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L’Aiuto Psicologico Nelle Situazioni di Crisi

A cura della Dott.ssa Laura Messina

 

La vita degli uomini è costellata di crisi: mutamenti negativi, più o meno improvvisi, delle condizioni esistenziali. Tali crisi vengono unanimemente distinte in due principali categorie: le crisi evolutive e le crisi accidentali.

Le crisi evolutive riguardano la vita di tutti, sono parzialmente prevedibili e si osservano soprattutto in corrispondenza delle cosiddette situazioni di passaggio, dall'infanzia all'adolescenza ad esempio. Le crisi accidentali sono parzialmente imprevedibili, sebbene possano anch’esse riguardare la vita di tutti, e si osservano in corrispondenza di eventi che interrompono il normale corso dell'esistenza: una malattia fisica o psichica, una violenza, la morte di una persona cara…

Tutte le situazioni di crisi possono avere un andamento “fisiologico”, cioè essere crisi acute che vengono superate con le risorse biologiche, personali, sociali e spirituali a disposizione di chi le subisce oppure con le risorse professionali e di solidarietà dell'ambiente sociale in cui si vive, o un andamento “patologico”, cioè essere crisi croniche che molteplici fattori possono ritardare o bloccare nella loro risoluzione.

In generale, una crisi non si risolve spontaneamente quando le risorse principali della persona in crisi non sono sufficienti a fargli fare le scelte necessarie a superare la vulnerabilità che la crisi ha messo a nudo, e ad operare così quei cambiamenti positivi che potrebbero compensare i cambiamenti negativi derivanti dalla crisi.

I quadri sintomatologici di una crisi sono vari e polimorfi. Al di là delle sindromi studiate dalla psicologia, dalla psichiatria e dalla neuropsicologia e dei nomi che psicologi e psichiatri danno a queste sindromi, si può dire che chi vive una situazione di crisi si sente quasi sempre in uno stato di vulnerabilità, di invivibilità o di perdita di senso dell'esistenza.

Superare una crisi significa in generale fare le scelte necessarie a riavviare la vita ritardata o bloccata dai cambiamenti negativi che la crisi ha determinato. Uscire da una crisi ritardata o bloccata significa, in altri termini, rivivere, non sentendosi più in quello stato di vulnerabilità, di invivibilità o di non senso dell'esistenza.

Un aiuto efficace per rivivere dopo una crisi consiste nell'intervenire sui quadri psicopatologici o sugli stati d'animo di vulnerabilità, di invivibilità e di non senso della vita, integrando le insufficienti risorse biologiche, personali, sociali o domande delle persone in crisi in modo che possano crescere quel tanto che è loro necessario per integrare nella loro vita i cambiamenti che la crisi vi ha apportato.

Una crisi può rendere la vita per un tempo breve (crisi acute) o lungo (crisi croniche) più vulnerabile, più invivibile e meno fornita di senso. Nelle descrizioni più tecniche si dice schematicamente che:

  • Una crisi acuta dapprima provoca uno stato di shock più o meno grave e intenso. Seguono una negazione dell'accaduto; una certa incredulità; uno stato di sconvolgimento, di confusione e di disperazione finché, col tempo e con l'aiuto giusto, la situazione tende a normalizzarsi;

  • Una crisi cronica può essere caratterizzata: o da un blocco nella fase acuta, o da un blocco nella fase di normalizzazione;

  • La normalizzazione che segue la crisi acuta viene descritta psicologicamente come un lavoro del lutto, le cui fasi principali sono: la presa d'atto del mutamento negativo che ha provocato la crisi (che conclude la fase acuta), la fase della rabbia (che ha come risvolto comportamentale l'aggressività) e della colpa (che ha come sintomo la depressione), la fase della ristrutturazione del campo di vita che consiste in una riorganizzazione dell'esistenza tenendo conto del cambiamento avvenuto;

  • La crisi si risolve spontaneamente se il lavoro del lutto non ha intoppi, non si risolve o è complicata quando il processo del lutto si blocca in una delle sue fasi.

Tutti sono più o meno d'accordo con le affermazioni generali sulla crisi fatte fin qui, ma se ci si chiede cosa si intende per “normale svolgimento” della vita le cose si complicano. Infatti, al mutare delle antropologie, cioè delle concezioni dell'uomo, mutano le concezioni degli scopi della vita e quindi della normalità dell'esistere che sui suoi scopi si basa.

