IL TERAPEUTA COME MODELLO GENITORIALE CAPACE DI PENSIERO NEL GRUPPO Un
confronto tra Psicodramma Classico e Gruppoanalisi Susanna Giorgi Il
ruolo genitoriale è un ruolo potenzialmente ricco di numerose funzioni
come accudimento, normatività e sicurezza. Il terapeuta,
all’interno del processo psicoterapeutico individuale o di gruppo, si
trova ad assumere, un ruolo, che sotto molto aspetti converge
e si sovrappone a quello genitoriale. E’ colui che, infatti,
consente al gruppo ed ai singoli individui l’opportunità di esprimersi
e sperimentare funzioni genitoriali integrative o di vivere in modo
diverso le funzioni conosciute in famiglia. Rappresenta, quello che in
psicodramma chiamiamo, un controruolo adulto facilitatore e promotore
della nascita di altri controruoli, che valorizzano le risorse presenti
nel gruppo. Il terapeuta agisce nei confronti delle persone del gruppo
come un buon genitore che aiuta il figlio a muovere i sui passi, nella
direzione a lui possibile e desiderabile in quel momento. Egli inoltre
utilizza ogni occasione per far si che ciascuno possa sperimentarsi, nei
diversi momenti della vita del gruppo, nei ruoli sia di soggetto accudente
che di soggetto accudito. Stimolando un accudimento attivo, sano, ovvero
commisurato alle esigenze della persona accudita, dosando ed agendo
atteggiamenti propri della funzione “materna” ma anche di quella
“paterna”. La fase di una sessione di
psicodramma, in cui è più evidente l’attivazione di questa funzione di
accudimento attivo, nei membri del gruppo è quella del tempo del
protagonista : questi infatti per concretizzare sulla scena i contenuti
del suo mondo interno, deve ricorrere alla disponibilità dei compagni a
farsi esplicitamente “accudenti” nei suoi confronti, impegnandosi come
io-ausiliari nei modi loro richiesti. Compito
del terapeuta è poi quello di accompagnare e consentire al gruppo di
attraversare fasi, caratterizzate da particolari atmosfere, adatte a
facilitare il soddisfacimento di due bisogni : quello di fusionalità e di
individuazione. La riattualizzazione
simbolica di un bisogno di fusionalità sta ad indicare la tendenza della
persona (ruolo) a portarsi verso un altro essere (controruolo) fino a
giungere ad un intimo contatto con lui, smarrendo il senso dei propri
confini confondendosi con lui. Tale bisogno, nel divenire del lavoro di
gruppo, è controbilanciato dal bisogno opposto, quello di individuazione,
grazie al quale la persona si separa dall’altro per affermare la propria
specificità e distinzione. La tensione verso una dialettica
armoniosa di questi due movimenti, dei ruoli capaci di soddisfare questi
due bisogni porta l’equilibrio. Secondo Paola De Leonardis la
declinazione armoniosa di questi due bisogni porta ad una disposizione
“amorosa”, esplorativa ed inclusiva del “diverso”. Il bisogno di
alterità si manifesterebbe ogni qualvolta si sia raggiunta una
situazione nuova, la percezione della sicurezza di esserci come facente
parte del tutto e di esserci come realtà autonoma : ed è questa
percezione che apre le porte all’universo del nuovo, dell’ignoto. Come
scrive Corbella (2003) in questa fase il gruppo si costituirebbe come un
microcosmo caratterizzato dalla potenzialità di un pensiero insaturo
(aperto alla ricerca di altro) nomade (sempre in movimento, alla ricerca
di altre mete e definizioni) creativo. La
potenzialità di fusionalità attuale si manifesta nel gruppo nel momento
in cui ciascuno dei partecipanti percepisce un clima caldo e di fiducia,
vivendo il gruppo come un contenitore sicuro a cui affidarsi
liberamente e nel momento in cui in ciascun partecipante si è ben
radicato un senso di appartenenza a quello specifico gruppo. All’interno
del gruppo di psicodramma questo bisogno si esprime attraverso
l’assunzione di ruoli che cercano soddisfazione e completamento
nell’affidamento all’altro, nell’abbandono in lui, corrisponde
quindi ad un momento di vicinanza e condivisione. All’interno
di un contesto di gruppo-analisi la riattualizzazione simbolica di un
bisogno di fusionialità e di condivisione si esprime con
l’emergere di una comunicazione sempre più profonda e, anche qui,
