QUANDO
LA COPPIA NON
FUNZIONA
di Antonio
Petracca
video
“Se
io sono io perché io sono io e tu sei tu perché tu sei tu,
allora io sono io e tu sei tu.
Ma se io sono io perché tu sei tu e tu sei tu perché io sono io,
allora io non sono io e tu non sei tu”
(M.M.
Schneerson;
1999)
Le
parole di M.M. Schneerson, tra i più grandi rabbini della storia ebraica
e grande pensatore del nostro secolo, introducono questo elaborato
ricordandoci cosa dovrebbe essere una coppia: un uomo e una donna uniti
dal vincolo dell’amore; non necessariamente tesi a vivere “l’uno per
l’altro”, bensì l’“uno con l’altro”.
La differenza sta nel
non annullare la propria esistenza per il partner, ma farla affiorare
camminando insieme verso la fiducia, la condivisione e la complicità, per
sviluppare, come sostengono Norsa e Zavattini, un “Senso del Noi”
(1997); collocabile ad un livello più maturo e completo poiché al di
sopra delle identità che i rispettivi partner si riconoscono. D’altro
canto la relazione di coppia altro non è che il frutto di due storie che
si incontrano, si sperimentano, e in questo senso non sempre
l’individuazione di un “Senso del Noi” avviene con naturalità,
proprio perché diversa è la storia stessa dei singoli partner
riferendomi in particolare a come hanno vissuto, più o meno
positivamente, il rapporto con i propri genitori e con altre figure
significative del proprio passato.
Quanto appena
affermato e facilmente semplificabile provando ad immaginare la coppia
come una potente reazione chimica i cui reagenti (rappresentati dai
singoli partner), sintetizzati singolarmente nel corso del tempo mediante
determinati trattamenti più o meno dannosi, sono ora parte di una miscela
esplosiva, miscela tesa ad essere continuamente protetta e salvaguardata
per evitarne l’esplosione.
Su questa linea, i costi tesi a mantenere l’integrità della relazione a
volte sono molto alti e decisamente disadattavi; in questo senso vengono
messi in atto una serie di comportamenti disadattavi che inizialmente
casuali, acquistano col tempo un nome, una funzione e una precisa
finalità.
Con tali presupposti introduciamo, dunque, una tipica modalità
disfunzionale all’interno della coppia:
la CODIPENDENZA
, motivato per rigore etico e scientifico a non tracciare in questo
articolo un rapporto di causa-effetto inteso in senso assolutistico e
pregiudiziale, in quanto è necessario ritenere che ogni coppia, come ogni
singolo individuo abbia una storia del tutto soggettiva, così come
soggettive possono esserne le sfumature comportamentali.
Così come esposto in
precedenza, è necessario porci alcune domande rispetto al tema proposto;
nella fattispecie: cos’è la codipendenza?, che funzione assume
all’interno della coppia? e ancora, che finalità assume?.
Storicamente
la codipendenza ha radici risalenti alla prima metà del secolo scorso ed
entra a far parte della terminologia scientifica americana intorno agli
anni ’80 nonostante ancora oggi non vi sia ancora una precisa
collocazione teorica data la disomogeneità dei contributi.
Wegscheider-Cruse e Cruse (1990) definiscono la codipendenza come “uno
stato di dolorosa dipendenza da comportamenti compulsivi e
dall’approvazione degli altri nel tentativo di trovare sicurezza,
valore, e identità e dunque il tentativo di aiutare un altro, quando, in
realtà, tale assistenza contribuisce a ferire o a rendere più incapace
sia lui sia se stessi”. Negli ultimi dieci anni, non c’è stata una
definizione standard, né è stata accettata come legittima diagnosi
psichiatrica dal DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual); ciò
nonostante, nel tentativo di delimitare le caratteristiche
psicopatologiche della codipendenza e di tracciarne pertanto un profilo
diagnostico clinicamente percorribile, Cermak (1986) ha proposto alcuni
criteri diagnostici per il Disturbo Codipendente di Personalita’:
-
Continuo investimento dell’autostima nella capacità di controllare sé
e gli altri nonostante l’evenieneza di serie conseguenze negative;
-
Assunzione di responsabilità per venire incontro ai bisogni degli altri
fino ad escludere il riconoscimento dei propri;
-
Ansia e distorsioni del confine di sé in situazioni di intimità e di
separazione;
-
Coinvolgimento in relazioni con soggetti affetti da disturbi di
personalità,
-Dipendenza
da sostanze, altra codipendenza o disturbi del controllo degli impulsi.
