La “Cura” del Lutto A
cura della Dott.ssa Laura Messina Psicodiagnosi e
Psicoterapia del Lutto Patologico La
“cura” del lutto può essere intesa nel senso generale del
“prendersi cura” e nel senso medico di curare per guarire. Se
ci riferiamo alla prima accezione, l'assistenza delle persone in lutto
comincia col conforto e la consolazione dei parenti del
morente e con l'aiuto psicologico del morente stesso al fine di
assicurargli una “buona morte”. Questa
assistenza avrà un significato preventivo rispetto al rischio che il
processo del lutto non si svolga normalmente e conduca a patologie
psichiche che implichino un vero e proprio trattamento psicoterapeutico o
psichiatrico. La
seconda accezione del termine “cura” concerne l'intervento sulle
patologie del lutto o lutti patologici. Secondo
Beverly Raphael quando viene data la “brutta notizia” della morte le
persone sembrano reagire con un comportamento che è stato chiamato
“comportamento che suscita assistenza”. Si tratta di un comportamento
verbale e non verbale che è una specie di messaggio: «Sono stato colpito
da un dolore, sostenetemi, aiutatemi, confortatemi». Ed
è proprio di conforto della persona sembra aver bisogno nella fase acuta
(la fase iniziale del lutto) e non di essere sedata (come spesso si
crede). Il
conforto può andare dal prendere la mano della persona e farle coraggio
all'aiuto che le si può dare per capire ciò che è accaduto, prendere
commiato dalla persona cara o andare a vederne il corpo subito dopo la
morte. Segue
la fase della consolazione intesa come lo sforzo di chi assiste di
“aiutare la persona in lutto a sopportare il dolore della
separazione”. La protesta per la perdita e lo struggimento per il morto,
rappresentano proprio il tentativo di non affrontare l'angoscia della
separazione e possono essere protratti da sentimenti di rabbia e/o di
colpa. Ora chi assiste deve favorire l'esame di realtà (la morte è
avvenuta, la perdita è irreversibile) e l'espressione dei sentimenti
(rabbia, colpa, senso di abbandono, ambivalenza etc.) allo scopo di
allentare il legame con la persona morta. In
questa fase (tra le prime settimane e i tre mesi) si deve aiutare le
persone in lutto a superare la crisi sostenendola nei compiti del lutto in
questa fase. Passando
al lutto patologico, Beverly Raphael usa un ampio questionario che
mira a valutare se il lutto sta procedendo normalmente, se c'è il rischio
che non si risolva bene, se ci sono dei segni patologici. L'autrice
considera il questionario come uno strumento di valutazione in sé
terapeutico perché è costruito in modo da dare compiti che facilitano
l'espressione degli affetti del cordoglio e promuovono i processi
dell'elaborazione del lutto. 1.
Può parlarmi della morte? Che cosa è accaduto? Cosa è accaduto quel
giorno? Chi
assiste dà alla persona in lutto una chiara indicazione della sua
intenzione di parlare della morte. Lo stesso uso della parola morte o il
riferirsi direttamente ad essa spesso rassicurano la persona in lutto.
Questa, infatti, può aver avuto molto bisogno di parlare della morte ma
può aver trovato che la maggior parte delle altre persone evitano
l'argomento o ne parlano in termini eufemistici. L'esplorazione
di questa area fornisce informazioni sulla natura e sulle circostanze
della morte, nonché sul coinvolgimento in essa della persona in lutto.
Possono quindi diventare evidenti la capacità della persona in lutto e i
suoi modelli di reazione emotiva, indicanti la sua rabbia, la sua
disperazione o qualche personale paura di vulnerabilità che vi si può
essere associata. Possono evidenziarsi inoltre difese del tipo negazione o
evitamento. Apprendiamo
anche, attraverso questa domanda, se la persona in lutto è stata in grado
di vedere il cadavere della persona e se è stata in grado di darle il suo
addio privato. Si
riscontrano i sentimenti sul funerale, potendo così valutare anche se il
modo di vivere il funerale abbia facilitato una normale risoluzione ed
elaborazione del lutto o l'abbia bloccata. Si
possono infine rilevare particolari circostanze che possono aver
determinato reazioni emotive responsabili di un rifiuto o di un blocco,
oppure di una facilitazione del lutto stesso. 2.
