal senso, l’approccio
comunitario alla gravità è un approccio eminentemente di contesto, sul
contesto, attraverso il contesto). Esistono dunque differenti aree della
mente rappresentabili secondo una disposizione circolare e sincronica,
ma anche allo stesso tempo lineare e diacronica:
· un’area duale (l’area della relazione primaria);
· un’area di piccolo gruppo (l’area delle relazioni più prossime:
famiglia reale o fantasmatica);
· un’area di gruppo allargato o mediano (l’area dell’appartenenza
“microculturale”);
· un’area sociale (l’area dell’appartenenza “macroculturale”-metacontestuale-antropologica).
Con questo schema non s’intende presentare un modello d’intervento,
quanto piuttosto, e più semplicemente, una delle tante possibili
griglie osservative. Se consideriamo l’assetto patologico come una
condizione pervasiva che investe, in modo e misura differenti, tutti i
livelli di funzionalità, da quello duale fino a quello sociale,
l’ambiente di CT si costituirà come “contesto riabilitativo” ad
ampio raggio contemplando interventi mirati sulle singole aree mentali e
un intervento integrato sull’insieme delle aree mentali, a seconda dei
bisogni e dei profili di ciascun paziente. Ogni area mentale deve poter
trovare, all’interno dell’organizzazione di CT, un suo campo di
significazione ben preciso, una sua “zona franca” ove sia possibile
declinare la specifica dinamica relativa al funzionamento di ogni
specifica area: ogni area avrà dunque un luogo, previsto
organizzativamente, dove poter registrare, leggere, pensare e
restituire. Secondo la loro rappresantibilità circolare, ogni area è
transizionale rispetto a tutte le altre; secondo la loro
rappresentabilità lineare, vi è un vettore evolutivo che procede dal
livello duale a quello sociale. La CT “funziona” soprattutto nel
primo modo: opera cioé sulla transizionalità circolare delle aree
mentali; ma la CT opera anche, linearmente, come istanza di
differenziazione. Non è pensabile, sulla base di quanto andiamo
affermando, un lavoro di CT che non prenda in considerazione la globalità
della situazione comunitaria come principio cardine del setting di CT:
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