Comunicare Attraverso il Tatuaggio: La Funzione Biografica A
cura della Dott.ssa Laura Messina Quando
mediante il tatuaggio un individuo racconta qualcosa di sé, di ciò che
ha fatto e scelto, o racconta i propri sentimenti, allora si può dire che
il segno assolve a una funzione biografica. Il tatuaggio
con questa funzione costituiva nel passato una vera e propria forma di
scrittura, una specie di "carta d'identità": ogni tatuaggio
indicava il nome della persona, la sua età, l'appartenenza ad una tribù,
il suo status sociale, le imprese compiute. La pelle diveniva così una
sorta di documento araldico. Tali pitture non raffiguravano però solo
qualcosa di accaduto o ricordato, ma anche ciò che era auspicato e
anticipato con il pensiero. Il tatuaggio biografico era dunque insieme
commemorativo e propiziatorio [Colombo, 1997]. Così come
molti rituali descritti dagli antropologi pongono al centro il corpo e non
la parola, l'azione piuttosto che il pensiero, il tatuaggio si dona oggi
quale strumento particolarmente utile in quelli che Arnold Van Gennep
(1981) ha definito "riti di passaggio" e Victor Turner (1976)
"rituali di crisi vitale": nascita, pubertà, matrimonio, morte,
ecc. David Le Breton (2005) considera il tatuaggio come un modo per
scrivere nella carne i momenti chiave dell'esistenza attraverso un
"rito personale di passaggio". La superficie cutanea accoglie le
tracce di una relazione amorosa, di un anniversario, la nascita di un
figlio, il compimento di un progetto. "Le signe est mémoire d'un événement, du
franchissement personnel d'un passage dans l'existence dont l'individu ne
veut pas perdre le souvenir.[1] Gustavo
Pietropolli Charmet e Alessandra Marcazzan hanno realizzato nel 2000
un’indagine sul valore attribuito alla manipolazione del corpo nell’età
adolescenziale. Da parte dei
ragazzi intervistati viene a più riprese sottolineato il coincidere della
decisione di farsi un tatuaggio con un momento della crescita in cui
diviene per la prima volta possibile assumere decisioni importanti ed
autonome, formulando una rappresentazione di sé distinta da quella
dell’infanzia, ancora pesantemente condizionata dalle immagini e dalle
aspettative genitoriali. Allo stesso tempo, è altrettanto importante che
queste modificazioni dell’aspetto corporeo intervengano in una fase
ancora percepita dai ragazzi come spazio di crescita, quindi di
“trasformazione” [Pietropolli Charmet & Marcazzan, 2000]. Il tatuaggio
va così ad imprimersi in una zona profonda del sé. Il diverso spessore
simbolico che riveste per i ragazzi è reso evidente dalla maggior enfasi
attribuita al carattere definitivo del gesto. Mentre infatti nel caso del
piercing o di altre pratiche di modificazione corporale la
rappresentazione prevalente è che lo si può sempre togliere (poco
importa per gli inevitabili esiti cicatriziali), e che anzi ad una certa
età è molto probabile che verrà tolto, nelle fantasie sul tatuaggio non
compare l’idea di potere in futuro decidere di rimuoverlo
chirurgicamente. La scelta di farsi il tatuaggio è infatti percepita come
una scelta “adulta” nel senso che comporta la capacità di prevedere
le conseguenze del gesto fino ad una certa distanza nel tempo, e di
assumersene la responsabilità [ibidem].
Il
tatuaggio, proprio per il suo carattere permanente, mette in gioco un
aspetto fondamentale della dimensione intrapsichica, in particolare
durante l'età dello sviluppo: quello del tempo e del cambiamento. Il
passaggio dall'adolescenza all'età adulta comporta di per sé
l'assunzione di una diversa visione prospettica sulla vita, che costringe
a fare i conti con trasformazioni significative e in molti casi
irreversibili. Questo pone un compito importante: prima di arrivare a
quella soglia, si deve assolutamente riuscire a decidere cosa vale la pena
di conservare, e cosa può essere abbandonato; le cose vere ed importanti,
le parti di sé più vitali e feconde, e le apparenze, le scorie. Resta però
il timore che l'operazione possa non riuscire fino in fondo, e che
nell'inestimabile tesoro di esperienze vissute, degli "anni più
belli della propria vita" resti solo un ricordo annacquato e
corrotto. Ecco allora che il tatuaggio vola in soccorso dell'adolescente,
offrendo un appiglio concreto alla sua memoria [Pietropolli Charmet &
Marcazzan, 2000]. Questa
valenza "trasformativa", ovvero la capacità del tatuaggio e
delle modificazioni corporee di innescare cambiamento, riscatto,
liberazione, adultità, suggerisce l'ineluttabilità di un'ampia
riflessione anche da parte delle scienze umane e sociali: uno dei racconti
che più spesso capita di ascoltare facendo ricerca in questo ambito è
infatti quello del grande aiuto che può venire da simili interventi.
Raelyn Gallina, esperta di piercing, soprattutto femminile, racconta a
Andrea Juno in un’intervista: "Spesso,
farsi tagliare [sta parlando di tatuaggi ottenuti mediante sfregamento di
inchiostro su cutting, cioè su tagli] - l'atto di subire il taglio e di
sopravvivere alla cosa - è un'esperienza molto potente e molto
fortificante. Specie per le persone che siano state in posizioni d'abuso o
che abbiano subito un sacco di “roba” nella loro vita. Chiedere di
essere tagliati (non in un contesto violento ma in una situazione
amorevole, di supporto, di fiducia) e poi perdere del sangue e finire per
avere una cosa bella addosso... che poi si rimargina, e ce l'hai e ne vai
orgogliosa; questo può dare molta potenza. Può essere una reclamazione
(sic), una bonifica, per molte persone".[2] Ricorrere al
tatuaggio che ferisce e determina una cicatrizzazione della pelle evoca,
tra l'altro, anche un ulteriore legame: quello tra cicatrice non
rimarginata dell'anima e corrispondente cicatrice sul corpo [Castellani,
1994]. Modifiche
del corpo per amare e amarsi, per crescere, per ricordare, per cambiare se
stessi, per superare il dolore, per non invecchiare, per non morire. Per
David Le Breton, tatuaggi, piercing e altre forme di intervento sul corpo
(come pure le ferite auto-inflitte) sono "riti intimi" e forme
di "bricolage corporale" utilizzati per sfuggire l'indifferenza,
l'anonimato, per superare una crisi personale o per ridonare al sé un
senso che si è perduto [Le Breton, 2002 e 2005]. Il dolore provato
durante la marchiatura agirebbe omeopaticamente, mentre: "la marque corporelle est une manière concrète de
tourner la page",[3] e inoltre: "l'inscription sur la peau divise la vie en un avant
et un après". [4] Il
tatuaggio, quindi, non solo marca tappe della vita, ma è memento,
talismano, e per qualcuno ha valore terapeutico.
[1]
(2002).
Trad.:
Il
segno è la memoria di un evento, del personale attraversamento di un
passaggio nell'esistenza di cui l'individuo non vuole perdere la
memoria. [2] [Vale, Juno 1994 pag. 115]. [3]
(2002).
Trad.: Il marchio corporale è un
modo concreto di voltare pagina. [4]
(2002).
Trad.: La scritta sulla pelle
divide la vita in un prima e un dopo.
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