L'antropologia si esprime in ciascun individuo attraverso il suo modo di dire “Io”. Questo processo, che si chiama identificazione, indica in ogni fase della vita quale concezione dell'uomo sta prevalendo nel soggetto. Ci si può quindi:

  1. Identificare come esseri biologici e dire “Io” volendo dire che l'oggettività biologica è al centro del proprio essere, e che “persona” e “umanità” sono determinati dal patrimonio genetico;

  2. Identificare come esseri personali e dire “Io” volendo dire che la soggettività interiore è al centro del proprio essere, e che “biologia” e “umanità” sono determinati dalle dinamiche interiori proprie ed esclusive di una soggettività e di una biografia;

  3. Identificare come esseri umani e dire “Io” volendo dire che il “presentarsi” all'altro è al centro del proprio essere, e che “biologia” e “persona” sono effetti del modo di rispondere all'altro che ti chiama.

A seconda di come ci si identifica cambiano gli scopi della vita e quindi le concezioni di ciò che significa “normale svolgimento” di essa.

Scopi fondamentali dell'essere biologico sono la sopravvivenza e il benessere, realizzati attraverso l'adattamento nell'ambiente. Per chi si identifica come “essere biologico” la vita si svolge quindi normalmente finché c'è un buon adattamento nell'ambiente. I mutamenti che mettono in crisi saranno, in quest'ottica, fenomeni biologici di disadattamento nell'ambiente, e i processi di normalizzazione processi biologici di riadattamento nell'ambiente.

Scopi fondamentali dell'essere personale sono la “realizzazione” e il “riconoscimento” del “sé personale” come unico e irripetibile, che si esprimono nella tensione a trovare nell'interiorità il benessere. La vita di chi si identifica come essere personale ha uno svolgimento normale finché è possibile perseguire il benessere interiore, cioè la conferma di essere “se stessi” e di essere riconosciuti come unici dalla realtà e dagli altri. Le crisi saranno, in questa ottica, fenomeni di malessere interiore e i processi di normalizzazione processi interiori tendenti al ristabilimento del benessere soggettivo.

Scopi fondamentali dell'essere umano sono l'essere “con” e “per” gli altri. Nell'identificazione umana quindi la vita si svolge normalmente finché non si è soli e si può perseguire la costruzione di una comunione con gli altri, vivendo con loro e per loro. Di conseguenza, le crisi per chi si identifica come essere umano saranno fenomeni di rottura della “socialità”, e i processi di normalizzazione saranno processi di risocializzazione tendenti a riportare nella vita la “presenza” degli altri.

 

Superare Le crisi

La minaccia di perdere ciò che si è posto al centro della propria vita è alla base del senso di vulnerabilità di chi è in crisi.

Come già detto, superare una crisi può essere considerato un rivivere perché le minacce di perdita e le perdite determinate dalla crisi a un certo momento si “recuperano”: nella vita biologica riaffiorano il senso di sopravvivenza e il benessere, nella vita personale si riacquista il controllo di sé e il senso di appartenenza se stessi, nella vita umana si sperimenta il contatto con gli altri e ci si sente appartenere nuovamente alla comunità degli esseri umani.

Va da sé che il lavoro psicologico della normalizzazione di una crisi sarà quindi diverso a seconda che si tratti di normalizzare, rispettivamente, la crisi di un essere biologico, la crisi di un essere personale o la crisi di un essere umano.

All'essere biologico la vita è data in uso ed egli sente di voler sopravvivere più lungo possibile per poterla godere. Così, non appena appare una qualche minaccia di perderla o ne perde una parte, l'essere biologico tratta ciò che ha perso come un mezzo da riparare o da sostituire. Ecco perché di fronte ad una crisi l'essere biologico non spegne i suoi istinti che lo portano verso il benessere e la sopravvivenza ma ha bisogno di ricorrere alla ragione per escogitare strategie che gli consentano di superare la crisi, cioè di difendere le parti di sé minacciate e di riparare o sostituire le parti di sé perdute. Pertanto per l'essere biologico il lavoro del lutto è un lavoro cognitivo di elaborazione della situazione esterna (le forze in campo nell'ambiente) e della situazione interna (le risorse della sua mente) che possa portare a quelle scelte che ristabiliscano l'adattamento perduto, fugando le minacce e riparando o sostituendo le parti di sé perdute.

