L’ENIGMA DELL’IDENTITA’: IL FENOMENO DEL TRANSESSUALISMO Roberta De Bellis
“Ho incontrato Stefania il giorno 20 Settembre alle ore 16,30 presso l’Associazione “Libellula 2000” (un’ Associazione di transessuali che ha sede nella città di Roma). Grazie alla sua disponibilità sono riuscita ad entrare nel suo mondo complesso e articolato. Mi offre un caffè e iniziamo l’intervista”. Stefania si definisce appartenente a quella categoria di persone chiamate “transessuali”. Ma chi sono questi individui e cosa effettivamente è il fenomeno del transessualismo, ormai al giorno d’oggi così diffuso, ma al tempo stesso denso di mistero e poca chiarezza? Storicamente nel 1949 D.O. Cauldwell, noto giornalista americano, coniò per primo il termine “transessuale” o più specificatamente “psychopatia transsexualis” senza attribuire alcuna connotazione psichiatrica, enucleando piuttosto un quadro clinico all’interno dei disturbi relativi all’identità sessuale. Fino al 1950 la popolazione, compresi i transessuali stessi non riusciva a connotare in nessun modo il fenomeno. Il termine fu poi reso noto dal dott. Harry Benjamin, in un articolo pubblicato sulla rivista americana “International Journal of Sexology”. La prima “conversione di sesso” è stata compiuta in Danimarca da un uomo americano, George Jorgensen, il quale affetto da una grave disforia di genere, decise di sottoporsi ad un intervento di RCS (Ricostruzione Chirurgica del Sesso), divenendo Cristine. Il transessualismo infatti si colloca nell’ambito dei “disturbi d’identità di genere”, che esordiscono nella fanciullezza e si manifestano con un disgusto per i propri caratteri sessuali distintivi ed un’inaccettazione della propria collocazione di genere.Questo ha portato, però ad un riduttivismo del fenomeno poiché si tendeva a porre in rilievo solo la componente biologica, credendo che la RCS esaurisse e risolvesse il problema, trascurando gli aspetti psicologici che sono alla base: ci sono infatti persone che scelgono di vivere il ruolo dell’altro sesso in cui s’identificano, senza necessariamente sottoporsi ad una modificazione chirurgica dell’apparato genitale.La “sindrome transessuale” definisce oggi la convinzione precoce, permanente e irreversibile di appartenere al sesso opposto in un soggetto del tutto normale da un punto di vista cromosomico, ormonale e somatico. Per molto tempo i dubbi e gli interrogativi hanno riguardato i fattori eziopatogenetici del fenomeno, i criteri diagnostici e le strategie terapeutiche idonee al trattamento di un soggetto transessuale. In questi ultimi anni l’aumento della domanda espressa, la crescita nella popolazione di problemi relativi all’identità, al ruolo e alla meta sessuale e il vertiginoso sviluppo della genetica, delle neuroscienze, in particolare della psicoendocrinologia e gli ulteriori contributi della ricerca psicologica hanno consentito di formulare ipotesi eziopatogenetiche, aprendo orizzonti interpretativi del tutto nuovi.Sebbene molti soggetti con problemi d’identità di genere vogliano sottoporsi ad un cambiamento chirurgico del sesso, si ritiene che la diagnosi debba evidenziare con certezza un orientamento nell’altro sesso fin dai primi anni di vita, un’incapacità di vivere nel sesso biologico di assegnazione e il coraggio di entrare nella società come membro del sesso opposto.Oggi il transessualismo gode di un inquadramento nosografico ben preciso nell’ambito del DSM ed è considerato una sindrome specifica. Le condizioni in base alle quali un soggetto può definirsi transessuale sono un senso di disagio e estranietà rispetto al proprio sesso anatomico, un desiderio di liberarsi dai propri genitali e vivere come membro del sesso opposto, una continuità del disturbo per almeno due anni, l’esclusione di un altro disturbo mentale concomitante.Allo stato attuale è possibile affermare che il transessualismo è un disordine della differenziazione psicosessuale e indipendentemente dalla sua eziologia è una modificazione di tipo psicologico, le cui radici affondano in un’iniziale dissociazione tra soma e psiche. L’intervento di RCS è quindi essenzialmente una terapia migliorativa in quanto riduce la dissonanza cognitiva tra la consapevolezza della morfologia somatica e la percezione dell’identità intrapsichica.E’ un disturbo che va accuratamente distinto dalle altre disforie di genere proprio per la precocità d’insorgenza. Il transessuale vive sin dall’infanzia la sensazione di “diversità”, ma si spera in un cambiamento legato alla crescita. La pubertà è il momento della verità in cui possono o confermarsi le sensazioni iniziali di “diversità” che il soggetto ha vissuto oppure smentirsi. Il periodo puberale è considerato il più tragico poiché il soggetto vive in maniera angosciante e nascosta questo suo “segreto”, fino a sfociare molto spesso in crisi depressive e paranoia vera e