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LA RELAZIONE CLIENTE – PSICOTERAPEUTA DELLA GESTALT

Matteo Simone

 

Lo Psicoterapeuta della Gestalt lavora con la persona che chiede un suo aiuto utilizzando diverse tecniche acquisite attraverso diversi percorsi formativi. Per poter utilizzare le tecniche acquisite è importante che lo Psicoterapeuta sia presente di fronte al suo cliente mostrandosi interessato al suo mondo. Ai fini di un sano percorso psicoterapeutico è indispensabile la fiducia reciproca tra cliente e psicoterapeuta. Il cliente deve poter contare della presenza dello psicoterapeuta per il tempo concordato, e lo psicoterapeuta deve aver voglia ad interessarsi al mondo del cliente. Una volta instauratasi una fiducia reciproca, lo Psicoterapeuta può lavorare applicando le sue conoscenze, le sue tecniche, le sue esperienze. Se al cliente gli è chiaro che lo Psicoterapeuta è lì in quel momento perché interessato a lui, può mettere in conto che non tutto può filare liscio come lui vorrebbe, gli può capitare di annoiarsi, di incazzarsi, di soffrire, di sentire tanto dolore, ma la psicoterapeuta è sempre lì con lui, pronto a lavorare su tutto ciò che avviene, che comprende la psicoterapia. E’ un percorso che lo psicoterapeuta fa assieme al cliente, non lo fa solo il cliente, ma anche lo psicoterapeuta in relazione con il cliente scopre cose sue che gli permettono di scoprirsi sempre di più. La fiducia permette l’accompagnamento del cliente in un viaggio, una esperienza con una costante e continua attenzione nei confronti del cliente, in modo da poter in ogni momento cambiare rotta, invertirla, ecc. R. Calzeroni sostiene che: “Possiamo condividere il senso delle azioni, sensazioni, emozioni degli altri perché condividiamo i meccanismi nervosi che presiedono alle nostre medesime azioni, sensazioni, emozioni. Si tratta di una comprensione diretta, una forma di “risonanza non mediata”. Gallese la definisce una “simulazione”: non una simulazione volontaria e di tipo cognitivo, ma una riproduzione automatica, non consapevole, pre-riflessiva degli stati corporei e mentali dell’altro, per cui “percepire un’azione – e comprenderne il significato – equivale a simularla internamente”. E’ una “simulazione incarnata” (embodied simulation) un’esperienza che precede ogni mediazione concettuale e linguistica, inferenze o introspezioni, radicata nelle strutture neurali (motorie e viscero-motorie), che permette di esperire l’altro come un “altro sé” e costituisce il “livello di base” delle relazioni interpersonali, uno “stadio necessario per il corretto sviluppo di strategie cognitive sociali più sofisticate”. Questo meccanismo funzionale è cruciale per l’intelligenza sociale: ci rende capaci di entrare in una “consonanza intenzionale” con gli altri e di empatizzare con loro. E’ la condizione per lo sviluppo dell’intersoggettività, che si configura come un “sistema della molteplicità condivisa” (shared manifold) in cui le identità individuali prendono origine dal costituirsi di uno spazio di senso interpersonale in comune”[1]. Il percorso psicoterapeutico è lento e graduale, è necessario che il cliente si fidi del suo Psicoterapeuta, lo consideri capace di aiutarlo, allo stesso tempo lo Psicoterapeuta è presente davanti al cliente ed è interessato al suo mondo. Scrive E. Borgna: “Non si inizia nemmeno un gesto terapeutico significativo, nessuna cura può cioè realizzarsi, se prima non si compie quel gesto preliminare che si esprime nell’entrare in relazione con l’altro sulla linea di una emozionalità condivisa, di una immedesimazione, che prescinda da ogni rigida articolazione tecnica. Non c’è cura se non si sa cogliere cosa ci sia in un volto, in uno sguardo, in una semplice stretta di mano, e in fondo se non si sia capaci di sentire immediatamente il destino dell’altro come il nostro proprio destino. L’incontro con l’altro avviene non solo mediante il linguaggio delle parole ma mediante il linguaggio del corpo, quello dei gesti e quello del silenzio. Nel momento in cui incontriamo una persona, non possiamo non avvertire immediatamente come, prima di ogni