Limiti Dall’individuo “sincero” alla società violenta Paola
Locci Sarà
capitato anche a voi che un amico, nel bel mezzo di una tranquilla
chiacchierata, abbia lanciato strali velenosi su qualcosa o qualcuno che
voi invece apprezzate, senza troppo preoccuparsi della vostra opinione.
Certo, si possono sempre ignorare le frecciate buttate lì quasi per caso,
far finta di nulla, o tentare di proporre – generalmente inascoltati -
un diverso punto di vista, magari meno emotivo; ma se ciò è
relativamente facile quando la frecciata riguarda una squadra di calcio,
è meno facile se riguarda, ad esempio, la politica. Allora forse avete
tentato di spiegare all’amico, con il tatto dovuto, che, neppure in nome
dell’amicizia, ha il diritto di insultare qualcuno, solo perché a lui
non piace. E’ probabile che la reazione stizzita sia stata: io sono una
persona sincera, se giudico bene o male qualcuno, mi sento libero di dirlo
chiaramente. Il sillogismo prospettato è questo: essere liberi significa
essere sinceri; essere sinceri equivale a dire tutto quello che si pensa;
ergo, dico sempre quello che penso, anche se quello che penso è offensivo
per chi la pensa diversamente. Proverò a dimostrare che il ragionamento
non quadra. Immagino che si possa concordare sul fatto che, alla base di
un’amicizia, dovrebbe esserci la stima. Si possono avere gusti e
passioni in comune, ma possono esistere bellissime amicizie anche tra
persone completamente diverse per temperamento, interessi, convinzioni.
Purché ci sia stima reciproca, cioè quella particolare disposizione
mentale che mi fa credere che se tu la pensi in un certo modo, avrai le
tue buone ragioni; ne consegue che se io offendessi qualcuno o qualcosa
che tu apprezzi, solo perché a me non piace, offenderei anche te, le tue
idee, la tua sensibilità. Se
non lo faccio non è per ipocrisia o viltà, ma per una forma di
delicatezza e – paradossalmente – autentica sincerità, non solo
formale: se è vero che rispetto te, rispetto le tue idee, anche se non le
condivido. Va da sé che se le tue convinzioni sono per me inaccettabili,
non ha senso parlare di amicizia. Se dalle relazioni interpersonali si
passa al piano collettivo, il discorso cambia di poco. Basta sostituire al
concetto di “sincerità” quello di “libertà di opinione”. Negli
ultimi anni il grado di conflittualità sociale si è alzato in modo
allarmante, in proporzione al grado di libertà percepita, portando
l’aggressività espressa a livelli che non esiterei a definire
patologici. Confondere la libertà di opinione con la libertà di insulto,
la libertà di espressione con la libertà di violenza fisica o verbale,
la libertà di informazione con la libertà di insinuazione e calunnia, è
un segnale di profondo malessere sociale. Di immaturità prima che di
inciviltà. Come dire: libertà = tutto lecito. La Libertà (come la
sincerità) non è un bene assoluto, e perde tutto il suo infinito valore
se la si priva della sua connotazione di bene relativo. Il che è
confermato dal fatto che la vera libertà è possibile, per assurdo, solo
all’interno di determinati confini. Confini che non sono più vissuti
come tali quando, trasformandosi in autoregolazione, diventano strumento
di maggiore libertà. Limiti discutibili certo, negoziabili, migliorabili.
Limiti su cui l’umanità si confronta e si confronterà sempre. Ma pur
sempre necessari. Dai piccoli gruppi di ominidi preistorici alle società
più moderne e complesse. Codici non scritti, regolamenti, leggi,
comandamenti, costituzioni e statuti: la libertà non può non essere
regolata. Diventa altro. La possibilità di esprimersi nella nostra
attuale società, impensabile pochi decenni fa, sta determinando una
specie di black out dei sistemi di autoregolazione.
I mezzi di comunicazione sono “di massa” e quindi alla portata
di tutti. Internet, come qualsiasi altra innovazione di quella potenza, può
produrre meravigliosi risultati di conoscenza o guai disastrosi, in parte
al momento poco prevedibili. Prendiamo i forum e i blog. In quale altro
periodo della storia dell’umanità le persone comuni hanno avuto la
possibilità quasi illimitata di esprimere pubblicamente il proprio
pensiero? Ora è possibile. Chiunque può partecipare ad un forum o aprire
un proprio blog e mettere in libera uscita pensieri sublimi e intuizioni
geniali; così come sproloqui inopportuni e attacchi violenti, su temi in
cui raramente ha una specifica formazione o qualche
competenza. Spacciando
l’arroganza per coraggio, nella maggior parte dei casi all’ombra
protettiva di un nickname (è bizzarro che chi si lascia andare a insulti
e aggressioni si scandalizzerebbe davanti ad una lettera anonima, eppure
scrivere con un nickname è l’equivalente moderno della vecchia lettera
anonima compilata con i caratteri ritagliati da un giornale…). Perché
questa insopprimibile esigenza di esercitare una sfrenata tuttologia,
spesso feroce, non assumendosene neppure la responsabilità? Forse queste
persone non riescono ad esprimersi in altri ambiti?
Forse non riescono a farlo in maniera tale da non scatenare
reazioni risentite? Forse trovano più facile insultare chi non si
conosce? Per quale motivo non considerano necessario imporsi dei limiti?
La situazione non è migliore nel professionismo della comunicazione:
quanti politici, intellettuali, ecclesiastici, accademici,
"opinionisti", dediti ad intemperanze verbali ignobili... Il
tutto amplificato da certo giornalismo furioso, stampato o teletrasmesso.
Titoli che sembrano bombe a mano, spesso neppure congrui al contenuto
dell’articolo, testi zeppi di condizionali, di espressioni denigratorie,
formulate sulla base di ipotesi e insinuazioni precedenti, a loro volta
basate su congetture, in un circolo vizioso e virtuale di conclusioni
dedotte non da fatti accertati e fonti inoppugnabili, ma da ciance
faziose, e non disinteressate. Parole, e parolacce, vomitate senza
cautela, senza rispetto, senza onestà. Senza limiti. Eppure, come la
stima dovrebbe essere alla base di un’amicizia, il rispetto reciproco
dovrebbe essere il catalizzatore irrinunciabile di una società veramente
evoluta e democratica. Dimenticare, dopo tante battaglie per
l’uguaglianza, che il diritto al rispetto è un primario diritto di
tutti, può condurre all’aberrante convinzione di dover
“raddrizzare” le cose anche con la forza.
Ed ecco che la Libertà è sporcata e avvilita da una nuova
barbarie, un analfabetismo psicologico di ritorno, caratterizzato da
comportamenti primitivi, marcata intolleranza alle frustrazioni e una
preoccupante rinuncia a controllare gli impulsi. Sembra quasi che lo
sforzo di trovare il modo di esprimere le proprie idee, mantenendo il
rispetto per quelle degli altri, sia ritenuto un vezzo démodé,
un’inutile perdita di tempo. Ma il pericolo maggiore viene
sottovalutato: come anche le psiconeuroscienze ci suggeriscono,
l’aggressività fuori controllo da verbale può diventare facilmente agìta;
l’odio delle parole, come un lievito mefitico, può montare e
montare. Trasformarsi in violenza. Bisogna fermarsi in tempo. O non ha
senso parlare di Civiltà.
| |||
CISP
www.psic.tv
www.cisp.info
www.attacchidipanico.it
www.psicoterapie.org
www.tossicodipendenze.net Copyright © CISP |