Può parlarmi di lui (o di lei) e di come era nei vostri rapporti fin
dall'inizio? Questo
secondo tema dell'inchiesta si riferisce all'intenzione di aprire il
discorso sulla storia della relazione risalendo fino alle sue fasi
iniziali. Questa
domanda può rilevare la qualità della relazione preesistente col morto,
il livello di ambivalenza e di dipendenza presenti in questa relazione. Ciò
indicherà in che misura la risoluzione del lutto può essere a rischio a
causa della relazione. Così
attraverso le risposte a questa domanda, il comportamento che ne deriva e
l'uso del verbo presente, può risultare evidente il nesso tra lo
struggimento per la persona perduta e la speranza di un suo ritorno.
Evitare di menzionare la persona morta e l'emozione che il pronunciare il
suo nome implica, possono fornire indizi sullo stadio del processo di
risoluzione del lutto. Nella
misura in cui la persona in lutto può parlare del congiunto in termini
reali, avrà memoria sia positiva che negativa, ricorderà sia gli aspetti
felici che quelli infelici. Ciò ovviamente sarà meno probabile nelle
prime settimane del lutto e diventerà sempre più probabile man mano che
il lutto procede. Quando invece vengano presentati solo gli aspetti
positivi della relazione, si possono indagare anche quelli negativi,
chiedendolo con delicatezza. La risposta a questa domanda può indicare
l'esistenza di blocchi. Possono
anche essere valutati in questa fase gli “affetti” associati con il
lutto. I livelli di tristezza, di rabbia, le colpe particolari o i livelli
anormali di colpa possono essere notati e può essere valutata la loro
influenza sulle difficoltà di risoluzione del lutto. 3.
Cosa è accaduto dopo la morte? Come sono andate le cose nel suo intimo,
con la sua famiglia e con gli amici? Questa
parte dell'inchiesta esplora le modalità interiori di risposta alla morte
e quale supporto si è percepito come disponibile per le persone in lutto
da parte della famiglia e della rete di interazioni sociali in generale. Questa
parte dell'inchiesta può fornire informazioni sull'esperienza della
persona in lutto, sul modo in cui viene percepita l'assenza della persona
perduta; ci dice in che misura la morte viene percepita come definitiva e
rivela i problemi della vita di relazione. Essa può anche fornire dati
sui fattori di rischio, come l'inadeguatezza dell'appoggio sociale o altre
crisi espresse che possono essersi verificati. 4.
Ha avuto, recentemente o da giovane, brutti episodi come questo? Questa
parte dell'inchiesta mira a ricercare segni più specifici di altre crisi
o altri eventi stressanti che possono concorrere come fattori di rischio
ad una mal risoluzione del lutto. Il
tipo di “valutazione terapeutica” attraverso il questionario che
abbiamo riportato può servire ai seguenti scopi:
Sulla
base di questa valutazione, che mostra come Beverly Raphael condivida
l'approccio al lutto di Bowlby, Parkes e Worden, l'autrice passa ad
analizzare i seguenti punti: La
prevenzione dei lutti a rischio e la sua efficacia Sulla
base del “profilo di rischio” l'autrice suggerisce un intervento
preventivo del tipo della psicoterapia focale breve, che l'esperienza ha
fatto ritenere più efficace iniziare tra la terza settimana e la 12ª
settimana dopo il decesso. Il focus è sui fattori di rischio individuati
tramite il profilo, e si fanno dai sei agli otto incontri a casa della
persona in lutto, durando ogni incontro un'ora e mezza o due. Questi
interventi si ispirano alla psicoterapia psicodinamica breve. Di
particolare interesse è la proposta di fare molta attenzione alla
conclusione di queste sessioni di psicoterapia breve, in quanto sarebbe
proprio alla conclusione che, attraverso il transfert, possono essere
espressi e interamente accettati lo struggimento e la protesta per la
morte del caro. Quanto
alle conclusioni che ci si propongono, esse sono intuibili: aiutare la
persona a superare la crisi; affrontare e attenuare i fattori di rischio
che possono ostacolare o bloccare il lutto; infine iniziare l'aiuto per un
allentamento del legame col defunto. B.
