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La ricevitoria numero 123, di Maurizio Lioia, ed. Bastogi, 2009, pp.164

Uffa che barba! Un altro libro!

 

 

 

Già..Un altro libro?? Esclamerà qualcuno! Non temete! Non c'è alcun obbligo di lettura! Come dice Pennac, il diritto del lettore è proprio quello di poter scegliere il libro che desidera leggere. E di accantonarlo strada facendo se non piace più! Ma perché allora, nel marasma di libri che ci sono, dovremmo leggere proprio questo libro, “La ricevitoria numero 123?” Diciamo che è un romanzo che parla di amori e tradimenti, di separazioni e altre perdite, di gioco d'azzardo, di sequestro di persona... ma anche di rivincita, di riscatto. È leggero, simpatico, non troppo lungo, ilare in certe descrizioni... il narrare ti coinvolge e non vedi l'ora di conoscere l'intrigo successivo! Ma scopriremo altri significati, se proviamo ad addentrarci nella lettura di questo testo. Biblioterapia, in una accezione generale, indica l'esperienza di crescita personale che viene favorita proprio dalla lettura. Uno dei motivi per cui leggere fa bene, è perché un libro permette di trovare le parole, aiuta a esprimere pensieri e sentimenti là dove “il  dolore che non parla sussurra al cuore greve e gli comanda di spezzarsi”, come diceva Shakespeare, nel Macbeth. Due frasi mi hanno colpito da questo punto di vista. In un passaggio, Maurizio Lioia scrive: “Giulia non era poi così cattiva come il suo comportamento lasciava credere; era solo confusa e smarrita; era molto impaurita e non era ancora diventata capace di affrontare la paura senza Ernesto; questo la portava a colpevolizzarlo tout court di tutto quello che succedeva”. “...non era ancora diventata capace di affrontare la paura senza Ernesto”   Chissà quante persone, in fase di separazione, o in altre situazioni difficili della vita, con rapporti di dipendenza o interdipendenza non risolti, potrebbero riconoscersi in questa espressione... Questa frase ci ricorda anche un'altra affermazione di Troisi a Pablo Neruda, in “Il postino”:   “mi piaceva pure quando avete detto: sono stanco di essere uomo.. anche a me succede ma non lo sapevo dire. Quando l'ho letto mi è piaciuto molto” Come dire, che le parole hanno dato un significato, hanno permesso di srotolare e sciogliere un nodo, permettendo al cuore di ritrovare la sua serenità interiore e di affrontare con animo nuovo i fatti della vita. Un'altra frase vorrei citare. Filippo in dialogo con Ernesto gli dice: “io non ho mai 'preteso' nessun regalo dalla vita; io le ho sempre solo chiesto che non mi derubi ogni giorno, che non mi derubi della speranza, della volontà, della determinazione; le ho solo chiesto che ogni tanto, nella sua testarda volontà di rendersi difficile, provi a guardare anche altrove, mi perda un po' di vista e pensi anche agli altri, se proprio non può fare altro. Ma tanto, cosa sto qui a perdere tempo per parlare con te? Tu non puoi capire; tu non capirai mai!   Quante volte abbiamo pensato che certi problemi capitano solo a noi? Che i nostri problemi sono speciali nella loro portata devastante e gli altri sono felici e fortunati nel loro brodo? E che quindi gli altri non possono capire, non avendo idea di cosa si può pensare e sentire in certe situazioni!   Eppure, proprio leggendo, a volte si scopre che ciò che pensavamo fosse solo un nostro problema è invece anche un problema di altri, su cui gli altri hanno sviluppato pensieri e idee che magari sono anche diversi dai nostri. Anche Filippo, nella simpatica storia che ci racconta Maurizio Lioia, è un delinquente, un trasgressivo diremmo noi, che pensa di essere l'unico a provare dolore e sofferenza per una vita che indubbiamente è difficile, ma di cui non è riuscito a far tesoro. Mi ha ricordato, ad esempio, le persone che vengono con gli attacchi di panico, e che ci dicono: “guardi, il mio panico non è come quello degli altri! Il mio è speciale, è tosto!”. Sono certa che hanno ragione, ma sono anche certa che questo pensiero inchioda al problema. Filippo è molto preso dal suo disagio... simpatica l'immagina che ne dà Lioia: vorrei non essere derubato della speranza...

Ecco, questo è un altro dono che ci fa il libro: ci offre uno sguardo più ampio sul mondo e la possibilità di riflettere e di rivedere criticamente le nostre esperienze di vita, confrontandoci con altre storie narrate. Inoltre, ci permette di metterci nei panni dell'altro, cosa per nulla facile nei ritmi frenetici della vita quotidiana e nella non abitudine a prenderci un momento di ascolto più riflessivo. Ad un certo punto Ernesto si rende conto che ha sempre giudicato troppo velocemente anche un ex-carcerato, e che questo non aiuta a vivere bene. Già... è un po' andare contro corrente... l'altro non è sempre quel lupo che temiamo. Quindi un libro ci offre, con grande sorpresa, la possibilità di vivere la quotidianità in modo più costruttivo. Mi si chiederà: Come fare a riconoscere i lupi dai non lupi? Perché è certo importante riuscire a farlo! Ma questa è un'altra storia! Dott.ssa Barbara Rossi, psicologa psicoterapeuta

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