parola, siano il volto e lo sguardo, il modo di salutare e di dare la mano, il linguaggio del corpo insomma, a consentire, o a rendere difficile, una comunicazione e una reciprocità relazionale dotate di una significazione terapeutica. Noi riusciamo a valorizzare fino in fondo quelle che sono le nostre attitudini, le nostre risorse, solo se entriamo in una relazione significativa con gli altri: in una relazione che consenta a noi di essere di aiuto agli altri, e agli altri di farci crescere emozionalmente . Le forme di relazione, quelle fra chi cura e chi è curato in particolare, ma anche quelle che si realizzano nella vita di ogni giorno, sono significative e terapeutiche alla sola condizione che siano nutrite, prima di ogni altra cosa, di spontaneità e di umiltà, di rispetto e di attenzione”[2]. “La prima cosa che faceva Pachita era toccare con le mani ciò che curava, per stabilire una relazione sensoriale e infondere fiducia nella gente. Si produceva uno stano fenomeno: dal momento in cui sentivi le sue mani tra le tue, quella vecchia donna ti appariva nella veste della Madre Universale e non potevi più resisterle. Così è capitato anche a me, sebbene in quel momento fossi estremamente recalcitrante nei confronti dei maestri e restio a sottomettermi a chicchessia. Ma dopo il contatto, la mia resistenza si è sciolta come neve al sole. Pachita sapeva che in ogni adulto, perfino in quello più sicuro di sé, dorme un bambino desideroso di amore, e che il contatto fisico è più efficace di qualsiasi parola per stabilire una relazione di fiducia e rendere il soggetto disponibile a ricevere[3]. A. Ravenna, direttrice dell’I.G.F. di Roma. Scrive: “Occorre che il terapeuta abbia sviluppato, insieme ad uno stile personale, il piacere della sua professione, il desiderio di restare dentro l’esperienza propria e dell’altro come in un’avventura in cui, non solo non è lecito mettere in dubbio il valore della diversità del sentire dell’altro, ma è proprio questa diversità che attrae in una continua spirale di ‘sentire, immaginare, desiderare, attuare, sentire’, in contatto con il continuo espandersi delle emozioni sino all’acme e potendo così iniziare l’altro al mistero del ciclo del contatto”[4]. “Aristotele aveva differenziato due tipi di insegnamento: le opere scritte e le opere tramandate oralmente. Le opere tramandate oralmente fanno capo ad un tipo di insegnamento particolare, che si chiama iniziazione. Non c’è per esempio nessuna maniera di spiegare ad una persona che non lo conosce il sapore di una mela, ma la sui può accompagnare nell’esperienza di mangiare una mela. L’iniziazione non è l’insegnamento di una conoscenza che viene travasata da una persona all’altra, ma è un accompagnamento dell’altra persona alla scoperta di qualcosa che solo lui può scoprire, perché l’esperienza appunto non si travasa. La mia esperienza non diventerà mai l’esperienza di qualcun altro, ma posso accompagnare qualcun altro, con la mia esperienza, a fare la sua esperienza. La conoscenza esperenziale a differenza di quella concettuale, è differente per ognuno”[5]. “In Gestalt il contenuto del lavoro psicoterapeutico è dato dai vissuti del cliente e del terapeuta ed in particolare dai vissuti emozionalmente connotati. La parola vissuto può essere considerata un’abbreviazione dell’espressione “esperienza così come vissuta dalla persona” contrapposta alla obbiettività dei fatti. Il vissuto, che per i gestaltisti si fonda su sensazioni e percezioni, si realizza attraverso l’esperire”[6]. Scrive M. Bracco che: “Caratteristica dell’empatia, che generalmente sfugge a coloro che tendono a considerare questo tipo di vissuto in modo esclusivamente unidirezionale, è quella di consentire un certo “ri-torno” dello sguardo, in virtù del quale colui che empatizza non fa solo esperienza della vita altrui, ma si riflette negli occhi dell’altro co-gliendo la propria immagine. Come ci spiega la Stein, «la vista della vita psichica dell’altro – per lo meno a seconda del tipo – ci fa cono-scere la nostra, così come si presenta osservata dall’esterno. Muovendo da ciò, inoltre, l’esperienza della nostra