L'essere personale dà valore alla vita in quanto essa è la “sua” vita, e la vive bene quando sente di poterla dirigere secondo le sue scelte più personali, cioè identificandola con sé stesso. Stando così le cose, quando nelle situazioni di crisi qualcosa la minaccia o ne fa perdere una parte, l'essere personale mette in atto quelli che la psicoanalisi ha chiamato meccanismi di difesa dell'io e interiorizza ciò che ha perso cercando di farlo rivivere dentro di sé come un oggetto interno. Il lavoro del lutto qui tende, più che a riparare o a sostituire le parti di sé perdute, a farne degli oggetti interni buoni che vivono dentro di sé arricchendo l'io.

L'essere umano ha una buona vita se e finché è presente il processo di “armonizzazione” con la vita degli altri. Egli quindi si lega alla sua vita attraverso la vita degli altri, dato che la sua sopravvivenza e il suo benessere dipendono dall'accoglienza degli altri ai suoi bisogni biologici, e dato che il suo “essere se stesso” dipende essenzialmente dalle situazioni in cui l'altro gli comunica che solo lui può svolgere per l'altro un certo ruolo. Si tratta in questo caso di un legame di approssimazione: più l'altro risponde ai miei bisogni biologici e più mi avvicino al benessere e alla sopravvivenza; più l'altro mi chiede di aiutarlo a soddisfare i suoi bisogni biologici e personali senza potermi far sostituire e più mi avvicino a me stesso. Ecco perché quando l'essere umano va in crisi si allontana dalla sua vita: perché perde gli altri. Ed ecco perché il lavoro del lutto dell'essere umano in crisi consiste nel tentare di rientrare in contatto con gli altri, nel riattivare il desiderio di chiedere aiuto agli altri, di rispondere all'appello di aiuto di altri.

Non è, tuttavia, sempre possibile superare una crisi con le risorse esclusive di una particolare identificazione: la crisi di un essere biologico può diventare irreversibile e portare anche ad un “desiderio di morire”, oppure si può ricevere un aiuto che consente di mettere in discussione l'identificazione stessa ed aprirsi ad una nuova identificazione. La crisi diventa allora, anche se è cominciata con una crisi accidentale, una “crisi di crescita”, e può essere risolta facendo appello alle risorse delle nuove identificazioni a cui l'essere in crisi ha avuto accesso grazie all'aiuto ricevuto.

Abbiamo in tal modo stabilito un nesso tra le crisi accidentali e le crisi della crescita: le crisi accidentali diventano simili alle crisi di crescita che si osservano nelle fasi di passaggio da una fase all'altra dell'esistenza, quando all'interno di ciascuna identificazione non ci sono le risorse sufficienti per risolvere la crisi.

Questo nesso fa capire come sia possibile situare le tre identificazioni principali dell'uomo (biologica, personale e umana) lungo un continuum di sviluppo, cosa che fornisce a chi ha una funzione di aiuto nelle situazioni di crisi una possibilità in più quando esse sembrano irrisolvibili: cercare di superarle, favorendo il loro trasformarsi in crisi di crescita e potendo così trovare risorse: personali e umane quando quelle biologiche non bastano, umane quando quelle personali non bastano, trascendentali quando quelle umane non bastano.

 

Gli Approcci di Aiuto nelle Situazioni di Crisi

L'aiuto di cui si ha bisogno in una situazione di crisi può essere concepito come un aiuto rivolto all'individuo o come un aiuto rivolto alla società.

Esempi di aiuto rivolto all'individuo sono quelli che si indirizzano a coloro che hanno subito un trauma, come quelli effettuati dalle unità di crisi delle compagnie aeree, in grado di prendere in carico i sopravvissuti di un incidente aereo; dai servizi psichiatrici presenti nei pronto soccorso preparati per far fronte alle crisi acute dei malati e del personale; dai cosiddetti rape crisis center, organizzati ad hoc per aiutare individualmente le donne che hanno subito uno stupro; dalle walk-in clinics, servizi di emergenza ai quali si può ricorrere senza appuntamento, ad esempio, se si è sul punto sui di suicidarsi; dai servizi psichiatrici o neuropsichiatrici delle organizzazioni di soccorso.

