Umanizzare
la medicina
Raffaele
Crescenzo
Abstract
Si deve tener conto della persona, della
sua umanità, della sua cultura, della sua dignità attraverso il dialogo,
l’ascolto e la costruzione del progetto di cura. Questo progetto inizia
con la presa in carico del paziente, con la prima visita alla quale si
dedica il tempo necessario che il caso richiede, ascoltare il paziente e
il suo vissuto lo fa sentire accolto e non
abbandonato. In
modo inconsapevole si immagina di ridurre tutta la drammaticità
dell’esperienza della malattia ad un fenomeno puramente biologico. Si
dimentica la globalità della domanda del paziente che si manifesta con
bisogni non sempre espressamente dichiarati, che sempre si accompagnano
alla richiesta di cura e di assistenza.
La
diffusa istanza di una più
umana medicina sembra oggi
invocare meno tecnica e meno scienza.
La scienza va arricchita con il sapere delle relazioni, che non è esterno
alla professione medica, ma dovrebbe esserne parte costitutiva. Dobbiamo
ricordare a noi stessi che il medico non ha di fronte un meccanismo
complesso da aggiustare, ma un suo simile, una persona che soffre, spera,
sogna, progetta, assalito dalla disperazione e dalla paura proprio come
lui. Ci ricorda Karl Jaspers che “l’agire del medico poggia su due
pilastri: da un lato la conoscenza scientifica e l’abilità tecnica,
dall’altro l’ethos umanitario”.
Tutto ciò, fa ritenere che la crisi del rapporto medico-paziente sia
una conseguenza della modernità e postmodernità. Invero, l’incontro
tra medico è paziente, è storia non recente e la testimonianza dello
scrittore russo Tolstoj, in un suo lavoro scritto verso la fine
dell’800, è esemplare. Egli descrive l’incontro fra il protagonista,
Ivan Il’ič, Consigliere di Corte d’Appello a San Pietroburgo, e
un noto luminare della medicina: “Egli ci andò. Tutto fu come si
aspettava. Tutto come sempre avviene. L’attesa in camera, il tono
d’importanza dottorale che egli conosceva , perché era lo stesso che
usava in tribunale, i colpetti delle dita, l’auscultazione, le domande
che richiedevano risposte predeterminate e inutili e quell’aria solenne
che diceva: voi non dovete fare nulla, affidatevi a noi, facciamo tutto
noi, noi sappiamo bene, infallibilmente, quello che si deve fare, chiunque
voi siate, tutti gli uomini vanno presi alla stessa maniera.
Esattamente come in tribunale. Il noto dottore teneva verso di lui lo
stesso contegno che Ivan Il’ic teneva in tribunale verso gli imputati.
( ……). Per Ivan Il’ic una sola cosa era importante, sapere se
la sua situazione era grave oppure no. Ma il dottore ignorava quella
richiesta inopportuna. Dal suo punto di vista era una domanda oziosa che
non meritava considerazione. (…). Dalle parole del dottore Ivan Il’ic
si crea la convinzione di essere molto ammalato. E capì che la cosa non
importava un gran che al dottore e in fondo nemmeno agli altri. Ma lui
stava male. La scoperta lo ferì dolorosamente, suscitandogli un
sentimento di pena verso se stesso e di rabbia verso il dottore,
indifferente a una questione tanto importante.
Tuttavia non fece commenti, si alzò , depose i soldi sul tavolo e
sospirando disse soltanto:- Probabilmente noi malati rivolgiamo spesso
domande fuori luogo. Ma questa malattia è grave o no? Il dottore gettò
uno sguardo severo da un occhio solo, attraverso gli occhiali, come a
dire: imputato, se non rimanete nei limiti delle domande che vi vengono
poste sarò costretto a farvi allontanare dall’aula. – Vi ho già
detto ciò che ritengo utile e necessario – rispose il dottore -. Il
resto sarà rivelato dalle analisi- e con ciò si inchinò.”
