PERCEZIONE
DELLE ALTRE REALTÀ
Matteo Simone
Secondo
la visione degli antichi veggenti, riportata da Castaneda, l’essere
umano è essenzialmente una creatura la cui prima ragion d’essere
consiste nel percepire. La percezione è il senso della vita, è su di
essa che si fonda e prende forma la realtà. Il problema è che l’essere
umano si è ridotto a percepire un’unica realtà, quando invece fu
creato per percepire e per vivere anche in altre realtà, in altri mondi
sviluppando così il proprio essere in un continuo processo evolutivo.[1]
Secondo Castaneda la
percezione ordinaria ci racconta solo una parte della verità.
“La percezione
ordinaria non ci rende consapevoli dell’intera verità. Vi è ben altro
al di là del semplice transitare sulla terra, del nutrirsi e del
riprodursi”, “Il buon senso non è altro che la risultante di un lungo
processo educativo che ci impone quale unico strumento di verità la
percezione ordinaria. L’arte della stregoneria consiste proprio
nell’imparare a smascherare e distruggere questo pregiudizio
percettivo”.
Castaneda afferma come
la fenomenologia gli abbia offerto la struttura teoretico-metodologica cui
è ricorso per apprendere gli insegnamenti di don Juan. Secondo questa
disciplina, l’atto del conoscere dipende dall’intenzione, non dalla
percezione. Quest’ultima è sempre soggetta alle mutazioni storiche,
vale a dire alla conoscenza acquisita dall’individuo che,
inevitabilmente, si trova a vivere in una determinata cultura.
“Il compito che don
Juan mi aveva affidato”, dice, “consisteva nell’incrinare, a poco a
poco, i pregiudizi percettivi, fino ad arrivare a una loro completa
rottura”. La fenomenologia “sospende” il giudizio e pertanto si
limita alla descrizione del puro atto intenzionale.”[2]
“L’altro mondo –
cui don Juan aveva accennato fin dal primissimo nostro colloquio – era
sempre stato solo una metafora, un’oscura maniera per etichettare una
qualche distorsione percettiva, o tutt’al più un modo di alludere a
qualche indefinibile stato dell’essere. Benché don Juan mi avesse fatto
percepire indescrivibili caratteristiche di quel mondo “di la”, non
potevo considerare le mie esperienze altro che un gioco della percezione,
un inganno dei sensi, una sorta di miraggio che lui, don Juan, mi aveva
procurato, o mediante delle erbe psicotropiche, o con altri mezzi che non
potevo comprendere razionalmente. Ogni volta che ciò era accaduto, io mi
ero consolato all’idea che l’unità dell’”io” che mi era
familiare fosse stata solo temporaneamente spiazzata. Inevitabilmente –
non appena ripristinata quell’unità – il mondo tornava ad essere un
santuario inviolabile per il mio “io” razionale.”[3]
“Don Juan mi spiegò
che per loro percepire l’essenza energetica delle cose rappresentava la
meta più alta. Era di tale importanza che la trasformarono nella premessa
fondamentale della stregoneria. Oggi, dopo una vita di esercitazioni e
disciplina, gli stregoni acquistano la capacità di percepire l’essenza
delle cose, e la chiamano vedere.
“Che significato
avrebbe per me percepire l’essenza energetica delle cose?” chiesi una
volta a don Juan.
“Vorrebbe dire che
percepisci l’energia direttamente” mi rispose. “Separando la parte
sociale, tu percepirai l’essenza di tutto. Qualsiasi cosa noi percepiamo
è energia, ma poiché non siamo in grado di recepirla direttamente,
trattiamo la nostra percezione in modo che si adatti a una forma. Questa
è la parte sociale che tu devi separare.”
“E perché devo
separarla?”
“Perché riduce
deliberatamente la portata di quanto può essere percepito e ci fa credere
che la forma cui abbiamo adattato le nostre percezioni è la sola cosa che
esista. Sono sicuro che per la sopravvivenza di un uomo, oggi, la sua
percezione deve cambiare alla base sociale.”
“Che cos’è questa
base sociale della percezione, don Juan?”