per il presentificarsi di una condizione in cui ognuno sperimenta che si
può parlare di cose tenute fino a quel momento segrete per colpa o per
vergogna e che questo non comporta il disprezzo o l’allontanamento degli
altri. Credo che all’interno del gruppo di
psicodramma alcuni accorgimenti “tecnici” come la sospensione della
risposta, la circolarità, la simmetria e la valorizzazione
dell’intersoggettività facilitino e rendano più rapido il
presentificarsi di questi momenti, che richiedono invece tempi più lunghi
all’interno di un contesto gruppo-analitico, proprio per la peculiarità
del metodo stesso. Il bisogno individuativo
si esprime attraverso ruoli che cercano attivamente il distacco e
l’allontanamento dall’altro per raggiungere una differenziazione
dall’altro. Spesso nel contesto
gruppo-analitico il movimento di individuazione si esprime attraverso
l’emergere di temi ed argomenti che segnano un passaggio dal “noi”
all’ ”io” o viene agito, senza nessuna consapevolezza, anche
attraverso una particolare occupazione dello spazio. Le sedie possono
essere più distanziate del solito o possono venir spostate in avanti o in
indietro dando al cerchio una forma irregolarmente significativa
e dei temi che emergono. L’individuazione,
rispetto alla fusionalità arcaica, nasce come fatalità, necessaria che
si oppone al passato, cioè alle modalità relazionali onnipotenti e
simbiotiche. È il momento in cui le coppie relazionali arcaiche (madre-bambino-buono-cattivo…)
che nel gruppo erano state attualizzate e drammatizzate attraverso
scissioni, proiezioni, introiezioni, devono essere superatre mediante
l’inevitabile passaggio ad una situazione di solitudine e di
vuoto. E’ proprio in questo momento che il
terapeuta si pone come modello genitoriale, che differenziandosi
dagli altri, osa per primo affrontare la solitudine e l’ostilità dei
pazienti. Egli dimostra la capacità di scegliere la solitudine non contro
ma a favore del gruppo, accetta di non rappresentare più l’ideale di
onnipotenza che precedentemente gli era stato attribuito, senza esserne
annichilito. In questa situazione il terapeuta si dimostra capace di
pensiero nel gruppo e di tollerare la frustrazione della
solitudine senza ritorsioni e contenendo l’aggressività del gruppo.
Assume il ruolo di padre emancipativo dalla madre “nutrice” simbiotica
rappresentata dal gruppo. Ruoli entrambi essenziali all’evoluzione
del gruppo e del singolo paziente come essenziali sono entrambi i genitori
nella vita del bambino. Nello psicodramma il
terapeuta, definito direttore, è fuori dal gruppo pur essendo dentro
empaticamente. Egli entra con tutta la sua personalità nel rapporto con i
membri del gruppo, mostrando la sua disponibilità a farsi “conoscere”
nella sua peculiare umanità, ed evitando un atteggiamento neutrale più
tipico di altre forme di psicoterapia, che provocherebbe il suo massiccio
o eccessivo investimento di fantasmi transferali da parte del
dei membri del gruppo. Il direttore offre la possibilità di un rapporto
autentico e reciproco con i membri del gruppo basato sul tele[1].
I movimenti di individuazione vengono stimolati dal direttore attraverso
la scelta strategica di specifiche attività che vanno ad attivare
in maniera complementare nei singoli e nel gruppo funzioni di specchio e
di doppio. La funzione di specchio è attivata tramite attività
che producono una dinamica mentale grazie alla quale un individuo è
portato a cogliere degli aspetti di sé stesso nelle immagini relative
alla sua persona costruite dagli altri ed a lui rimandate. La funzione di
doppio è data invece da quell’insieme di meccanismi che consentono ad
una persona di definire e riconoscere i propri contenuti mentali profondi
e di renderli leggibili all’esterno. Nel caso del doppio l’individuo
arricchisce la rappresentazione di se stesso orientando l’attenzione
verso il suo interno, nel caso dello specchio l’individuo guarda fuori
di sé per constatare come egli sia percepito dagli altri. Queste due
sorgenti di conoscenza concorrono alla costruzione dell’immagine di sé.
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