Un
caso di volontariato Valentina Sciubba Ricerca psicologica sulle malattie, diritto all’assistenza psicologica negli ospedali e nelle case di cura, volontariato degli psicologi nelle strutture sanitarie sono locuzioni quasi sconosciute in Italia. Gli psicologi non sono figure obbligatorie negli ospedali e ci sono nosocomi dove mancano completamente. Negli ospedali sono obbligatori per legge dello stato gli assistenti sociali; l’assistenza religiosa è comunque sempre assicurata per consuetudine o addirittura in Lombardia per un protocollo d’intesa Chiesa-Regione secondo il quale in tutte le strutture di ricovero pubbliche e private accreditate sono assunti e pagati con lo stipendio da infermiere assistenti religiosi cattolici (almeno uno per ogni Ente gestore e uno ogni 200 letti). Nell’assistenza sanitaria pertanto l'unica assistenza non prevista per legge o per consuetudine è quella psicologica, nonostante essa possa a pieno diritto definirsi "terapeutica" e non a titolo palliativo, ma realmente risolutore, alla luce anche della ricerca biomedica degli ultimi quindici anni, in particolare degli studi di psiconeuroendocrinoimmunologia. Nel
protocollo d’intesa sopramenzionato si dice, tra l’altro, che la
Regione Lombardia «considera il servizio di assistenza religiosa presso
gli enti gestori, sia pubblici che privati, quale fattore umanizzante in
grado di concorrere al miglioramento dei servizi erogati». Nessuno lo
nega, ma è ben strano che non si valuti allo stesso scopo e, direi anche
forse a maggior ragione, dal momento che la psicologia si occupa
esclusivamente dell’uomo tralasciando o comunque toccando solo
marginalmente la dimensione sovrannaturale, la funzione degli psicologi
che sono figure non solo “umanizzanti”, ma oltretutto realmente e
scientificamente riconosciute come “terapeutiche” per disturbi che
spaziano dal semplice disagio psicologico alle patologie psicosomatiche e
psichiatriche. Di chi la responsabilità di questa situazione se non principalmente delle classi dirigenti medica e politica e degli interessi delle case farmaceutiche? Non si può addossarne la responsabilità alla mentalità dell’utenza perché non solo deve essere la ricerca scientifica a educarla e guidarla, ma oltretutto avviene spesso che pazienti che si confrontano con gravi e meno gravi malattie vorrebbero un’assistenza psicologica ad hoc e sono enormemente irritati e a disagio nel doverla ricercare nei Dipartimenti di Salute Mentale del territorio. I
pochi psicologi presenti negli ospedali, spesso totalmente impegnati nella
clinica, possono ovviamente fare da "tutor" solo a
pochissimi colleghi per lo più tirocinanti, laureandi o
specializzandi per cui per gli psicologi o gli psicoterapeuti
già formati che vogliano frequentare volontariamente non c'è
praticamente spazio. Di conseguenza anche la ricerca psicologica sulle
malattie langue o è inesistente. Racconto
qui la mia esperienza di volontariato in un grande ospedale romano perché
mi sembra emblematica di quanto la classe dirigente medica sia noncurante
e presumibilmente ostile nei confronti degli psicologi, fino al punto da
violare nei loro confronti norme di legge e regolamentari. Ho svolto
per più di 4 anni a partire dal 2000, una frequenza volontaria
autorizzata dal Primario della Clinica ************* presso la stessa
struttura, svolgendo attività clinica e di ricerca scientifica,
pubblicando come primo autore ed assieme ad altri, un articolo sul