“La certezza fisica
che il mondo è fatto di oggetti concreti. Io la definisco base sociale
perché tutti esercitano un serio e considerevole sforzo per condurci a
percepire il mondo così.”
“Come dovremmo
percepirlo, il mondo?”
“Tutto è energia.
L’intero universo è energia. La base sociale della nostra percezione
dovrebbe essere la certezza fisica che l’energia è ciò che conta.
Dovremmo fare un grande sforzo per portarci a percepire l’energia come
tale. Dopo, avremmo a disposizione entrambe le alternative.”
“E’ possibile
preparare qualcuno in questo senso?” domandai.
Don Juan rispose di sì,
spiegandomi che era proprio quello che stava facendo con me e con gli
altri apprendisti. Ci stava insegnando una nuova via alla percezione,
primo, rendendosi consapevoli del processo cui sottoponiamo la percezione
per adattarla a una forma e, secondo, guidandoci con fermezza a percepire
direttamente l’energia. Mi assicurò che questo metodo era molto simile
a quello usato per insegnarci a percepire il mondo della quotidianità.
Secondo don Juan, il
nostro convincimento a trattare la percezione perché si adatti a una
forma sociale, perde la sua forza quando ci accorgiamo che abbiamo
accettato questa forma, quasi come un’eredità dei nostri antenati,
senza preoccuparci di esaminarla.”[4]
Ci capita di stare con
qualcuno, davanti a qualcuno, di vederlo, di guardarlo, ma di non stare
veramente in contatto con questa persona, di non cogliere aspetti
interessanti, fondamentali.
Scrive J. Zinker:
“Negli anni ho scoperto che tanta gente soffre di cecità funzionale.
Non solo non notiamo i particolari visivi del nostro mondo, ma spesso ci
sfugge l’evidenza. Nel mio lavoro uso molto gli occhi; qualche volta mi
aiutano a scoprire ciò che il linguaggio della persona non mi dice….
Nella psicoterapia della Gestalt iniziamo un incontro vedendo chiaramente
il paziente in superficie. La sola superficie può dirci un sacco di cose,
poiché contiene molti indizi sulla vita interiore della persona. La
visione castanediana fa un salto creativo al di là di questo incontro
visivo iniziale. Attraversa la superficie della persona per giungere al
suo centro, alla sua essenza. E’ come se il mio stesso centro diventasse
una sorgente di luce, di chiarezza, diretta al centro dell’altra
persona.”
L’incontro
castanediano è un incontro “cuore a cuore”, In quei rari momenti in
cui si è in condizioni tali da riuscire a penetrare come un laser
nell’altra persona, si possono rompere alcune regole standard di
preparazione e gradualità ed entrare velocemente nel dialogo con
l’esperienza interiore dell’altro.”[5]
Ancora Castaneda:
“Ti ho ripetuto migliaia di volte che essere troppo razionale è un
handicap. Gli esseri umani hanno un senso della magia molto profondo. Noi
facciamo parte del misterioso. La razionalità è solo una vernice
superficiale. Se grattiamo quella superficie, sotto troviamo uno stregone.
Tuttavia alcuni di noi hanno grandi difficoltà ad arrivare sotto lo
strato superficiale, mentre altri lo fanno con facilità estrema.”[6]
A proposito di altre
realtà, soprattutto nell’ambito di culture altre, voglio citare
Alejandro JODOROWSKY che tra le tante esperienze considerate fuori dalla
normalità quotidiana ha sperimentato un modo di curare abbastanza
inusuale: “Un amico mi aveva parlato della famosa Pachita, una donna di
ottant’anni che la gente veniva a consultare anche da molto lontano
nella speranza di essere curata.
