Paola
Locci Di Helen Keller la sua insegnante Anna Sullivan diceva: “Impara perché non può fare altrimenti, esattamente come un uccello impara a volare”. Helen era nata sordo-cieca e per sette anni era vissuta in uno stato d’isolamento quasi totale. Poi, in un anno e mezzo, grazie all’intuito eccezionale della Sullivan, aveva imparato schemi verbali complessi, verbalizzazione di sentimenti ed emozioni, comportamenti corretti e un’interpretazione assolutamente adeguata di una realtà mai conosciuta. E’ una vecchia famosa vicenda della prima metà del secolo scorso che ha dato un notevole apporto alle limitate conoscenze dell’epoca sull’apprendimento. Ricerche successive, soprattutto in ambito neurofisiologico e linguistico, hanno dimostrato definitivamente che la nostra mente possiede—geneticamente ereditati— degli “schemi di base generali” che sono comuni a tutte le culture umane, su cui poi viene strutturato il pensiero e il linguaggio. In altre parole, la conoscenza viene costruita con modalità a grandi linee uguali per tutti gli esseri umani, ma anche in parte con modalità peculiari per ogni individuo, e naturalmente utilizzando le informazioni che un determinato ambiente offre. Questo significa che alla nascita il bambino è già dotato della capacità di apprendere, e impara da solo secondo i propri schemi, a patto che non gli manchino gli stimoli esterni e la libertà di esplorare e sperimentare. Quel che resta da capire è il perché di questa spinta così potente e naturale verso la conoscenza, che in tutte le epoche ha portato gli esseri umani a studiare, a viaggiare, ad indagare luoghi fisici e spirituali, alla continua ricerca di verità ed esperienze nuove. Filosofie e religioni tentano da sempre di dare una risposta. Ma è poi importante una risposta? Chi ha la preziosa capacità di apprezzare il godimento infinito che deriva dalla ricerca personale e dalla conoscenza ha il dovere, in un certo senso, di trasmetterla agli altri, soprattutto ai più giovani, come se si trattasse di un tesoro dal valore inestimabile, un piacere spesso avvilito e dimenticato nella superficialità e nella fretta, o mai risvegliato, e che, paradossalmente, è alla portata di tutti. Eppure, nonostante qualcuno abbia detto che è questa spinta alla conoscenza che distingue l’uomo dagli altri animali, a volte, guardando lo sguardo profondo e misterioso ad esempio di un gatto, si ha quasi l’impressione che pensi e rifletta più di tanti “homo sapiens”… forse solo perché dedica alla meditazione molto più tempo!
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