Paola Locci Uno dei meccanismi alla base dell’anoressia è quello per cui la persona ha un’immagine di sé assolutamente non rispondente alla realtà, per lo meno alla realtà che quasi tutti gli altri vedono. In altri termini l’anoressica (ma anche l’anoressico), ossuta e scheletrica agli occhi di tutti e alla prova di bilancia, centimetro e tabelle, si vede e si sente cicciona, enorme, sproporzionata. Ebbene, a vari livelli, ciò accade anche per la psiche. Devo precisare che quando dico gli altri, intendo dire la maggior parte delle persone che ogni essere umano ha l’occasione di incontrare nel corso di un’esistenza: i parenti, gli insegnanti, gli amici, i colleghi di lavoro, i vicini di casa, il resto del mondo insomma. Qualche giorno fa, un signore mi ha detto: “Se tutti da una vita mi dicono che sono permaloso, anche se non mi ci sento, beh, ci sarà un motivo!” C'è un motivo: è un signore permaloso. Ci sono persone che si vedono e si sentono anni luce diverse da come gli altri le percepiscono. Hanno cioè un’immagine di sé non autentica. Attenzione, questo non vuol dire che fingono, che sono in mala fede. Vuol dire solo che non riescono a vedere la loro vera immagine e quindi ne assumono una che pensano possa andar bene. Nelle barzellette c’è sempre qualcuno che si crede Napoleone; e anche nella realtà, purtroppo, ci sono malattie mentali che comportano la convinzione di essere qualcun altro, o qualcos’altro. Io invece intendo qui parlare delle persone cosiddette “normali”, essendo il fenomeno della falsa immagine di sé abbastanza comune. Due esempi per tutti. Talvolta accade che questa immagine di sé sia decisamente peggiore di quella evidente agli altri: si tratta in genere di persone miti, timide, che pensano di avere solo doveri e mai diritti, che sono convinte di avere sempre torto; credono di non sapersi difendere dall’aggressività e dalla prepotenza altrui, quindi assumono un atteggiamento remissivo, sperando di passare inosservate. Sono soprattutto convinte che gli altri siano più in gamba, più intelligenti, più forti. Non è quasi mai vero: è solo l’insicurezza acquisita da bambini (e coltivata dall’ambiente) che determina questa arrendevolezza, quasi sempre accompagnata da un' incredibile capacità di sopportazione e da immotivati sensi di colpa. Gli altri, viceversa, vedono queste persone come affidabili, calme, pazienti. Accade però anche il contrario. Alcune persone si costruiscono un’immagine di sé bella, nobile, altruista; usano continuamente parole come comprensione, tolleranza e solidarietà, salvo poi scontrarsi con una realtà fatta di altri che colgono una ben diversa immagine. Si tratta spesso di individui che si sentono frustrati nella vita lavorativa, delusi dalle relazioni, o che non riescono a realizzarsi come vorrebbero, vittime disarmate di questo mondo di ladri (infatti è negli altri che vedono il peggio). In entrambi i casi, la maschera è una difesa, dall’amarezza, dalla sofferenza, dalla sensazione di sconfitta. In entrambi i casi, è una difesa fallimentare. Gli individui del primo gruppo non vedono i propri aspetti positivi, non sanno valutare ed apprezzare le proprie capacità, quasi mai inferiori a quelle degli altri. Gli individui del secondo gruppo sono talmente preoccupati di nascondere i propri lati negativi, che sprecano tutte le energie a sentirsi buoni, invece che utilizzarle per sentirsi, ed essere, meno frustrati. In tutti i casi, bisognerebbe riflettere un po’ di più sull’opinione che gli altri hanno di noi ed ascoltare con un po’ più di fiducia le osservazioni che ci vengono dalle persone che stimiamo. Non per farcene condizionare, ma per avere di noi stessi una visuale diversa da quella nostra, come uno specchio in cui guardarsi con onestà e coraggio, il coraggio di conoscersi veramente prima di poter accettare di noi sia i lati positivi che quelli negativi. Si potrebbe dire che ci conosciamo quasi bene quando ciò che vediamo di noi coincide, più o meno, con quanto vedono di noi, nel bene e nel male, gli altri.
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