Raphael ci dimostra come un intervento specifico come quello descritto
sopra risulti significativamente efficace nel prevenire la morbilità
(stato di malattia) del paziente in lutto al confronto con la morbilità
dei pazienti che non avevano avuto tale trattamento. La
terapia del lutto patologico Le
tecniche terapeutiche che B. Raphael analizza sono: -
La psicoterapia focale a breve termine; -
La Re-gref therapy; -
I trattamenti comportamentistici; -
L'approccio esistenziale ed altri approcci minori
(non descritti qui). La
psicoterapia focale a breve termine si può utilizzare anche
terapeuticamente nei casi in cui il lutto sia inibito, soppresso, assente
o distorto. Nei primi tre casi manca l'espressione degli affetti
appropriati al lutto, nel lutto distorto si ha l'espressione di sentimenti
negativi che ne distorcono e bloccano l'elaborazione. Non si tratta
ovviamente di un intervento “diretto”, cioè mirante a far acquisire
all'alluttato una consapevolezza esplicita di ciò che blocca e distorce
il processo del lutto, bensì di portarlo a parlare delle relazioni col
morto, con lo scopo di portare in luce gli atteggiamenti difensivi che
devono essere modificati perché il lutto proceda. La
Re-gref therapy, che si potrebbe letteralmente tradurre “terapia
del ri-lutto”, è un trattamento psicoanalitico che ha lo scopo di far
completare al paziente il lutto che non ha ultimato a causa del
consolidarsi nel tempo di difese patologiche. Si tratta di una vera e
propria terapia analitica con sedute di frequenza intensa nella quale si
distinguono due fasi principali: la fase della “demarcazione” e la
fase degli “oggetti di legame”. La
fase della “demarcazione”, che dura circa tre mesi, è così detta
poiché mira a far sì che il paziente “esternalizzi” la persona
perduta tracciando i “confini affettivi” che lo differenziano da essa.
La demarcazione del morto viene effettuata mediante una storia dettagliata
di esso e delle sue relazioni interpersonali. Quindi segue la fase in cui
il paziente viene incoraggiato a parlare degli oggetti che
“simboleggiano” il morto e che lo legano a lui, gli “oggetti di
legame” appunto, oggetti che egli può addirittura essere indotto a
portare con sé. In tal modo nel paziente possono essere risvegliate
emozioni inibite e fare in modo che egli diventi capace di sperimentare
nuovamente gli “affetti” della perdita. Ne consegue che interpretando
i simboli rappresentati dagli oggetti di legame, il terapeuta può aiutare
il paziente ad allentare il legame con la persona scomparsa. In
questo trattamento si interpretano anche i sogni e la risoluzione del
lutto è affidata all'attività interpretativa mirante a rendere
consapevoli le difese che hanno bloccato il lutto. B.
Raphael osserva a questo punto che non sempre la risoluzione del lutto è
facile con quest'approccio, dato che i processi difensivi patologici
possono essersi consolidati nel tempo e può non esserci da parte del
paziente una sufficiente motivazione al cambiamento. Le
terapie comportamentali si basano sulla premessa che le reazioni
patologiche al lutto equivalgono ad una risposta fobica di evitamento. Ne
deriva l'applicazione della classica terapia comportamentale consistente
in un confronto forzato con i fatti del lutto e con ciò che esso porta
con sé, allo scopo di sconfiggere il rifiuto fobico che il paziente
oppone alla perdita. Le
terapie comportamentali sono indicate nei lutti patologici in cui sia
presente una qualche forma di evitamento fobico. La
formazione del personale preposto all'assistenza per il lutto La
formazione del personale va pensata e attuata in modo diverso a seconda
dell'approccio preventivo terapeutico preferito. B.
