Processo
penale minorile: D.P.R. 448/1988 “Approvazione
delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni” Claudia
Nissi L’attuale normativa processuale per i minorenni, entrata in vigore nel 1989, D.P.R. 448/1988, prevede una concezione del minore come interlocutore dell’azione processuale; questo ha permesso la progettazione di piani d’intervento più adeguati alla sua esigenza di crescita. In questo modo il minore può gestire il rapporto tra l’azione commessa e la pena. Tale concezione ha messo in risalto l’effettiva potenzialità del ragazzo di confrontarsi con il significato sociale e giuridico delle proprie azioni. L’espressione più ampia di questo nuovo orientamento è, appunto, il decreto in merito al processo penale minorile (D.P.R. 448/88). Gli interventi si ispirano al criterio dell’attitudine responsabilizzante, che esprime la valenza educativa del processo sul piano della crescita personale e sociale. 1.
Accertamenti sulla personalità del minore L’articolo 9 D.P.R. 448/1988 sancisce che: 1.
Il pubblico ministero e
il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse
personali, familiari, sociali e ambientali del
minorenne al
fine di accertarne
l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la
rilevanza sociale
del fatto
nonché disporre le
adeguate misure penali
e adottare
gli eventuali
provvedimenti civili. 2.
Agli stessi
fini il
pubblico ministero e il giudice possono sempre assumere
informazioni da persone che abbiano
avuto rapporti con
il minorenne e sentire
il parere di esperti, anche senza alcuna formalità. Il nuovo processo penale minorile ha profondamente modificato la vecchia normativa, soprattutto relativamente all’arresto in flagranza. Dati statistici hanno verificato, infatti, che per la maggior parte dei ragazzi in carcerazione preventiva seguiva il proscioglimento per immaturità o per concessione del perdono giudiziario. La carcerazione preventiva era comunque terribilmente traumatica per il ragazzo. L’accompagnamento nell’abitazione, si configura come una forma attenuata di intervento coattivo. Ha il duplice ruolo di sottrarre il minore alla struttura carceraria e responsabilizzare il minore e la sua famiglia. Il nuovo sistema, infatti, prevede che debba essere il giudice a richiedere la custodia e questa non avviene in automatico, dopo il fermo o l’arresto da parte della polizia. Anche in questo caso si sottolineata l’esigenza di rispondere al bisogno specifico del ragazzo. Se la restrizione della libertà risulta necessaria, si cerca di fare in modo che duri il minor tempo possibile. Nelle 96 ore che seguono il fermo o l’arresto fino all’udienza di convalida, i Servizi Sociali raccolgono informazioni relative alla personalità del minore, alla sua famiglia, all’ambiente sociale di provenienza. Con il nuovo ordinamento, il ragazzo deve essere riaccompagnato a casa e rimanere a disposizione dell’autorità giudiziaria sotto la custodia dei genitori o di che ne fa le veci, mentre la polizia ha solo il compito di avvisare l’autorità minorile. Tale situazione prende il nome di “mini-arresto”, in quanto non viene specificato l’obbligo di permanenza a casa. Nell’udienza di convalida il giudice ha la possibilità di conoscere direttamente il minore. Tale conoscenza è supportata dalla relazione del lavoro svolto dall’équipe degli operatori presso il Centro di prima accoglienza o dal perito scelto dal giudice. All’udienza sono chiamati a partecipare gli operatori e i genitori del ragazzo. In questa sede si convalida l’arresto del minore o si sceglie la misura cautelare più adeguata, in base ai principi di minima offensività. Per l’applicazione delle misure cautelari devono sussistere precise condizioni: la presenza di gravi indizi di colpevolezza, la condizione di imputabilità del minore, l’esclusione di eventuali probation (perdono giudiziale, non rilevanza del fatto), e il rischio di pericolo sociale . Le misure cautelari vengono stabilite in corso di accertamento di reato. Queste sono, in ordine di gravità crescente: la prescrizione, la permanenza a casa, il collocamento in comunità e la custodia cautelare in carcere. Nel caso in cui il ragazzo non rispetti gli obblighi della misura cautelare può incorrere in un aggravamento della misura. Grafico 1 – Strumenti processuali