Definiti
questi criteri come maggiori, l’Autore ne aggiunge altri in funzione di
criteri minori che come tali implicano una loro presenza funzionale al
raggiungimento di una soglia diagnostica; nella fattispecie, tre o più
dei seguenti:
•
Eccessivo ricorso alla negazione;
•
Depressione;
•
Ipervigilanza;
•
Compulsioni;
•
Ansia;
•
Abuso di sostanze;
•
Malattie da stress.
Una
suggestiva teoria in merito alla codipendenza come forma di dipendenza
affettiva ci viene presentata da Giddens (1995); nella fattispecie egli
introduce il concetto di amore come una “droga”, individuando tre
caratteristiche:
-
La prima di esse è il piacere connesso alla droga d’amore, definito
anche ebbrezza, rappresentato dalla sensazione di euforia sperimentata in
funzione delle reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri
comportamenti.
-
La seconda caratteristica, la tolleranza, definita anche dose, consiste
nel bisogno di aumentare la quantità di tempo da trascorrere in compagnia
del partner, riducendo sempre di più il tempo autonomo proprio e
dell’altro e i contatti con l’esterno della coppia.
-
Infine, l’incapacità a controllare il proprio comportamento, connessa
alla perdita dell’Io, a causa della quale, la lucidità apparente del
soggetto riducendosi crea vergogna e rimorso, cui segue un senso di
profonda sconfitta e una ricaduta nella dipendenza, che fa sentire più
imminenti di prima i propri bisogni legati all’altro.
Una
delle maggiori studiose di questo tipo di problematica è stato Robin
Norwood (1985): ritengo utile, in merito, rilevare brevemente i concetti
che ha elaborato sulle caratteristiche familiari tipiche dei soggetti
codipendenti. Nella fattispecie:
•
L’assenza nell’infanzia della possibilità di sperimentare una
sensazione di sicurezza che genera, nel contesto della codipendenza, un
bisogno di controllare in modo ossessivo la relazione e il partner, che
viene nascosto dietro un’apparente tendenza all’aiuto dell’altro.
•
Una tendenza a ri-attribuirsi nella propria vita di coppia, più o meno
inconsapevolmente, un ruolo simile a quello vissuto con i genitori che si
è tentato a lungo di cambiare affettivamente, in modo da poter riprovare
a ottenere un cambiamento nelle risposte affettive pressoché inesistenti
ricevute nella propria vita;
•
La provenienza da una famiglia in cui in età evolutiva sono stati
trascurati i bisogni di tipo emotivo che la persona manifestava.
I
contributi teorici presentati aprono la strada alla descrizione della
funzionalità che assume il comportamento codipendente all’interno della
coppia e nello specifico alle modalità pratiche con le quali il partner
codipendente aspira ad uno scopo più o meno consapevole.
In questo senso nonostante in Letteratura non si evidenzia una grande
attenzione al fenomeno della codipendenza, la pratica clinica e la
personale esperienza professionale ne rileva un’importante incidenza,
soprattutto nelle donne e nei contesti rappresentati da coppia con partner
dipendente da alcol o da sostanze; proviamo dunque ad approfondire il
quadro tipico determinato da una coppia che presenta un partner
tossicomane (in genere l’uomo) e un partner (in genere la donna)
codipendente.
