Vacanze, sudore e… struzzi Paola Locci Cominciano, per alcuni sono già cominciate, le vacanze. Che, contrariamente a quanto la radice del termine significa (dal latino “vacuum” = vuoto), è un periodo tutt’altro che vuoto. Anzi: diventa per molti un tour de force senza un momento di tregua. Non parlo di coloro che utilizzano le ferie per un viaggio e cercano di vedere più cose possibili di un paese in cui forse non torneranno mai più. Parlo di quelli che si trasferiscono armi e bagagli in un’altra casa, o in un albergo o un campeggio per quella che si chiamava una volta vacanza “stanziale”. Al mare, o in montagna, o al lago… è tutto un frenetico agitarsi, correre, ballare, nuotare, marciare… il tutto molto rumorosamente. Quest’anno è esplosa la moda del fitness sulla spiaggia: dappertutto cyclette, sacchi da boxe, pedane per lo step, e altri innumerevoli diabolici aggeggi che avrebbero la funzione di rendere “tonici” per poter indossare dei micro-costumi e poter saltellare senza imbarazzanti ballonzolii di ciccia mentre si saltella per… essere tonici, poter indossare i micro-costumi e saltellare… eccetera. Dappertutto gruppi di assatanati lucidi di crema e sudore che zompano incessantemente al suono di musiche martellanti. Mi ricorda certi riti tribali in cui tutti entrano in trance al suono dei tamburi, mentre girano intorno ad un fuoco sacro. Chi si azzarda a rimanersene sdraiato all’ombra, magari a leggere il giornale, o anche semplicemente a far nulla (orrore!), è subito considerato out, strano, sospetto, snob, e chissà che altro. Chi, rimasto in città, protesta per i clamori festaioli notturni, è considerato un asociale, un rompiscatole. La parola d’ordine è DIVERTIRSI, in tanti, a qualunque costo, e come ai lavori forzati: correre, ballare, nuotare, marciare. Come se queste cose non si potessero fare tutto l’anno! Ma allora perché questa necessità di concentrare tutto in pochi giorni, come se fossero gli ultimi della propria vita? Non so perché ma non riesco a convincermi che - per molte di queste persone, anche se non tutte - si tratti veramente, e solamente, di divertimento. Mi sembra piuttosto uno stordirsi, un allontanarsi (“divèrtere” (lat.) = volgere altrove, distogliere) forzosamente da sé stessi, dalla propria vita. Se si vive un anno intero in attesa di VIVERE quei 7, 15, o – i più fortunati - 30 giorni di totale frenesia, forse varrebbe la pena di domandarsi cosa c’è che non va negli altri 350 giorni dell’anno. Una delle cose che più frequentemente mi vengono dette nella mia pratica terapeutica è: ho paura di scoprire qualcosa di me che non mi piace. E’ forse questa paura che impedisce a molte persone di fermarsi un attimo e… trovarsi soli di fronte a sé stessi? Durante tutto l’anno ci pensa il lavoro a distrarre, gli impegni pressanti di casa, famiglia, varia burocrazia, e campionati assortiti di calcio. Ma in vacanza? Eppure, quasi sempre si potrebbe scoprire di essere migliori di quanto si pensi. Dimenticare per un po’ i problemi? Certo, è positivo, è naturale, ma per un po’. La politica dello struzzo non funziona sulla lunga distanza. Può darsi che il nostro lavoro non ci soddisfi, che il nostro/la nostra partner non sia esattamente la persona giusta per noi, che il luogo in cui viviamo non sia più a nostra misura. Siamo sicuri che non è possibile far nulla? A volte si tratta di problemi grossi, e allora una vacanza può veramente servire a spezzare, a ricaricarsi. Ma spesso si tratta di problemi che sarebbero risolvibili, se solo ci soffermassimo un po’ ad analizzarli. Un problema può essere un ostacolo alla nostra serenità, ma può diventare - se ci decidiamo ad affrontarlo - una preziosa opportunità di miglioramento. Magari potremmo arrivare a vivere intensamente e felicemente 350 giorni all’anno e per i restanti giorni… riposare! Un ultimo pensiero a chi in vacanza non va o non può andare. Può essere molto appagante riscoprire la BELLEZZA delle cose semplici: leggere un bel libro, ascoltare bella musica, vedere qualche bel museo dietro casa, o bersi un caffè chiacchierando con qualche bella persona.
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