Si deve tener conto della persona, della sua umanità, della sua cultura,
della sua dignità attraverso il dialogo, l’ascolto e la costruzione del
progetto di cura. Questo progetto inizia con la presa in carico del
paziente, con la prima visita alla quale si dedica il tempo necessario che
il caso richiede, ascoltare il paziente e il suo vissuto lo fa sentire
accolto e non abbandonato.
In modo inconsapevole si
immagina di ridurre tutta la drammaticità dell’esperienza della
malattia ad un fenomeno puramente biologico. Si dimentica la globalità
della domanda del paziente che si manifesta con bisogni non sempre
espressamente dichiarati, che sempre si accompagnano alla richiesta di
cura e di assistenza.
Dunque, “(…)
è necessario ancorare ad un centro gli orientamenti medici di base,
l’organizzazione della clinica, le scelte terapeutiche e la loro articolazione
alla ricerca. Questo consiste nell’assumere, senza deliri
di onnipotenza ma in modo scientificamente rigoroso e liberamente
coinvolto, la domanda del paziente (…)”.
In quanto “(…) il ruolo della
scienza in medicina è chiaro. La tecnologia scientifica ed il
ragionamento deduttivo sono il fondamento della soluzione di molti
problemi clinici. Eppure, l’abilità nelle applicazioni più avanzate di
laboratorio e di farmacologia non fa, di per sé, un buon medico. Si deve
essere capaci di identificare gli elementi cruciali di una complessa
storia(…)”.
Non può unicamente
coincidere con l’applicazione di protocolli,
non è possibile demandare alla medicina il compito di fornire ogni
soluzione soltanto mediante la medicalizzazione. Si pone il problema della
persona e del senso che essa attribuisce alla sua propria, individuale,
unica, esperienza di malattia ed, inevitabilmente, il processo
terapeutico, assistenziale e decisionale deve tener conto delle
aspettative e delle preferenze del paziente. Negli
ultimi tempi, l'attenzione si è spostata verso il paziente, ma la
malattia ha continuato ad essere l'interesse primario della medicina,
nonostante ne coinvolga l'intera persona, tutti gli aspetti della
condizione umana, fisica, personali, psicologici, sociali e spirituali. Which
impairments will come to the person's awareness in any instance, be most
intrusive or important, follows from the nature of the illness, the
particular person, and context (context refers to the social, political,
technological, religious, and physical environment that exists outside of
us). Le conoscenze e le
competenze della medicina devono essere indirizzate non solo verso la
malattia, ma anche verso l’uomo malato con la convinzione di
“(…) Sentire la sua confusione, o la sua timidezza, o la sua
ira o il suo sentimento di essere trattato ingiustamente come se fossero
propri, senza tuttavia che la propria insicurezza o la propria paura o il
proprio sospetto si confondano con i suoi”.
Sickness
and its manifestations are inextricably bound up with the phenomenon of
meaning.La malattia e le sue
manifestazioni sono in modo inevitabile collegate al fenomeno del
significato. Everything that happens to
people; objects, events, relationships, every sight and sound, everything
that happens in or to the body is given meaning.Tutto ciò che
accade alle persone o al corpo ha un significato. Meaning
has cognitive, physical, emotional, and spiritual aspectUn
significato che ha un impatto su ogni dimensione di persone: cognitivo,
fisico, emotivo e spirituale. Thus,
meanings have an impact on every dimension of persons.Quindi, “Il
significato è il mezzo, l'agenzia di intervento, che riunisce tutti gli
aspetti della malattia e delle sue menomazioni, con la persona malata”.
In other words, people do not act because
of events, things, circumstances, or relationships; they act because of
their meanings.
L'importanza della centralità del significato è che lo stesso può
essere mutevole insieme alla realtà vissuta e vista dal paziente;
pertanto, “occorre
convincere questi uomini (….), che buona parte del significato della
loro stessa vita consiste appunto nel vincere nell’intimo le loro
contingenti infelicità (…), nel mostrare che sono all’altezza del
loro destino anche quando è avverso. I nostri ammalati potranno giungere
a considerare la vita come valore (….), solo se insegneremo loro a dare
un contenuto e uno scopo alla loro esistenza: in altri termini ed in breve
(…) Chi ha un perché per vivere, sopporta qualsiasi come”.