In particolare, in presenza di partner tossicodipendente, il soggetto
codipendente sviluppa anche egli una particolare forma di dipendenza che
si manifesta nell’irrefrenabile bisogno di controllare e prendersi cura
del partner. Quest’ ultimo viene continuamente messo sotto accusa e i
suoi movimenti vengono attentamente controllati per scoprire eventuali
menzogne; dunque il codipendente arriva a sacrificare tutta la vita
personale e i propri interessi al fine di dedicare tutta la sua attenzione
al partner; il suo spazio psicologico viene totalmente occupato dalla
preoccupazione per il disagio del compagno, sviluppando un atteggiamento
che Cancrini definiva “Io ti salverò”. In questa relazione
complementare il partner codipendente assume il ruolo di
salvatore-genitore, mentre l’altro si impegna nel boicottare i tentativi
di lui, così che entrambi si trovano assoggettati nella dipendenza, in
una condizione di stallo, che aumenta la possibilità che il disturbo
persista.
Dunque risulta molto difficile modificare questo pattern, perché la
coppia ne trae dei benefici: mentre la persona dipendente si comporta in
maniera irresponsabile, coperta dalle cure e dalle attenzioni del partner,
l’altro ottiene gratificazione del suo essere “salvatore” e si
illude di controllare la dipendenza del compagno, cercando una sorta di
sicurezza che però non viene mai raggiunta.
Tale gioco comunicativo delle parti, evidentemente disfunzionale,
come sostiene Norwood (1985), è teso inevitabilmente ad alimentare le
dinamiche interpersonali anomale e quindi teso al mantenimento dello stato
patologico del paziente “designato”, in questo caso il soggetto
tossicodipendente. Tali considerazioni hanno ispirato una ricerca
sperimentale che ho condotto nel 2008 all’interno di diverse Comunità
terapeutiche e Strutture Sanitarie day hospital, rivolgendomi a coppie con
partner tossicodipendente in trattamento ed accertandomi che la rispettive
compagne non avessero mai avuto storie passate di tossicodipendenza.
Ebbene i risultati ottenuti dalla compilazione di una batteria di tests
somministrati alle suddette coppie, pare abbiano confermato le mie ipotesi
iniziali che si trovano in linea con i contributi teorici citati, e cioè
che nonostante il partner sia in trattamento da sostanze, la messa in
atto, da parte della compagna, di certe dinamiche patologiche
comportamentali non risolte come la codipendenza, pare essere rilevante e
tra le possibili cause dell’assenza di margini di miglioramento
significativi del compagno,[1]anche a distanza di tempo
rispetto all’inizio del trattamento.
Ponendo delle riserve riguardo ai limiti che tale ricerca ha presentato e
che possono aver inficiato la qualità dei risultati ottenuti, come
l’estensione del campione; ritengo sia utile sarebbe utile trarre spunto
da alcuni elementi di questa indagine per approfondire in futuro
l’associazione del costrutto della codipendenza con altri costrutti come
l’Ansia (Withfield, 1997), per individuare i fattori di rischio
associati alla presenza della co-dipendenza nella coppia tossicomane e
pianificare magari una opportuna strategia d’intervento per il partner
codipendente, secondo una metodologia clinica che prenda sempre come
riferimento la coppia in quanto tale: un richiamo dunque al concetto del
“Senso del Noi” così come annunciato all’inizio di questa
trattazione.
Bibliografia
Cermak
T.L.(1986). Diagnosing and Treating Co-dependence: A Guide for
Professionals. Minneapolis, MN: Johnson Institute Books.
Giddens
A.(1995). La trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed
erotismo nelle società moderne. Tr.it. Bologna: Il Mulino.
Norwood
R. (1985). Donne che amano troppo.Tr.it. Milano: Feltrinelli
Schneerson
M.M. (1999). In Jacobson
Simon (a cura di).“Il significato profondo della vita. Il pensiero
ebraico nelle parole di un grande maestro: il rabbi M. M. Schneerson” .
Tr it. Mamas Edizioni Ebraiche.
Wegscheider
S., Cruse J.R. (1990). Understanding codependency. Pompano Beach FL:
Health Communication.
Whitfield
C.L.(1997). Lowinson J.H., Ruiz P., Millman R.B., Langrod J.G. (a cura
di). Substance Abuse - A Comprehensive Textbook. Baltimore: Williams &
Wilkins ed.
Zavattini
G.C., Norsa D. (1997). Intimità e Collusione. Milano: Raffaello Cortina.
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