Raphael osserva che i lutti ad alto rischio, o quelli che mostrano segni
patologici, non possono essere affidati a chiunque ma richiedono
l'intervento di counselors capaci e ben addestrati. Il
principale attributo di chiunque fornisca un'assistenza alle persone in
lutto è la capacità di atteggiarsi empaticamente. Ciò determina per il
councelor particolari difficoltà, poiché l'empatia con la persona in
lutto nel suo incontro con la perdita e con la morte fa esplodere in
ciascuno di noi i terrori più personali. Noi tutti dobbiamo imparare a
vivere con una perdita, ma le persone che lavorano in questo ambito devono
confrontarsi con essa ogni giorno. Rilievi Critici e Analisi
di Situazioni “Tipiche” Si
può constatare a questo punto come i principali approcci terapeutici per
il lutto corrispondano alla teoria psicoanalitica, alla teoria
evoluzionistico biologico cognitivista o ad una “contaminazione” delle
due. Manca, a parte qualche eccezione, la considerazione dell'utilità dei
rituali funerali collettivi per la “cura” del lutto. Scarsa
considerazione viene riservata al legame tra l'andamento della fase
terminale e l'elaborazione del lutto, mentre si tende a dare importanza al
tipo di relazione che la persona in lutto intratteneva col defunto,
considerando però la relazione sono dei termini dell'amore come è inteso
in senso psicoanalitico in senso evoluzionistico adattivo. In
sostanza si può dire che i principali approcci terapeutici proposti
corrispondano quasi perfettamente a due delle cinque concezioni che
abbiamo analizzato: l'approccio psicoanalitico e l'approccio biologico
cognitivistico, i quali finiscono per proporsi (e qui sta il loro limite)
come esaustivi di tutte le possibilità esistenziali. La
via che si suggerisce qui è di considerare le cinque possibili modalità
del lutto altrettanto legittime in quanto corrispondenti ad altrettante
modalità di esistere e di amare. Solo all'interno di ciascuna modalità
si potrà distinguere tra lutto normale e lutto patologico, evitando così
il rischio di attribuire a tutte le possibili modalità esistenziali
criteri di normalità validi solo per alcune di esse. Sul piano pratico
basterà adottare il questionario di B. Raphael aggiungendovi due
direzioni di approfondimento che l'autrice non ha previsto:
-
Se il morente si è assunto la responsabilità
della sua morte; -
In che misura la fase terminale (dal momento della
certezza della morte fino alla fine) ha modificato il progetto
esistenziale del morente (era sempre lui o non era più lui?); -
Se c'è stato e come è stato gestito il lutto
anticipatorio in tutte le sue componenti.
Solo
dopo aver attuato questi due approfondimenti sarà legittimo porsi la
domanda sulla modalità o patologia del lutto, e sarà proprio la
patologia del lutto a riportare in campo il rapporto di ciascuna modalità
con le altre. In
sintesi la patologia da rilevare in questo campo non è connotabile come
“patologia del lutto” bensì come “patologia della modalità
specifica di fare il lutto”. Ecco
perché è necessario che chi assiste le persone in lutto sia consapevole
di tutte le possibilità esistenziali di “fare” il lutto e di essere
in lutto, in modo da aiutare le persone a trovare non solo nell'ambito
della loro modalità esistenziale le vie di superamento della crisi, ma
anche attraverso l'apertura alle altre modalità esistenziali possibili ma
finora fuori dell'orizzonte della persona. BIBLIOGRAFIA CAMPIONE
F, (2008), Ospitare il trauma. Un
modello di intervento nelle situazioni di crisi, CLUEB, Bologna. CAMPIONE
F, (2009), L’etica del morire e
l’attualità. Il caso Englaro, il caso Welby, il testamento biologico e
l’eutanasia, CLUEB, Bologna. CAMPIONE
F, (2006), Perpatire. Un nuovo verbo
per un nuovo inizio, Armando Editore, Roma. SCHUURMAN
D, (2007), Mai più come prima. Come
superare la morte di un genitore, Armando Editore, Roma. CAMPIONE
F, (2008), Rivivere. L’aiuto
psicologico nelle situazioni di crisi, CLUEB, Bologna.
>>> ritorna alla homepage <<<
Copyright
© CENTRO ITALIANO
SVILUPPO PSICOLOGIA cod. fisc. 96241380581
|