Una
In the US,
person-centered medicine has come to denote medicine that is focused on
the patient's goals, expectations, and needs as determined by the patient.
Una UUUU medicina centrata sulla
persona capace di concentrare l’attenzione sulle
aspettative e le esigenze determinate dal pazienteIn
the words of the Institute of Medicine of the National Academy of Science,
it is a medicine “that is respectful of and responsive to individual
patient preferences, needs, and values.” This defines an accommodating
and benevolent medicine but it is not the person-centered medicine that
arises from consideration of both the nature of persons and of sicknes,
rispettosa e sensibile dei suoi bisogni e valori, di "vivere
il dolore degli altri, dei pazienti (…) prenderne coscienza nella sua
entità fisica e psicologica (…) distinguere il dolore dalla sofferenza,
mentre spesso ci concentriamo sul dolore fisico e trascuriamo la
sofferenza e qui sta la differenza fra curare la malattia e curare il
malato".
Una
benevola accoglienza, un’alleanza tra medicina e pedagogia può
rispondere ai bisogni specifici educativi, comprendere, rispettare e
valorizzare i diversi cammini di conoscenza e di crescita.
Occorre dare preminenza
e soddisfacimento ai
bisogni specifici d’ascolto, di comunicazione, di relazione
interpersonale, di emozione, di attenzione, di movimento, d’integrazione
ed, infine, di apprendimento. Bisogni i quali, se non soddisfatti,
sfociano in un disagio diffuso
a livello individuale, familiare e sociale che riveste le forme di
solitudine e di allontanamento
dalle proprie capacità e risorse latenti.
Un rapporto di comunicazione tra medico e
paziente che richiede la capacità del primo di comprendere i tempi di cui
il malato ha bisogno per comprendere la diagnosi, per individuare i
meccanismi di difesa e di adattamento e di percepire la reale volontà del
paziente, al fine di poter partecipare “attivamente” e consapevolmente
alle scelte terapeutiche. Torna utile riportare ciò che Cassel ha
recentemente scritto: “Trentacinque, quarant’anni fa era accettabile
pretendere che il contesto, la malattia e altre persone, benevoli o meno,
non avessero alcun impatto sull’autonomia. O che possano esistere delle
scelte totalmente indipendenti. Queste idee...nascono da una visione della
condizione umana paragonata ad atomi individuali che si muovono nelle
proprie orbite e sono tanto sbagliate quanto il modello scientifico
positivista e atomistico sulla quale sono basati. Il compito è sviluppare
una comprensione delle persone e delle loro relazioni che possano formare
delle basi intellettuali e teoriche per un etica futura e
contemporanea”.
Dunque,
la natura dialogica del processo decisionale medico, è parte integrante
del ruolo e della responsabilità del sanitario nei confronti del
paziente. Il rapporto non può essere ridotto alla semplice elencazione
delle possibili cure. Invece bisogna assicurarsi che i pazienti capiscano
le opzioni e apprezzino le implicazioni che esse hanno per se e per la
loro comunità.
L’ impegno pedagogico è dunque diretto a creare una relazione in
cui il medico tenga conto della globalità della persona che ha di fronte
e del suo modo di vivere la malattia, con un preciso richiamo alla
dimensione soggettiva della sofferenza.
C’è bisogno di una pedagogia
dell’ “avvicinamento all’altro” per allontanare il malessere
esistenziale, per un maggiore tempo di ascolto umano ed attenzione, per
mettere in pratica uno spazio di aiuto reciproco e di discussione
per il superamento delle paure e dei conflitti interpersonali, in
quanto “nella persona vi è una
forza che ha una direzione fondamentale positiva. Più l’individuo è
capito e accettato profondamente, più tende a lasciar cadere le false "facciate" con cui ha affrontato la vita e più si muove
in una direzione positiva, di miglioramento”.