propria. L’esplosione in pubertà esaspera non solo il bisogno di vivere ma anche di dimostrare l’appartenenza all’altro sesso.Le cause psicologiche del fenomeno transessuale al giorno d’oggi ricevono forte attenzione ed anche maggiori adesioni rispetto alle cosiddette “cause organiche”. Si è attribuita particolare rilevanza al rapporto madre-figlio e alle possibili conseguenze da un punto di vista della strutturazione dell’identità sessuale. Nell’anamnesi del transessuale maschio, per esempio, si asserisce che “tanto più lunga e intima è la simbiosi tra madre e figio, maggiore è la probabilità che quest’ultimo venga femminilizzato e l’effetto persisterà se il padre del ragazzo non è in grado qualitativamente e quantitativamente di interrompere questa fusione”.Anche nel caso di transessualismo femminile il nucleo primario è nel rapporto con la figura materna. La madre della transessuale femmina, nella maggior parte dei casi è una donna anaffettiva, fredda, rifiutante; questo atteggiamento porta la figlia a fuggire dalla figura materna e dalla sua femminilità, non riuscendo quindi ad identificarsi in essa.Sono stati condotti molti studi sull’argomento e numerosi sviluppi in campo scientifico sono avvenuti, nonostante ciò la società appare ancora abbastanza intollerante nei confronti delle persone appartenenti a questa categoria. Questo perchè i mass-media hanno offerto un’immagine teatrale e bizzarra dell’essere transessuale, creando confusione tra chi realmente è affetto da disforia di genere e chi sceglie per lavoro, per gioco di “travestirsi” a fare l’uomo o la donna pur appartenendo al sesso opposto. Platinette (noto travestito bolognese), che ormai calca le scene del “Maurizio Costanzo Show”, ne è un esempio. Il travestitismo è un altro fenomeno e per lungo tempo è stato confuso con il transessualismo proprio per la predisposizione dei transessualipersone ad “abbigliarsi” come se facessero parte dell’altro sesso. La differenza sta nella genesi del “conflitto” che in quest’ultimo caso è con la società e con la legge, nel caso del transessualismo si aggiunge e prevale un conflitto di origine interiore del soggetto che vive in un stato di sofferenza acuta a stare nel sesso biologico di appartenenza. Probabilmente il transessuale “vero” che decide di “esibirsi” in maniera così estrema è un opzione in più che si crea per affermare un proprio status sociale che gli viene continuamente contrastato dalla società. Appare quasi un paradosso questo, dato che in Italia la legge 164 del 14 Aprile 1982, “riconosce la condizione delle persone transessuali e legittima la loro aspirazione ad appartenere al sesso opposto”, autorizzando quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali con una sentenza del Tribunale.Nonostante ciò i transessuali non sono ben visti dall’opinione pubblica, essi sono considerati come qualcosa che va contro natura, né uomini né donne bensì un “terzo sesso” addirittura. Tale rifiuto ha portato queste persone ad unirsi collettivamente cominciando a dare forma a numerose associazioni che oggi in Italia rappresentano un numero considerevole. Conseguentemente a ciò c’è stato qualche miglioramento della condizione del soggetto transessuale che si sente più tutelato e “accudito” dalle strutture territoriali. Ma il percorso vero e proprio non si esaurisce con il consenso ad una RCS, il lavoro è molto più delicato; è necessario seguire un lungo e complesso excursus clinico prima di giungere ad una modificazione chirurgica, qualora si decidesse di sottoporsi all’intervento. Il problema relativo alle disforie di genere, comprende una serie di perturbazioni profonde e arcaiche dell’identità che insorgono nelle fasi iniziali dello sviluppo psicosessuale. Esse costituiscono un gruppo eterogeneo di problemi con differenti implicazioni esistenziali, relazionali e sociali. Le cause di questo sovvertimento dell’identità sono ancora ipotetiche. La Riattribuzione Chirurgica del Sesso appare la soluzione migliore solo per quei soggetti che si autodefiniscono transessuali dopo un lungo percorso di crescita angosciante e turbolenta. Nei bambini e negli adolescenti che cominciano a vivere un dubbio sulla loro identità di genere sarebbe opportuno indagare sui primi sintomi considerando la concomitanza di fattori biologici e psicologici, evitando l’uso di “etichette” penalizzanti, offrendo un sostegno psicoterapeutico qualificato. Questo tipo di intervento permetterebbe certamente non la rimozione del problema bensì la possibilità di riequilibrare la percezione dell’identità di genere, consentendo un’attenuazione della disforia. Ciò comporterebbe il recupero e l’espressione delle potenzialità insite nell’identità evitando di ricorrere necessariamente ai dolorossissimi aggiustamenti fisici, psicologici e sociali, impliciti nell’RCS.
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