************, collaborando fattivamente e armonicamente con i medici e
ricevendo frequenti apprezzamenti dai pazienti. Quando ho chiesto che questa frequenza fosse autorizzata dalla Direzione Generale, quest'ultima ha trascinato la trattazione della pratica per oltre 5 mesi, violando così la legge 241/90 sulla trasparenza degli atti amministrativi, che impone la conclusione delle pratiche entro 30 giorni; la stessa Direzione, avendo evidentemente accorpato in un unico elenco la mia richiesta con quella di medici o altri laureati, ha delegato al Primario una selezione delle richieste di frequenza a seguito della quale la mia è stata esclusa sulla base di criteri estranei a quelli previsti, in tema di selezione, dal Regolamento dell’ospedale, tra cui un criterio numerico, dal momento che il numero dei frequentatori risultava superiore alla quota ammissibile. Tale motivo tuttavia deve essere il prerequisito per la selezione e non criterio della stessa. Non ha alcun senso infatti considerare in esubero la richiesta di frequenza di uno psicologo con riferimento a quelle analoghe di medici o altri laureati. Nè la Direzione Generale nè il Primario si sono degnati per molto tempo di darmi una risposta in merito in una specie di rimpallo delle responsabilità, soprattutto da parte della Direzione Generale. Risposte scritte da parte del Direttore Sanitario e del Direttore Generale, ambedue medici, che hanno, tra l’altro, evidenziato la violazione delle norme di cui sopra, sono arrivate solo dopo mie ripetute richieste e comunque la Direzione Generale, anche qui violando la legge 241/90, mi ha impedito di prendere visione della documentazione inerente la mia pratica e di conoscere il responsabile del procedimento. Con il loro irregolare comportamento le Direzioni Generale e Sanitaria hanno accuratamente evitato di occuparsi direttamente del problema sollevato dalla presenza di una psicologa in ospedale, quasi a negarne l’esistenza, nonostante la relativa domanda di frequenza fosse stata correttamente indirizzata al Direttore Generale; tale comportamento è stato inoltre in forte contrasto con le rassicurazioni di pronta risposta date a voce per circa 5 mesi dalla Direzione Sanitaria. Non sono forse gli psicologi soggetti di diritto, degni non dico di avere una risposta dall’Amministrazione dell’Ospedale, ma di essere trattati secondo legge, regolamenti e rispetto umano? In questo caso l’Amministrazione non ha ritenuto neppure di doverli avere come diretti interlocutori e presumibilmente non ne conosce o non ne apprezza l’attività. Quand’anche si voglia invocare la buona fede per alcuni dei summenzionati comportamenti, restano gli errori commessi e il rifiuto da parte dei dirigenti implicati di riconoscerli. Un
esempio tra tanti probabilmente, ma particolarmente significativo per la
mancanza di un rispetto che dovrebbe essere dovuto a qualunque cittadino e
perchè evidenzia un comportamento in cui si intrecciano ignoranza e
violazione delle norme, noncuranza e ostilità nei miei confronti e,
indirettamente, nei confronti degli psicologi, nonostante avessi
dimostrato quanto uno psicologo può utilmente operare anche nel settore
delle patologie fisiche, laddove aspetti psicologici del malato e spesso
tipici di ogni patologia hanno la loro rilevanza. Mi consta infatti che le
Direzioni Sanitaria e Generale dell’ospedale fossero a conoscenza
della mia attività di volontariato svolta con professionalità e
gradimento da parte dei pazienti presso l’ospedale medesimo. C’è
qualcosa di più profondo inoltre che questa vicenda evidenzia: le
difficoltà che incontra il disegno che miri ad affiancare al medico lo
psicologo nel processo di cura del malato. Senza ovviamente
generalizzare, penso che ancora oggi, soprattutto nelle classi dirigenti,
sussistano da parte dei medici atteggiamenti come diffidenza, disistima o
ostilità nei confronti degli psicologi, disinteresse verso la loro
funzione e utilità, scarsa o nulla conoscenza delle loro capacità e
potenzialità che rendono questo processo ancora arduo e quasi agli inizi.