Esempi di aiuto rivolto alla società sono invece quelli di risposta alle conseguenze sociali e familiari di una situazione di crisi individuale: l'opera culturale di studio e di recupero dei rituali funebri in grado di indicare all'individuo come comportarsi in caso di lutto; l'opera di diffusione di una cultura dell'emergenza che tenga conto anche degli aspetti psicologici e non solo di quelli di mero “pronto soccorso”; l'opera di sostegno volontaristico di molti gruppi di solidarietà alle famiglie; l'opera assistenziale di molte organizzazioni di volontariato e di molte istituzioni sanitarie rivolta alle famiglie in crisi nell'ambito dell'assistenza domiciliare; l'opera assistenziale rivolta specificamente alle famiglie in crisi per una psicopatologia della famiglia stessa; l'aiuto psicologico alle famiglie in crisi.

Esempi di aiuto specificamente psicologico tendenti a favorire una risoluzione della crisi sono: gli interventi di counselling o psicoterapeutici, volti a favorire un riadattamento o un'elaborazione più efficace nelle crisi da lutto complicato o bloccato; gli interventi di psicoterapia e di counselling nelle situazioni di crisi derivanti da una malattia grave, da un grave handicap, da un insuccesso scolastico, da un disturbo psichiatrico.

Esempi di aiuto concepito più come “pratico” che come psicologico sono: gli interventi atti a migliorare le situazioni di vita nelle persone inabili o portatrici di handicap; l'aiuto fornito dalle associazioni di cittadini che hanno vissuto una situazione di crisi e che si organizzano per dare aiuto a coloro che si troveranno in una situazione di crisi analoga.

Esempi, infine di interventi di aiuto tendente a favorire una “convivenza” con le crisi sono: tutti gli interventi di counselling o di psicoterapia che non ottengono una risoluzione della crisi, che possono di necessità trasformarsi in un aiuto psicologico per “convivere” con la crisi stessa al minor prezzo emotivo ed esistenziale possibile; i gruppi di mutuo o di auto-aiuto che non hanno come scopo la risoluzione della crisi bensì l'aiuto reciproco nella crisi, attraverso la “comunità di sentimenti e di esperienze”. Il vantaggio di questo tipo di aiuto consiste nel fatto che non c'è per attuarlo necessità di preparare degli esperti. Il limite consiste nel fatto che per quanto simile sia l'esperienza che ha messo in crisi ci possono sempre essere delle diversità notevoli tra coloro che la fanno. Di conseguenza capita che delle persone che provano a frequentare un gruppo di mutuo-aiuto restano nel gruppo solo coloro che ne condividono i sentimenti dominanti.

 

Lo Psicologo nelle Situazioni di Crisi

Se l'aiuto nelle situazioni di crisi deve essere un aiuto globale che si basa su un approccio globale, bisogna individuare una “vocazione” di aiuto coerente con questa condizione di globalità.

Che sia necessaria una vocazione all'aiuto vale per tutti i ruoli di aiuto, ma vale ancora di più per chi deve vivere in mezzo alle crisi della vita. Si tratta di una “Vocazione psicologica”. La ragione di ciò deriva dei ruoli che l'aiuto a chi è in crisi implica:

  • Chi dà aiuto nelle situazioni di crisi deve porre necessariamente al centro dell'intervento “chi” è in crisi;

  • Chi aiuta nelle crisi deve saper valutare il tipo di identificazione (biologica, personale o umana) del soggetto in crisi, il tipo di crisi che ha di fronte (crisi accidentale o crisi di crescita), e in che fase essa si trova (crisi in fase acuta, in fase di normalizzazione o in via di cronicizzazione, cioè complicata o bloccata);

  • Deve avere le competenze per comunicare con chi è in crisi;

  • Deve essere consapevole della sua “particolare identificazione” in modo da conoscere i pregiudizi che gliene derivano e le esigenze di crescita personale che può aver bisogno di soddisfare;

  • Deve saper proporre tecniche psicologiche di convivenza con la crisi o di risoluzione delle crisi coerenti con lo specifico “lavoro del lutto” di chi è in crisi;

  • Deve saper svolgere un'opera di “mediazione” tra il suo intervento psicologico sull'individuo e quelli sociali, volontaristici o pratici, soprattutto quando le sue tecniche non bastano e bisogna portare in campo risorse non direttamente disponibili al soggetto.