Occorre
uno sguardo di più ampio respiro alla biografia della persona considerata
nella pienezza della sua natura biopsicosociale, la qualità della sua
vita, i suoi progetti, le sue emozioni e i suoi sentimenti. Bisogna
ovviare a quella “amputazione biografica” che presume di definire
“la malattia(…) pura fatalità, (…) che avviene senza nessuna
connessione con dati antropologici”.
Nel continuo e costante progresso delle tecnologie mediche c’è anche
una sorte di allontanamento del significato di malattia inserito nel
contesto esistenziale delle persone coinvolte, determinando e sviluppando
così “la patologia dell’ascolto: quella incapacità di porsi in
atteggiamento di condivisione del vissuto dell’altro(..)”, una crisi
delle relazioni interpersonali che sviluppa “(..) la malattia
dell’ascolto e la sua morte, crisi che attanaglia l’individuo e lo
emargina, specialmente se sofferente”.
Vi è, dunque, l’indispensabilità di una pedagogia dell'ascolto che
guarda il paziente come risorsa
nel percorso di cura, distante dal pensare che egli sia un semplice
insieme di sintomi o portatore di bisogni. Sostiene Gadamer che
“Imparare ad ammettere la malattia: forse questo è uno dei più grandi
cambiamenti del nostro mondo civile, che pone nuovi compiti ed è stato
provocato dai progressi della medicina. Deve pur significare qualcosa il
fatto che il medico oggi sappia apparentemente far svanire per incanto così
tante malattie, al punto che esse scompaiono con facilità senza aver
insegnato nulla al paziente.(….) Il sostegno migliore che gli esseri
umani possano trovare per se stessi consiste, secondo me, nell’imparare
ad accettare davvero la condizione di reciproca dipendenza che
caratterizza l’esistenza di tutti”.
Il paziente può assurgere alla funzione di vero e proprio consulente,
l’esperto che aiuta il professionista a modulare le proprie decisioni,
con lo scopo di aiutare i malati
è trovare un significato per la loro sofferenza, una finalità e una
direzione dignitosa all’intimo dolore esistenziale al fine di “
(…)rendere attiva la vita dei nostri malati, di fare in modo che essi
passino dall’atteggiamento di “patiens”
a quello di “agens”,
(….)per realizzare valori; (…)dimostrare loro che il compito cui
debbono dedicarsi e della cui attuazione ed esecuzione sono responsabili,
è un compito specificatamente personale”.
In tal senso, si afferma fortemente il processo relazionale
dell’atto medico la cui essenza è costituita – come ci insegna Paul
Ricoeur
– dal “patto di fiducia”. Infatti
la relazione tra malato e medico inizia
attraverso un patto di fiducia reciproca, in cui il malato descrive i
propri sintomi e la propria sofferenza e chiede la guarigione; pertanto il
medico accoglie il paziente, fa una diagnosi e prescrive la cura.
A questo punto il patto di cura
diviene una sorta di alleanza tra il medico e il malato contro il nemico
comune “la malattia”.
Particolarmente significativi sono i tre precetti indicati da Ricoeur come
costitutivi del “patto delle responsabilità”, che riconoscono il carattere
singolare della situazione di
cura e la singolarità del paziente; l’indivisibilità
della persona, difatti non si curano gli organi malati, ma un essere umano
nella sua totalità; la cura della stima
in sé del malato. Infatti il malato non deve mai essere messo in
condizione di perdere la stima in sé e la propria dignità di essere
umano. Ricouer evidenzia che è compito del medico creare un clima di
alleanza con il paziente contro la malattia, cercando di coinvolgerlo
psicologicamente e moralmente, in modo che il paziente diventi partecipe
della sua cura, al fine di evitare che
l’evoluzione dalla medicina clinica a quella tecnologica
determini un sempre più un progressivo distacco del medico dal paziente
ed un impoverimento antropologico.
