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Sono depresso!

Paola Locci

Una vecchia canzone di Renato Zero scandiva “sono depresso”… ma con una tale vivacità e una tale grinta che era molto difficile pensare che si trattasse veramente di depressione! Oggi sono un po’ depresso… Quante volte abbiamo detto o sentito questa frase? Nella maggior parte dei casi, quando si dice "sono depresso" si intende dire: sono un po’ giù di corda, sono di pessimo umore, oppure sono triste, malinconico, abbacchiato. Nonostante l’uso disinvolto di questa parola, la depressione è un argomento tutt’altro che facile. Si può tentare tuttavia di semplificare ciò che non è semplificabile e sintetizzare quanto non è sintetizzabile, a patto di non perdere di vista la reale complessità di tale argomento. D'altronde esistono sulla depressione monografie, tomi, trattati, a cui si rimanda chi volesse saperne di più. Prendo a prestito due termini inglesi – si sa che la lingua inglese è eccezionalmente sintetica – che sono helplessness e hopelessness. Questi due termini indicano rispettivamente una situazione, vissuta soggettivamente, in cui non c’è possibilità di essere aiutati, e non c’è possibilità di speranza. Quindi il modo di vedere le cose del depresso, quell’umore nero che quasi tutti saltuariamente abbiamo sperimentato è talmente intenso e pervasivo che non permette di vederne la fine . Ognuno di noi, soprattutto se non è più giovanissimo, sa che certi momenti, in cui si vede tutto nero, vengono e poi… passano. Al depresso manca proprio questa consapevolezza, anzi, la sua convinzione è che non ne uscirà mai più. A tale convinzione possono associarsi i sintomi più diversi: ad esempio inspiegabili disturbi fisici; o la stanchezza, che non è la normale stanchezza che si manifesta dopo una fatica, è una stanchezza, uno sfinimento, che si sente prima di una fatica, fosse anche la più piccola. Fino al punto, nei casi più gravi, da non aver più la forza, ma sarebbe meglio dire la motivazione, per muoversi, per fare, persino per parlare. Ad aggravare la situazione, c’è un altro fatto: a nessuno verrebbe in mente di dire ad un malato con la febbre “sforzati di fartela passare, mettici un po’ di volontà, dipende da te”... Ma questo è spesso ciò che il già disperato depresso si sente dire, pur con le migliori intenzioni, da chi gli sta intorno. Ma come nasce la depressione? Anche in questo caso cercherò di sintetizzare i punti essenziali delle diverse teorie che cercano di spiegare la patogenesi della depressione. Da un punto di vista strettamente medico, la depressione è una malattia, e come tale è descritta nelle nosografie ufficiali. Sarebbe ancora più esatto parlare di depressioni, in quanto esistono varie forme di depressione, con caratteristiche e manifestazioni differenti, e differenti gradi di gravità. I teorici dell’organicismo mettono l’accento su uno squilibrio tra i neurotrasmettitori, che sono, come dice il termine, dei messaggeri chimici, in pratica delle molecole, che viaggiano da una cellula nervosa all’altra, portando messaggi di vario genere. Che la depressione comporti o coincida con questo squilibrio, è provato dall’efficacia di alcuni farmaci che tendono appunto a ripristinare una situazione fisiologica. Ma c’è un problema: non è ancora chiaro se questo squilibrio sia la causa o l’effetto della depressione. C’è infatti un diverso modo di vedere la depressione, ed è quello di interpretarla non come una malattia, ma come un sintomo, come rivelatrice cioè di qualcosa di più globale, che investe tutta la personalità di un individuo: è come se una sofferenza profonda e sedimentata, dovuta alle cause più diverse, dalla deprivazione di affetto nell’infanzia, a precoci esperienze di perdita, ad una mancanza di autostima e sicurezza, sfociassero– in determinate circostanze e apparentemente senza un nesso evidente – in una depressione. Insomma una malattia dell’anima che rimane a lungo latente, come certi virus herpes, per poi aggredire nei momenti di maggiore fragilità e debolezza. Come per altri quesiti in tutti i campi dello scibile, sarebbe bene non escludere mai alcun apporto e tener conto dei vari fattori che potrebbero completare il quadro delle nostre conoscenze. Non a caso sempre più spesso, e non solo per i problemi psichiatrici, si parla di multifattorialità. E’ probabile che su una base costituzionale di un certi tipo, alcune circostanze di vita o alcuni eventi, non necessariamente traumatici, concorrano a creare quella situazione di sofferenza psicologica, unita ad uno scompenso fisico-chimico, che chiamiamo "depressione". A sostegno di quanto appena detto, due parole sulla terapia. Tutte le più serie e recenti ricerche concordano su un punto: la maggiore efficacia terapeutica si ottiene combinando un trattamento farmacologico, soprattutto all’inizio, con una buona psicoterapia che tenda a scoprire alla radice le cause che predispongono alla depressione, e ad individuare ed eventualmente modificare quegli atteggiamenti mentali che possono portare facilmente a delle ricadute. Insomma il farmaco come aiuto, non come unico rimedio. Pensiamo ad una barca a vela: talvolta per uscire dal porto, stretto, affollato e riparato dal vento, si ha bisogno del motore. Ma una volta in mare aperto, si possono spiegare le vele...

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