La custodia preventiva in carcere dovrebbe essere più rapida possibile. Questa è, di solito, applicata nei casi di pericolosità sociale o se si sospetta il pericolo di recidiva, di commissione di nuovi reati, di fuga o inquinamento probatorio. Nell’articolo 20 D.P.R. 448/88 le prescrizioni prevedono la possibilità d’impartire al minorenne “attività di studio o di lavoro (…) altre attività utili per la sua educazione”; questa possibilità si dimostra alquanto flessibile e adattabile alle esigenze del singolo ragazzo e del contesto. Le prescrizioni hanno validità per un massimo di due mesi e possono essere rinnovate una sola volta. La misura della permanenza a casa impone, al minorenne indagato, di rimanere nella propria abitazione. Tale decisione da parte del giudice si basa sulla considerazione che l’ambiente familiare è accogliente e adeguato alla necessità di sviluppo del ragazzo e che permette un efficace crescita sotto la guida dei genitori. La permanenza a casa è conciliabile sia con le prescrizioni, sia con attività educative e lavorative. Il ragazzo, infatti, viene autorizzato a lasciare l’abitazione per frequentare la scuola, per andare a lavoro e per continuare l’allenamento sportivo. Il collocamento in comunità, infine, ha la funzione di evitare la traumatica entrata del minore in carcere. La paura è, tuttavia, che questa misura sia comunque simile al carcere o alle case di rieducazione. Tale misura cautelare si differenzia dalla precedente solo per il fatto che il minore permane in una struttura di tipo comunitario, invece che a casa. È indicata soprattutto nei casi in cui la dimora familiare non è idonea, per la presenza di modelli di riferimento negativi. Le misure cautelari sono comunque sospese nei casi in cui il soggetto, per rispettare tale provvedimento, debba abbandonare un processo educativo già in atto (il minore è, per esempio, residente in un’altra comunità). Le misure cautelari non costituiscono misure formative, anche se devono avere una valenza educativa. La loro funzione è soprattutto contenitiva. Nel disporre le misure il giudice può avvalersi della collaborazione dei Servizi Sociali del Ministero della Giustizia. Questi a loro volta collaborano con i Servizi Sociali dell’Ente Locale, per radicare l’intervento proposto all’interno del territorio. L’obiettivo è che il minore non resti isolato ma venga reinserito a pieno titolo nella società. 3.
Uscita del ragazzo dal circuito penale Uno dei principi del processo penale minorile è quello della minima offensività. In questa prospettiva si fa spazio la necessità di proporre al minore trattamenti che si svolgano al di fuori della struttura carceraria. Le forme di intervento previste, mirano a fare in modo che il soggetto transiti il meno possibile nel sistema penale, assumendosi la responsabilità dell’azione commessa e delle sue conseguenze sul piano giudiziario. Sulla stessa linea di principio, per assicurare al ragazzo una rapida uscita dal circuito penale, si può ricorrere all’istituto di irrilevanza del fatto, all’incapacità d’intendere e di volere e al perdono giudiziario. La prima assume sopratutto una funzione formale, in quanto è stata adottata sulla base della consapevolezza che alcuni reati commessi dai minori sono di scarso rilievo sociale. In questi casi l’affermazione di incapacità d’intendere e di volere può sembrare discriminatoria per il ragazzo. La formula di irrilevanza del fatto può essere adottata nei casi in cui si riscontri “l’occasionalità” del reato. La possibilità di non dar luogo al processo per irrilevanza del fatto commesso, è sancita nell’articolo 27 D.P.R. 448/88. Con questo provvedimento vengono anteposte le esigenze educative del ragazzo alle richieste della società. La possibilità di non procedere per irrilevanza del caso, si attua facendo un bilancio tra quelle che sono le conseguenze positive e negative di un eventuale processo. Il pericolo, tuttavia, potrebbe essere quello di una scarsa omogeneità tra le sentenze. La seconda formula è quella dell’incapacità d’intendere e di volere, che esula il ragazzo da qualsiasi responsabilità in quanto è uno dei due presupposti dell’imputabilità (il minore ha compiuto il quattordicesimo anno di età, ed è ritenuto capace di intendere e di volere al momento del reato) Questo naturalmente prevede, a differenza della formula precedentemente illustrata, l’accertamento di personalità. La terza formula è quella del perdono giudiziario. In questo caso il Tribunale dei Minori non pronuncia condanna, nonostante riconosca la colpevolezza dell’imputato. I requisiti affinché la formula sia attuata sono: la minore età dell’imputato e nessuna condanna precedente al reato commesso. Il perdono giudiziale può essere concesso solo una volta, per un reato che comporti una pena non superiore a due anni. Al ragazzo può essere data inoltre la possibilità di “sospensione del processo e messa alla prova”. Tale intervento, che ora vedremo in modo più dettagliato, tende a responsabilizzare il soggetto, che può riparare direttamente alle conseguenze del reato. 4.