Scrive Karl Jaspers:
“La scienza viene trasmessa mediante l’insegnamento, in modo
esplicito, nella misura più ampia possibile. L’umanità del medico, per
contro, si tramanda grazie alla sua personalità, impercettibilmente,
istante dopo istante, attraverso il suo modo di agire e di parlare,
attraverso lo spirito che regna in una clinica, in quell’atmosfera
silenziosa e pur tacitamente presente che è necessaria all’esercizio
della professione medica. L’insegnamento va pianificato e si fa via via
più chiaro, didatticamente migliore. La ricerca scientifica accresce il
sapere e l’abilità. Si fa più critica e metodica. L’umanità, al
contrario, non è pianificabile. Torna a svilupparsi nuovamente, senza
alcun progresso fondamentale, in ogni medico, in ogni clinica, grazie alla
realtà stessa dell’uomo medico”. Ed ancora il filosofo tedesco
sottolinea come “Attraverso l’intimità con i suoi malati, il medico
perviene, nella sua sobrietà, all’esperienza umana. Di fronte al
bisogno egli giunge, nella pratica, alla visione filosofica, all’eterno,
quella visione che, sola, sa volgere in bene il progresso. Il medico che
costringe il ricercatore presente in lui a essere cosciente dei propri
limiti, che attraverso la riflessione cede la guida al filosofo che è in
lui, di fronte ai pericoli mortali provocati dalle conseguenze della
tecnica e dei fuochi fatui, potrebbe trovare, per conto di tutti, la via
che conduce fuori dalla prigione del limitato pensiero intellettivo. Forse
è ai medici che spetta lanciare il segnale…”, nel ricordo della frase
ippocratica: "non mi interessa che tipo di malattia ha quell’uomo,
ma che tipo di uomo ha quella malattia". Invero, oggi la medicina
moderna cerca la verità nell’oggettività,
mediante un modello che
comporta perdere di
vista l’ "uomo malato ". E’ necessario, per una società
tendente a sottoporre la vita umana al dominio scientifico e tecnologico,
che alla base di tutto ci sia il dialogo tra medico e paziente, che faccia
strada a
relazioni umane
cariche di sentimenti e valori, un impegno costante alla
comprensione ed all’ascolto dell’altro. C’è l’aspettativa che
medici curino i propri pazienti, dove "Curare vuol dire palpare,
ossia tastare con la mano il corpo del malato, con attenzione e sensibilità,
in modo da percepire le tensioni e gli indurimenti definiti dolore, che
forse confermano o correggono la localizzazione soggettiva effettuata dal
paziente”.
L’ esplicitazione di Galimberti è fortemente chiara, "per
lo sguardo medico la malattia ha un decorso e un esito, mai un
senso"; in quanto "lo sguardo medico non incontra il malato, ma
la sua malattia, e nel suo corpo non legge una biografia ma una patologia,
dove la soggettività del paziente scompare dietro l'oggettività dei
segni clinici, che non rinviano ad un ambiente, ad un modo di vivere, ad
una serie di abitudini contratte, ma ad un quadro clinico, dove le
differenze individuali, che si ripercuotono nella evoluzione della
malattia, scompaiono”.
Sostiene,altresì, Galimberti: “Se gli uomini non sono cose il modo in
cui sono al mondo e il senso che il mondo assume per loro sono causa di
malattia, non meno delle componenti fisico-chimiche che lo sguardo
clinico, per le regole imposte dal metodo scientifico che lo esprime,
individua come uniche cause. Percorrendo questa via, ciò che è possibile
accertare sono i fatti, non i significati, la successione causale non la
produzione di senso, l’ordine della spiegazione non l’ordine della
comprensione”.
