"You, ti insegnerò che cos'è la sapienza: riconosci di sapere quel che sai e di non sapere quello che non sai. Questa è la
sapienza
(Confucio)" Sto riflettendo da qualche tempo su uno sconcertante fenomeno riguardo al quale lancio una provocazione, e su cui mi piacerebbe anche conoscere l’opinione di chi mi legge. Mentre tutti sono pronti ad osannare un calciatore che infila una palla in una porta, o chi pedalando taglia per primo un traguardo, o la miss più bella del mondo per il grande merito di... essere bella, esiste uno strano pudore nell’esprimere apprezzamento a chi sa. Naturalmente questa frase è un eufemismo: sarebbe meglio dire che esiste una certa manifesta ostilità verso chi, pur interpellato, "esibisce" preparazione, perizia, capacità, cultura. Chi sa deve far finta di non sapere, deve dire le cose che sa facendo finta che si tratti di un timido parere, come se quella conoscenza non gli fosse costata altrettanta fatica quanta ne fa uno sportivo per raggiungere un record. Infatti, talvolta le persone avvertono, di fronte a chi ne sa di più, uno sgradevole senso di inferiorità, misto ad umiliazione, che non si sognerebbero di provare di fronte ad un campione sportivo o ad un divo dello spettacolo. Spesso viene tirata in ballo a sproposito la famosa frase di Socrate per cui è saggio, apprezzabile, degno di stima, chi SA DI NON SAPERE. Ho detto “a sproposito”, perché in realtà è possibile sapere cosa non si sa, ma anche cosa si sa; oltre tutto, solo conoscere i propri limiti consente, se si vuole, di superarli e andare oltre, fino ai prossimi... limiti. Ma chi sa non deve dirlo. Mai. Deve dire: è mia modesta opinione che... sembra probabile che... si potrebbe pensare che... E soprattutto “ lei m’insegna”: mai insinuare il dubbio che l’altro non sappia nulla dell’argomento, anzi che non ne sappia di più. Una formula di cortesia? Non credo. Perché allora, dopo la formula, dovrebbe emergere il riconoscimento della maggiore competenza di chi ad un argomento o ad una materia ha dedicato degli anni o un’intera vita. Se, in nome di un deleterio relativismo culturale, si ammettesse che tutte le opinioni sono equivalenti, si dovrebbe ammettere che le conoscenze essendo tutte relative (e non, come invece sono, perfettibili), non servono a nulla: un ingegnere non progetterebbe mai un ponte, un medico non prescriverebbe mai un farmaco, ogni giudice farebbe come Ponzio Pilato. Tutto ciò accanto ad una tendenza, direi quasi epidemica, ad aprire bocca e dargli fiato. Molti, forti della pur giusta libertà di parola, si sentono in diritto, quasi in dovere, di esprimere opinioni su tutto e di più, senza averne la benché minima competenza, mentre, paradossalmente, i veri esperti vengono spesso degnati sì e no di una “accondiscendente” attenzione, quel tanto che basta a trovare appigli per poterli mettere in discussione. Un po’ di tolleranza in più è riservata alla medicina e a qualche scienza esatta di consolidata tradizione. Fateci caso: nei salotti televisivi, vetrina e specchio – ahimé - della nostra società, si accetta tranquillamente che chiunque spari sentenze, anche le più approssimative e assurde, o improbabili e aggressive, tutte con un elemento in comune: nessuna prova a supporto di quanto sostenuto. Ma se per caso, in TV come nella vita quotidiana, qualcuno si azzarda a dire qualcosa, motivandola e spiegandola, o – addirittura! – citando le fonti da cui tale affermazione deriva, è probabile che venga definito come minimo saccente, pedante, se non addirittura arrogante e presuntuoso. A meno che non s’impegni in acrobazie verbali che tendano a procacciarsi la simpatia degli interlocutori, esprimendo continuamente dubbi e lacune, o mostrando subito qualche aspetto carente o magari buffo, degno di umana comprensione, che compensi e faccia perdonare l’eccessiva competenza in qualcosa. Chi eccelle, per talento naturale, o per l’esigenza di farsi benvolere, nell’arte del “so-ma-faccio-finta-di-non-sapere”, sa anche quanto è importante il tono della voce: deve essere dolce, pacata, sommessa, possibilmente accompagnata da un sorriso innocente. Un atteggiamento nel complesso che dica: scusate se io ne so più di voi, non è colpa mia, non voglio farvi torto, abbiate pazienza con me che ho tanto sudato su libri e trattati... che volete... nessuno è perfetto! Il primo della classe, il "secchione" è, a priori, antipatico, quindi, se vuole sopravvivere, deve impegnarsi, come dicevo prima, a far finta di essere meno preparato, meno intelligente, meno primo della classe, insomma. Sarebbe interessante capire come è nata questa stramba idea. Su quali basi poggia le proprie motivazioni. Su un malinteso senso dell’uguaglianza obbligatoria? Sull’invidia? Sul cosiddetto complesso d’inferiorità? Ma allora, perché non si manifesta in tutti gli altri campi dell'umano cimento? Il risultato è che talvolta si vedono persone di indubbio talento e incontestabile competenza, impegnate loro malgrado in un ridicolo minuetto verbale, oscillante tra l’ipocrisia e la falsa modestia, un comportamento che dovrebbe – questo sì – essere vissuto come offensivo e umiliante da chi ascolta, se non fosse ormai così radicato e diffuso, da essere viceversa apprezzato e considerato assolutamente normale. Il sapere, lei m’insegna, è potere e allora, forse, più che da chi vuole condividerlo, bisognerebbe guardarsi da chi vuole tenerselo stretto..
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