Risulta chiaro a questo punto perché si sostiene che la “vocazione di aiuto” debba essere psicologica: i suoi compiti fondamentali sono compiti “psicologici”. Bisogna tuttavia delineare un coerente percorso formativo di questa figura professionale.

Entrare in contatto con qualcuno che è in crisi acuta può certamente implicare un contagio emotivo, di fronte al quale la reazione difensiva più frequente è la fuga. Uno psicologo della crisi deve innanzitutto apprendere ad evitare questo contagio emotivo che gli impedirebbe di svolgere bene il suo ruolo.

Il contagio emotivo si può evitare in due modi: o sviluppando un atteggiamento di indifferenza tecnica, cioè traducendo nei termini di una pratica tecnica gli eventi di una situazione di crisi (ne è un esempio il chirurgo che resta indifferente di fronte a ciò che vede quando il suo paziente e aperto davanti ai suoi occhi, ed è questo che non gli fa tremare la mano); oppure sviluppando un atteggiamento di dis-interessamento umano rispetto alla situazione di chi è in crisi, che pone a distanza emotiva evitando il contagio, grazie all'infinita compassione per l'altro che impedisce di compatire se stessi per essere costretti a vivere l'esperienza traumatica o tragica che si sta vivendo.

Quando di fronte ad una situazione emotivamente forte ci si sente male e si compatisce più se stessi che coloro che sono in crisi significa che si è in qualche modo riferita alla crisi a se stessi facendosi coinvolgere personalmente. Si intuisce da quanto detto cosa significa formare uno psicologo della crisi ad evitare il contagio emotivo della situazione: se l'indifferenza tecnica corrisponde ad un'identificazione biologica, farsi coinvolgere ad un'identificazione personale e il dis-interessamento ad un'identificazione umana, lo psicologo della crisi deve essere aiutato a “crescere” fino ad assumere un'identificazione umana.

Un aspetto importantissimo nella formazione di tutte le professioni di aiuto è la formazione all'immedesimazione empatica utile per cogliere il tipo di identificazione dell'io di colui o di colei che si aiuta. Nelle situazioni di crisi, una buona immedesimazione empatica può far capire allo psicologo della crisi di che tipo sarà il lavoro del lutto necessario in quella particolare situazione per normalizzare la crisi o per rimuoverne gli eventuali blocchi più o meno patologici.

Esistono due forme di immedesimazione empatica: una che consiste nel cercare di capire l'altro chiedendosi cosa si farebbe e come ci si sentirebbe se si fosse al suo posto (e che corrisponde ad un'identificazione personale); un'altra, che è l'empatia propriamente detta, che consiste nel cercare di capire l'altro mettendo tra parentesi il più possibile le proprie prospettive e cercando di guardare il mondo con gli occhi dell'altro: non quindi mettendosi al suo posto ma ritirandosi sullo sfondo e facendo così emergere l'altro in primo piano. Questo secondo tipo di empatia corrisponde all'identificazione umana di chi si immedesima.

Questa modalità della conoscenza dell'altro e l'unica che può consentire di far emergere l'altro come sé stesso, cioè con la sua identificazione. Al contrario, con la prima forma di immedesimazione, io presuppongo che l'altro sia come me, cioè che abbia la mia stessa identificazione, e se non lo è (come accade quasi sempre) posso travisarlo.

Se lo psicologo della crisi non si è fatto contagiare emotivamente e si è immedesimato empaticamente in modo corretto, sarà in grado di capire quali tecniche proporre a chi è in crisi per aiutarlo. Pertanto, se lo psicologo della crisi si trova di fronte ad un'identificazione biologica dovrà favorire un lavoro del lutto di tipo cognitivo, tendente soprattutto a formulare strategie di riadattamento nell'ambiente per risolvere la crisi. Se lo psicologo della crisi si trova di fronte ad un'identificazione personale dovrà favorire un lavoro del lutto delle narrazioni interne, tendente a far vivere dentro di sé ciò che si è perso. Se lo psicologo della crisi si trova di fronte ad un'identificazione umana dovrà favorire un lavoro del lutto tendente a recuperare il desiderio degli altri.


BIBLIOGRAFIA

 

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