Una comprensione finalizzata non soltanto alla gestione medica della
patologia, ma ad un dialogo che conduce ad un’alleanza terapeutica,
nella quale la persona malata è in attesa di beneficio in virtù di
un’opera di ascolto del proprio vissuto. Una richiesta di aiuto accolta
mediante “(…) una relazione in cui almeno uno dei protagonisti ha lo
scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed
il raggiungimento di un modo di agire più adeguato ed integrato(…). In
altre parole una relazione di aiuto potrebbe essere definita come una
situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire, in una o ambedue
le parti, una valorizzazione delle risorse personali del soggetto ed una
maggiore possibilità di espressione” (Rogers,1970). Da queste convinzioni, la medicina “deve
recuperare quella credibilità di scienza al servizio dell’uomo
sofferente, (..) in grado di decodificare i segnali più criptati di
richiesta di aiuto, di scienza in grado di fornire risposte operative
valide (…..)”(Petiziol,1997).
Gadamer,
invita a riflettere su quanto sia accaduto oggi con la scienza moderna e
con la sua universale e assoluta oggettività. Egli dedica grande
attenzione alla tanto auspicata “arte della salute”.La
medicina deve operare su singoli pazienti, deve ampliare lo spazio
umanitario degli interventi, l’”uomo malato” deve
poter contare nella sua interezza in modo che “(…)
I confini tra il mondo della scienza e quello della vita vengono tuttavia
a cadere. Quando si tratta dell’applicazione di conoscenze scientifiche
alla proprie salute, non si può venire curati soltanto dal punto di vista
scientifico”.
Un modello che fa del medico
un “tecnico”, che semplifica l’iter diagnostico-terapeutico, che
ritiene non rilevante la componente soggettiva della malattia, in quanto
è più facile curare l'organo malato che non la persona malata nella sua
globalità. Ed allora “Cosa è la salute?” si chiede Gadamer e formula
questa risposta: “Sappiamo approssimativamente in cosa consistono le
malattie, in quanto sono per così dire caratterizzate dalla rivolta del
"guasto". Si manifestano come oggetto, come qualcosa che oppone
resistenza e quindi va spezzato (...). La salute, invece, si sottrae
curiosamente a tutto ciò, non può essere esaminata, in quanto la sua
essenza consiste proprio nel celarsi”.
Nessuna attenzione per gli
altri aspetti presenti nella relazione tra medico e paziente. Il rapporto
dialogico deve dire basta alla centralità della malattia, deve consentire
al medico di condividere col malato la condizione di sofferenza, in quanto
“fa parte della medicina non solo la lotta vittoriosa contro la
malattia, ma anche la convalescenza e in fondo la cura della salute” .
Quindi,
il rapporto medico-paziente non può che svilupparsi in maniera positiva,
conducendo ad un giusto intervento in una forma di dialogo che coinvolge
entrambi, in cui “(…) nessuno
ha il sopravvento in quanto è il dialogo stesso a coinvolgerci tutti”.
Ascoltare gli altri deve
essere la capacità di "Prestare ascolto ad ogni voce e lasciare che
ci dica qualcosa: questo è l'arduo compito che ogni uomo trova di fronte
a sè. Ognuno ha il dovere di ricordarsene, ma ricordarlo a
tutti(…)", una vera e propria indicazione di comportamento per noi
tutti a cui spetta il compito di "realizzare una organizzazione delle
energie umane per trovare un equilibrio che corrisponda a quello della
natura".
Il medico, però, deve andare oltre l’oggetto specifico del suo
sapere e della sua capacità pratica,
egli deve riuscire a conciliare la sua vita professionale con
l’impegno umano che essa comporta, laddove il paziente ha bisogno di
essere considerato in tutta la situazione complessiva della sua esistenza.
Bisogna sempre tener presente che siamo tutti uniti in un unico mondo
della vita che ci sostiene rapportandoci reciprocamente l’un l’altro;
per cui il compito di ciascuno di noi e del medico, in special modo, così
come di qualsiasi altro scienziato, è quello di tenere uniti, da un lato,
“(…) la competenza altamente
specializzata”, dall’altro, il proprio “(…)
far parte del mondo della vita”.