Pachita faceva
distendere il paziente su un lettino, sempre illuminato da una candela,
dato che, secondo lei, la luce elettrica poteva arrecare danno agli organi
interni. Poi indicava il punto del corpo che avrebbe “operato”, lo
circoscriveva con del cotone e vi versava un litro di alcol. L’odore si
propagava per tutta la stanza: sembrava di essere in una vera sala
operatoria. La guaritrice era sempre accompagnata da due assistenti –
spesso uno ero io – e da una mezza dozzina di adepti ai quali era
categoricamente proibito accavallare le gambe, incrociare le braccia o le
dita, per facilitare la libera circolazione dell’energia. In piedi al
suo fianco, l’ho vista “cambiare il cuore” a un paziente, a cui
sembrava aver aperto il petto con le mani facendone fuoriuscire il
sangue… Pachita mi obbligò a mettere la mano nella ferita: palpavo la
carne lacerata e ritiravo le mia dita insanguinate. Da un barattolo di
vetro che aveva di fianco, ho estratto un cuore arrivato chissà da dove
– dal “deposito” o dall’ospedale – che lei “trapiantava”
magicamente nel malato: non appena lo appoggiava sul petto, il cuore
spariva all’interno, come risucchiato dal corpo. Questo fenomeno di
“aspirazione”, o risucchio, era comune in tutti i suoi trapianti:
Pachita prendeva un tratto d’intestino che, non appena posato sul corpo
del paziente, spariva al suo interno. L’ho vista aprire una testa e
introdurvi le mani.”[7]
“Non oserei dire che le
manipolazioni di Pachita fossero vere e proprie operazioni; ma non posso
neppure dire che non lo fossero… E, alla fine, sono arrivato alla
conclusione che non ha importanza. Le domande di questo genere ci
preoccupano perché crediamo in un mondo “obiettivo”, perché la
nostra mentalità moderna si autodefinisce razionale. Pretendiamo sempre
di assumere il ruolo di spettatori distanti di un fenomeno che supponiamo
essere esterno, i cui meccanismi devono essere chiaramente delineati.
Nella mentalità “sciamanica”, al contrario, questo tipo di dilemma
non si pone. Non esiste né un soggetto osservatore né un soggetto
osservato, esiste solamente il mondo, sogno formicolante di segnali e
simboli, campo di interazione nel quale confluiscono forze e influssi
molteplici. In questo contesto, tentare di stabilire se le operazioni di
Pachita fossero “reali” o meno, on ha senso. Di quale realtà stiamo
parlando? Nel momento in cui penetri nel campo magnetico della guaritrice,
entri nella sua realtà e lei nella tua, entrambi seguite un’evoluzione
all’interno di una realtà in cui le tecniche di guarigione si rivelano
operative. E il fatto è che molte persone sono realmente guarite!
D’altra parte, attenendomi al punto di vista cosiddetto “obiettivo”,
non sono mai riuscito a scoprire il trucco, nonostante fossi stato al suo
fianco ore e ore, settimana dopo settimana… Comunque sia, non si può
non riconoscere che Pachita fosse geniale. Se il suo era teatro, che
grande attrice! Se era illusionismo, quella donna è stata la più grande
illusionista di tutti i tempi! E che psicologa…”[8]
Aneddoto di Jodorowsky:
“Preoccupato, Isan chiese a suo maestro Gyosan: “Maestro,
la vita mi preoccupa. Mi sento inondato dalla sua molteplicità. Milioni
di cose mi vengono addosso e mi attraggono. Ne sono invaso. Questo mi fa
disperare.” “Non ti
preoccupare. La tua percezione non può captare più di una cosa per
volta. Perciò è inutile che ti preoccupi in anticipo. Vivi ogni cosa nel
momento in cui si presenta, esso è unico. Non è tutti gli oggetti.
Accettalo per quello che è e vivilo. Non esistono milioni di istanti da
vivere. Non esiste altro che l’istante presente. Gli altri verranno
dopo. Sono in cammino per trasformarsi nell’istante presente, ma se
rimani calmo e tranquillo, senza metterti a fare troppe elucubrazioni o
farti prendere dall’ansia, verranno uno dietro l’altro e la tua vita
scorrerà serena.”[9]
[5]
J. Zinker, Processi creativi in Psicoterapia della Gestalt, Francoangeli
, 2001:221-222
[6]
C. Castaneda, Il potere del silenzio, Milano, Rizzoli, 2001:184
[7]
A. Jodorowsky, Psicomagia, Milano, Feltrinelli, 1997:85
[8]
A. Jodorowsky, op. cit., 1997:97-98
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