Sospensione del processo e messa alla prova All’interno dell’udienza preliminare il giudice può deliberare un giudizio o può pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei casi previsti, quali immaturità, concessione del perdono giudiziale o irrilevanza del caso; a queste possibilità si aggiunge, secondo l’articolo 28 D.P.R. 448/1988, la possibilità di sospensione del processo e messa alla prova. L’articolo 28 D.P.R. 448/1988 determina che: Con
l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi
minorili dell’amministrazione
della giustizia
per lo
svolgimento, anche
in collaborazione con
i servizi locali, delle opportune attività di osservazione,
trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può
impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a
promuovere la
conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato. La possibilità di una rapida uscita del sistema penale e la sospensione del processo e messa alla prova, vengono definite all’interno dell’udienza preliminare. In questa udienza la decisione spetta al giudice minorile e ai due giudici onorari non togati che presiedono il processo. Il giudice minorile ha di solito già incontrato il ragazzo nell’udienza di convalida. Nei casi in cui non è possibile una rapida uscita dal circuito penale, né la sospensione del processo e messa alla prova, si arriva al processo con l’irrogazione della sanzione. Anche in queste situazioni si cerca di evitare il carcere. Qualora si riscontri una possibile pericolosità sociale, il giudice deve prendere una misura di sicurezza. Per i minori, tale misura, può essere aggiunta alla pena. Questa consiste nell’inserimento del minore in un comunità, quando i reati hanno una gravità oggettiva. Negli altri casi la misura di sicurezza è quella della libertà vigilata. In sede di sentenza di condanna a pena detentiva, la detenzione in carcere può essere sostituita con la semidetenzione o la libertà vigilata (Grafico 1). Questo è possibile solo nei casi in cui la condanna per detenzione non sia superiore a due anni. La semidetenzione comporta l’obbligo di trascorrere almeno 10 ore in una struttura appositamente destinata. In questa struttura si svolgono attività di vario genere: musicali, teatrali, attività sportive, alle quali partecipano anche i ragazzi del territorio. Il vantaggio è di favorire il processo di risocializzazione con ragazzi non delinquenti. Qualora i tempi da passare in Istituto non vengano rispettati “la restante parte della semidetenzione si convertirà nella pena detentiva inizialmente sostituita”. La libertà controllata si connota invece come una serie di limitazioni alla libertà di movimento e un insieme obblighi; ad esempio frequentare determinate strutture o partecipare a corsi e attività organizzate. Tali progetti sono concordati con il minore e la famiglia, in modo da aumentare la potenzialità di responsabilizzazione. Il codice non fa un esplicito riferimento ai lavori di interesse sociale; tuttavia questi si ritrovano spesso contenuti nella sanzione sostitutiva. 6.
Misure alternative al trattamento penitenziario Il principio base della residualità della pena trova ulteriore testimonianza in sede di trattamento penitenziario, cioè nell’ambito di esecuzione della pena. Anche in questo caso sono previste misure alternative al carcere. Esse sono (Grafico 1): la liberazione condizionale, l’affidamento in prova, la semilibertà e la detenzione domiciliare. La misura alternativa più usata è l’affidamento in prova al Servizio Sociale del Ministero della Giustizia. In questa misura, l’imputato può scontare una pena alternativa al carcere. D’obbligo è l’osservanza delle prescrizioni imposte dal giudice. In caso contrario questa possibilità può essere revocata. L’azione svolta dai Servizi deve conciliare i due aspetti essenziali della probation: il controllo e l’aiuto. L’affidamento in prova è assimilabile ad una messa alla prova, nel momento di esecuzione della pena. Può avvenire senza osservazione in Istituto, per evitare all’imputato l’ingresso in carcere. Questo è possibile se la pena non è superiore ai tre anni; in caso contrario può essere concessa solo dopo l’osservazione in Istituto. L’affidamento può essere applicato nei casi in cui l’imputato abbia avuto un comportamento di condotta esemplare durante il periodo di custodia cautelare. La durata dell’affidamento è equivalente a quella della pena da scontare, che non deve essere superiore ai tre anni. L’affidamento del minore ai Servizi Sociali, permette al ragazzo di allontanarsi dal sistema penale e di elaborare il suo comportamento senza ricorrere a giudizi di natura giuridica. Questi interventi esprimono la volontà di applicare pratiche di prevenzione e di integrazione sociale, piuttosto che la mera punizione. La libertà condizionale può essere attuata per quelle condanne che non superano i tre anni di reclusione. Questa condanna sarà scontata nel caso in cui l’imputato commetterà un altro reato, la cui pena, sommata a quella precedentemente sospesa, supera i tre anni. Il giudice può concedere la libertà condizionale se considera il reato occasionale, e se il ragazzo non costituisce un pericolo per la società. La detenzione domiciliare è prevista nei casi in cui esista una comprovata esigenza “di salute, di studio, di lavoro o di famiglia”. La modalità in cui tale detenzione si deve attuare è determinata dal giudice. Infine, può essere concesso l’istituto di semilibertà. In questo caso il minore trascorre la notte in Istituto, mentre nelle altre svolge normalmente la sua attività lavorative, istruttive o utili all’inserimento sociale. Il regime di semilibertà si basa su un piano di trattamento redatto dall’Istituto penale, che contiene comunque una serie di prescrizioni. 7.
Rilievi conclusivi Nell’articolo si spiega e si commenta il D.P.R. 448/1988 “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”. L’intento è di valutare la possibilità del decreto di “educare” nelle forme della giurisdizione. L’attuale normativa cerca di rispondere a questa esigenza promuovendo misure alternative al carcere, per evitare al ragazzo la traumatica entrata nell’Istituto penale e per favorire il reinserimento nella società. Il D.P.R. 448/88 richiederebbe tuttavia un intervento di modifica e rinnovamento, soprattutto per rimanere al passo con i tempi e con i cambiamenti della delinquenza minorile negli ultimi anni.
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