Una più umana medicina che deve “(……)
riportare l’attenzione dei sistemi dei servizi(..) sull’utente(…)
per riportarlo in posizione di centralità”.
Rafforzare il concetto della centralità del malato, attraverso
l’umanizzazione, significa fortificare l’idea che l’uomo va
assistito e curato nella sua globalità e “(…….) soprattutto da un
lato considerare e tenere insieme le molteplici dimensioni ed esigenze
dell’uomo, comprese quelle nascoste, nella loro globalità, non
riducendo il paziente all’organo o alla funzione fisica, psichica,
relazionale malata, compromessa”.
Una visione del malato da assistere e curare nella sua globalità che
viene da molto lontano “Tutti i mali e tutti i beni(….) provengono al
corpo e all’uomo dall’anima, dalla quale affluiscono come dalla testa
agli occhi: bisogna dunque curare in primo luogo e soprattutto quella, se
la testa e il resto del corpo devono star bene”.
Alla base di questa filosofia resta
sempre il rispetto dell’essere umano sofferente, l’attenzione a tutto
quello che si può e si deve fare, alla vita del paziente, privilegiandone
gli aspetti qualitativi e arricchendo ogni suo istante di significati e di
senso; la capacità di ascoltare, dare presenza, restaurare i rapporti
umani, entrare in rapporto emotivo con pazienti e familiari e di saper
riconoscere i propri limiti
come curanti, recuperando il
senso profondo della medicina come scienza ed arte per la salute
psicofisica dell’essere umano. Il medico ed il malato, ha scritto
Jaspers, “si trovano uniti da un legame prevalentemente umano (……)
gli accadimenti patologici del suo malato hanno un senso che egli deve
comprendere. Il medico può instaurare con il malato una comunicazione
esistenziale che oltrepassa ogni terapia. Medico e malato sono allora
entrambi uomini(…). Il medico, ora, non è più un semplice tecnico, né
un’autorità, ma un’esistenza per un’esistenza, un essere umano
transeunte insieme ad un altro essere umano transeunte”. Anatole Broyard, sulle
problematiche psicologiche e spirituali di fronte del cancro, ha scritto about
the psychological and spiritual challenges of facing
metastatic prostate cancer."Per
il tipico physician,” he wrote, “my
illness is a routine incidentmedico la mia malattia è un incidente
di routine nel suo giro, mentre per me è la crisi della mia vita. Mi
sentirei meglio se avessi un medico (.......) Vorrei solo (........), solo
una volta, essere legato con me per un breve spazio(…….) per arrivare
alla mia malattia (..) ogni uomo è malato nel suo modo suo".
Il
malato ha bisogno di sicurezza dalla minaccia psico-fisica della malattia;
bisogno di autostima e rispetto della dignità del proprio essere, che
implica il non sentirsi un peso e la necessità di essere ancora
apprezzato nonostante le difficoltà dovute alla malattia.
Scola A., Se vuoi, puoi guarirmi. La salute tra speranza e
utopia, Editore Cantagalli
2001
AA. VV., What is
expected of the physician. The practice of medicine. Harrison’s
Principles of Internal Medicine, 2001.The
dominant theory of sickness for the past two centuries has been that
when someone is sick it is because of disease or injury.
Rogers C. R., (1951) - La terapia centrata sul cliente –
La Meridiana Ed.,
Molfetta, 2007.
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EJ., La natura della sofferenza e
degli obiettivi della medicina, Oxford University Press, 2004.
Sullivan WF, Come distinguere tra decisioni colpevoli e decisioni
etiche giuste alla luce del rifiuto di cure per il prolungamento della
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generale, 2008
Rogers C., “La terapia centrata sul cliente”, Martinelli Editore,
Firenze,1970.
Ricoeur P., Il giudizio
medico, Morcelliana, Milano 2006
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Broyard
A. Intoxicated bymyillness: and the life and death otherwritingson
New York: Ballantine, 1992.
P
S I C T V
La
Web Tv per la Psicologia e La Psicoterapia |
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