Paola Locci
Per Natale voglio raccontarvi una favola.
Tanto tanto tempo fa, c’erano tre ragazze, tre amiche, sui vent’anni, carine e simpatiche. Erano entrate nel mondo del lavoro molto presto, per quella strana mania dei giovani dell’epoca di diventare indipendenti, e quell’anno avevano deciso di godersi le meritate vacanze estive in una ridente cittadina del sud. Erano partite con una 500, pinne e bagagli, alloggiavano in città in un alberghetto appena dignitoso e tutte le mattine si recavano alla vicina spiaggia libera, con panini e crema solare. Niente stabilimenti, niente ombrelloni, niente servizi. Solo il mare cristallino e qualche baracca di pescatori. Nel giro di pochi giorni la loro presenza attirò, com’era giusto sano e naturale che fosse, alcuni ragazzi che, essendo del luogo, conoscevano quella meravigliosa spiaggia semideserta, appena discosta dal circuito, comunque scarso, del turismo familiare. Un po’ di diffidenza iniziale, dettata dalla cautela che si acquisisce vivendo in una grande città, fu presto dissipata dalla buona educazione, la cortesia, il rispetto non ipocrita e non affettato, dei ragazzi, qualcuno studente, qualcuno artigiano. Le giornate passavano serenamente, tra bagni e lunghe chiacchierate. La grande gioia di comunicare tra coetanei esperienze diverse, in regioni diverse della stessa nazione, quando non esistevano ancora internet e cellulari e trecento chilometri sembravano tremila. E la macchina fotografica faceva foto in bianco e nero. Tra questi ragazzi “grandi” si intrufolarono quasi subito un paio di ragazzini quindicenni, e un loro cuginetto riccioluto di 3-4 anni, che aveva un fisico sorprendente: non cicciottello e morbido come un bambolotto, ma un fisichetto asciutto e muscoloso come un piccolo uomo in miniatura. Uno dei due quindicenni in particolare cercava di esserci sempre, discreto e mai invadente. Un ragazzino magro magro con gli occhi del colore del mare quando il cielo è nuvoloso e una zazzera bionda che tradiva lontane origini normanne, come per molta gente del sud. Nino era il nono figlio di una famiglia di pescatori, una di quelle che vivevano sulla spiaggia. Era una famiglia poverissima, che campava davvero solo di pesca; il padre, intravisto una volta da lontano, sembrava un vecchio, anche se non doveva esserlo. Una volta Nino, invece di andare a pesca, andò a raccogliere i ricci per quelle belle ragazze scese dal nord; si tuffava e si rituffava come i pescatori di perle e quei ricci, forse, a lui sembravano proprio perle. Le prese dal padre di santa ragione, ma lui non lo avrebbe detto neppure con una pistola puntata alla tempia; lo raccontò la sua ragazzina, quindicenne anche lei. Era un ragazzino speciale, fine, dolce, forte, garbato come un piccolo lord. E le ragazze lo trattavano con altrettanto garbo, e considerazione. Lo incoraggiarono a studiare, a darsi da fare per migliorare la sua condizione; lui diceva ma noi siamo molto poveri, come faccio a studiare? Fai qualche sacrificio, ci sono scuole serali, puoi lavorare e studiare, sei giovanissimo e intelligente, puoi farcela. La vacanza finì, come tutte le cose belle. Scambi di indirizzi, promesse di rivedersi, abbracci e occhi umidi. Trentasei anni dopo, ad una delle (ex) ragazze arriva una telefonata. Ti ricordi di me? Sono Nino il pescatore. Cioè, non sono più un pescatore. Ho fatto tesoro dei consigli, mi sono messo a lavorare in fabbrica e la sera studiavo. Mi sono sposato prestissimo con la mia ragazzina di allora. Così mi sono diplomato e ho una piccola azienda dove lavorano anche i miei due figli più grandi. Ora sulla spiaggia ho una villa. Ho anche una figlia, che ancora studia e, sai? le abbiamo dato il tuo nome. Quando siete partite, tu mi hai regalato la tua maschera subacquea e io l’ho conservata per tutti questi anni. Volevo dirtelo, che sono un uomo realizzato, e felice. Magia delle parole! Bisognerebbe ricordarselo più spesso che una parola buona può fare miracoli. Ah, quasi dimenticavo di dirvelo: è tutto vero. Ho appena ricevuto le foto dei nipotini di Nino, un maschietto e una femminuccia con gli stessi occhi grigio-azzurro, lo stesso sguardo dolce e gentile.
Buon Natale
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