E’ come se si voglia che i campi della terapia e della ricerca
sulle malattie restino ancora di esclusiva competenza dello staff medico. Che
d’altra parte in Italia i responsabili della sanità, siano
particolarmente sordi e restii a inserire gli psicologi negli ospedali e
nella sanità in genere è dimostrato, dal fatto che, in tema di
“umanizzare” l’assistenza, preferiscono piuttosto parlare di
architettura delle strutture piuttosto che di prevedere la presenza di
psicologi qualificati. Gli psicologi d’altro canto, nell’avvicinarsi a
questo settore, sembrano mancare spesso di fiducia in se stessi e di
assertività. Solo recentissimamente gli amministratori del ************* hanno finalmente ritenuto di istituire un Servizio di assistenza psicologica per i pazienti. Episodi
come quello presentato, la grave carenza degli psicologi nelle strutture
sanitarie, il riscontro quotidiano delle difficoltà con cui si devono
confrontare sia gli psicologi nell’esercizio della loro
professione persino a titolo di volontariato, sia i cittadini che
vorrebbero avvalersene per migliorare la loro salute e l'esame
di ciò che avviene o meglio "non avviene" a livello
politico-legislativo portano a dedurre che una certa classe medica
e soprattutto i suoi rappresentanti istituzionali continuano a ostacolare e avversare
gli psicologi. Si può citare ad esempio ciò che è avvenuto nella
discussione di una recente proposta di legge in Parlamento sulla
psicoterapia convenzionata quando sono stati presentati molti
emendamenti penalizzanti la professionalità degli psicologi.
La legge in questione non è poi andata in porto causa l’opposizione da
parte degli psicologi e la caduta del governo di Romano Prodi e non credo
ci sia motivo di rammaricarsene; infatti meglio nessuna legge che una
cattiva legge dal momento che scontiamo ormai da molto tempo e ancora oggi
alcuni effetti deleteri della legge 56/89 laddove essa ha scisso la
“diagnosi” dalla “terapia”, riconoscendo allo psicologo la
competenza ad occuparsi solo del momento diagnostico, negando agli
psicologi persino di esercitare la “terapia di sostegno” e permettendo
di converso ai medici e agli psichiatri di effettuare la psicoterapia
senza una formazione equiparabile a quella degli psicologi. I medici dovrebbero rinunciare ad avere l'esclusiva sulla "terapia" nei casi molto frequenti in cui problemi e sofferenze psicologici o psico-sociali hanno ricadute su malattie fisiche e psichiatriche, limitando il loro operato alle terapie fisico-farmacologiche e dovrebbero accettare anzi promuovere, per il benessere dei pazienti, la collaborazione degli psicologi e degli psicologi-psicoterapeuti in ordine alle cure psicoterapiche. E’ prevedibile che il futuro della terapia per l’elenco, destinato presumibilmente ad allungarsi, delle numerose malattie che riconoscono tra i loro fattori causali una cattiva gestione dello stress, sarà sempre più nelle mani degli psicologi, per cure che siano non solo sintomatiche ma effettivamente o maggiormente risolutive. I
medici e gli psichiatri inoltre dovrebbero astenersi dal praticare la
psicoterapia, non avendo in merito una formazione equiparabile a quella
degli psicologi psicoterapeuti o quanto meno, dovrebbero dimostrare alla
società di possedere questa competenza professionale, superando un
apposito e loro riservato Esame di Stato. Si potrà obiettare che i medici
hanno una formazione diversa e superiore a quella degli psicologi,
ma questa formazione ha poco o nulla a che fare con la psicoterapia,
limitandosi a fornire gli strumenti per riconoscere tutt’al più e nel
migliore dei casi quando nei disturbi somatici la psicoterapia sia
l’unico o il prevalente strumento terapeutico. Di conseguenza,
considerato che quella dello Psicoterapeuta è una professione carica di
pesanti responsabilità, l’attuale legislazione è da considerarsi
incongrua e irresponsabile laddove permette che questa professione sia
esercitata, come nel caso dei medici, da persone che non hanno mai
superato un Esame di Stato inerente la materia specifica.
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