Lavoratore
precario, soffri pure se vuoi…ma sfida l’incertezza di Simona
Nocera Psicologa, Psicoterapeuta, www.krineinpsicologica.it
La
crisi economica con le sue conseguenze di instabilità e di continua paura
di perdere o non trovare un posto di lavoro mette a rischio l’
equilibrio psichico degli individui. Vivere nella perenne incertezza porta
il nostro IO a farsi invadere dalla paura e a diventare preda di ansia e
panico. Paura di perdere la possibilità di sostenersi economicamente,
paura di non poter proteggere economicamente la famiglia che abbiamo
creato, o di non poter costruire un futuro… Emozioni, stati d’animo
che albergano dentro ogni lavoratore precario. Tipica di questo momento
storico-sociale è la nascita di una vera e propria “patologia da lavoro
precario”, che affligge i giovani trentenni ma si sta estendendo anche
agli over 40.Si può essere felici in questo momento storico-sociale? Una
storia racconta di un discepolo che va dal maestro e gli domanda: “Come
posso essere felice?” e il maestro risponde: “impara prima a
soffrire”. Può sembrare una storia banale, in realtà, è tanto reale
quanto difficile. Siamo abituati a pensare erroneamente che essere felici
significhi non sentire la sofferenza, non avere problemi, frustrazioni. Il
giovane precario è una persona che non riesce a trovare un lavoro, o ha
paura di perderlo, o ancora è frustrato perché si adatta a fare qualcosa
che non lo soddisfa e che spesso è sottopagata. Oltre alla paura, tutto
questo genera sofferenza. Ma la cosa più triste è che, a volte, gli
impedisce anche di godere delle cose belle che nonostante tutto ha o delle
risorse che potrebbe tirar fuori. Se leggiamo i forum online c’è una
quantità enorme di messaggi in cui le persone raccontano di stress,
ansia, notti in bianco. Sintomi, solo sintomi. Si intravede una sofferenza
che a volte viene allontanata da sé, a volte non è riconosciuta, altre
volte, invece, è coperta dalla rabbia. Ma più la sofferenza è respinta,
più ci attanaglia e ci invade. Imparare a vivere la sofferenza è un
primo passo per godere della felicità. Sofferenza e felicità sono due
facce della stessa medaglia. La
relazione terapeuta può essere d’aiuto perché rappresenta un modo per
uscire dall’Isolamento che immobilizza chi vive una situazione di
precarietà. Condividere emozioni, paure, sofferenze è il primo passo per
passare dall’isolamento alla condivisione, dall’immobilità
all’attività. Iniziare a condividere questi stati d’animo in uno
spazio protetto con uno psicologo permette alla persona di sentirsi capita
e sostenuta. Inoltre, offre la possibilità di confrontarsi con modelli
culturali ormai obsoleti: ”mamma e papà avevano un lavoro fisso, alla
mia età erano già sposati e avevano casa ecc., vai all’università e
troverai subito lavoro”. Questi vecchi schemi che abbiamo dentro di noi
vanno aggiornati, perché non coincidono più con la realtà esterna. Il
mondo del lavoro è cambiato, e bisogna trovare nuove modalità creative
per affrontare il disagio. Da un animo rinnovato, coccolato, compreso, si
attiverà l’energia che, lentamente, ci permetterà di muoverci in modo
funzionale nella società. La
reazione terapeutica può, inoltre, essere d’aiuto perché permette di
lavorare sul senso di appartenenza : “condividere per riconoscersi” In
una società fondata sull’individualismo e la competitività, lavorare
sul senso di appartenenza non è né facile né scontato. Le generazioni
precedenti appartenevano ad un’azienda, ad un gruppo di colleghi con cui
istauravano relazioni, avevamo quindi un’identità lavorativa chiara e
sicura. La nostra, invece, è la società dei co.co.pro e dei contratti a
tempo determinato: noi non apparteniamo ad un’azienda, non apparteniamo
ad un gruppo di colleghi, non apparteniamo a vecchi valori ormai obsoleti.
Viviamo, quindi, nella perenne insicurezza ed incertezza. Grazie alla
relazione terapeutica, l’individuo può nutrirsi all’interno di un
“primo spazio sicuro”, creare dentro di sé il senso di sicurezza fino
ad allora desiderato ma sconosciuto. Sconosciuto perché vive
nell’incerto, nella paura, sente che il terreno su cui cammina ogni
giorno barcolla perché non è al passo con una società nuova, precaria,
instabile. Quando un individuo non ha un modello culturale di riferimento
sicuro, solo la certezza di avere la vicinanza dell’Altro può
inizialmente bilanciare il senso di paura e di incertezza in cui è
imprigionato. -Un’altro
aspetto che caratterizza la relazione terapeutica, e che può essere
d’aiuto a chi vive una situazione di incertezza, è la possibilità di
trovare e/o potenziare le risorse individuali. In questo spazio sicuro,
costruito insieme da paziente e terapeuta, la persona potrà sperimentare
nuove possibilità ed entrare in contatto con risorse che non pensava di
avere. Ciò aumenta la fiducia in se stessi. Grazie all’incontro con
l’Altro la persona può riconoscersi e ricoprire le proprie risorse,
fare scelte consapevoli, sentire il proprio potere personale e le proprie
capacità. I pensieri che ci attanagliano quotidianamente possono,
lentamente, prendere una nuova forma : “non sono solo disoccupata, sono
anche una persona che può crescere e che ha delle competenze da mettere
in gioco”. La
riscoperta delle risorse personali ha, inoltre, una ricaduta nella vita
quotidiana. Non solo nel non arrendersi nella ricerca del lavoro, ma anche
e soprattutto, nel sentirsi più sicuri nello scegliere e creare
“relazioni sane”, in cui il sostegno è reciproco. L’iniziale
supporto nella relazione terapeutica si può estendere alla vita
quotidiana, affinché l’individuo ritrovi la capacità di saper
scegliere le persone da cui farsi sorreggere, ed a cui a sua volta può
dare sostegno. Non dobbiamo dimenticare che una delle cause che ha
provocato l’aumento di disturbi d’ansia è il crearsi di un contesto
sociale caratterizzato dalla mancanza di legami, relazioni (sia affettive
che lavorative). Ecco perché è importante in terapia lavorare anche
affinché la persona impari che oltre alla relazione terapeutica, è
possibile creare altre relazioni. E’ importante che le persone si
riappropriano della capacità di saper scegliere una rete sociale sana. La
speranza: il farsi coraggio vicendevolmente attiva la sensazione di
potercela fare;
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