vita psichica effettuata attra-verso gli altri, così come la conosciamo in questo scambio reciproco, può chiarirci alcuni tratti del nostro vivere, che sono sfuggiti alla nostra esperienza personale, ma che diventano visibili dall’esterno». Questa precisazione ci spiega che l’empatia non è solo la capacità di cogliere il vissuto dell’altro attraverso l’acquisizione di un nuovo punto di vista che ci permetterebbe di metterci nei suoi panni ampliando la nostra prospettiva “ego-centrica”, ma è anche un tipo di esperienza che ci fa cogliere aspetti di noi stessi che non saprebbero venire alla luce altrimenti, aspetti nuovi e scono-sciuti che si delineano a seconda della relazione con il mondo in cui siamo di volta in volta coinvolti[7]. “C’è una qualità della nostra vita interiore, una dimensione fenomenica che si manifesta esteriormente e che l’occhio dell’osservatore, in maniera più o meno accurata, può leggere e comprendere. Nel corso della storia del pensiero umano ci sono stati vari tentativi di definire le modalità di questo trasferimento di significato che è antepredicativo, pre-verbale, implicito. Una chiave di lettura ci può venire, ad esempio, da un passo come questo, tratto da “Aurora” di Nietzche, dove il filosofo Tedesco scrive: “Per comprendere l’altro, cioè per imitare i suoi sentimenti in noi stessi, noi ci mettiamo in una prospettiva di imitazione interna che in qualche modo fa sorgere, fa sgorgare dei sentimenti in noi analoghi, in virtù di un’antica associazione tra movimento e sensazione”. I neuroni specchio, da un certo punto di vista, esemplificano questa relazione tra movimento e sensazione”[8] . Una qualità unica della psicoterapia della Gestalt è l’accento sulla modificazione del comportamento di una persona in sede di terapia. Questa modificazione sistematica del comportamento, quando deriva dall’esperienza del paziente, si chiama esperimento. L’esperimento è la pietra miliare dell’apprendimento esperienzale. E’ ciò che trasforma il parlare nel fare, la reminiscenza e la teorizzazione nell’essere qui in toto con tutta la propria immaginazione, energia ed emozione. Per esempio, mettendo in atto una vecchia situazione incompiuta, il paziente riesce a comprenderla nel suo contesto più ricco e a completare l’esperienza impiegando le sue risorse di oggi, la sua saggezza e la comprensione della vita. Per concludere, a proposito dell’esperienza, voglio citare J. Zinker: “Lo studio del terapeuta diventa un laboratorio vivo, un microcosmo nel quale la persona esplora se stessa a un livello realistico, senza la paura del rifiuto o delle critiche. L’esperimento creativo aiuta la persona ad approdare a nuove espressioni, o almeno la spinge verso i confini, i margini entro i quali vuole crescere. Gli obiettivi a lungo termine dell’esperimento consistono nell’allargare l’orizzonte della consapevolezza del paziente e della comprensione di sé, nel farlo sentire più libero di agire efficacemente nel suo ambiente e nell’ampliare il suo repertorio di comportamenti nelle situazioni di vita.

Gli obiettivi della sperimentazione creativa all’interno del setting terapeutico sono:

- ampliare il repertorio comportamentale della persona;

- creare quelle condizioni che aiutino la persona a vedere la propria vita come una propria creazione;

- stimolare l’apprendimento esperienziale della persona e l’evoluzione di nuovi concetti di sé;

- portare a termine le situazioni incompiute e superare i blocchi nel ciclo consapevolezza-ecitazione-contatto;

- scoprire le polarizzazioni di cui non si ha consapevolezza;

- stimolare l’integrazione di forze conflittuali nella personalità.

La costruzione di un esperimento è una danza complessa, un viaggio collaborativo.

Per accogliere l’esperienza di un’altra persona, bisogna sviluppare armonia all’inizio di ogni singola seduta: un processo di riscaldamento per ristabilire il contatto ogni volta”[9]. Durante il percorso, lo psicoterapeuta utilizza diverse tecniche, tra le quali la visualizzazione, l’immaginazione, la fantasia, ma se riesce ad accompagnare il cliente in una esperienza reale, il processo è molto più veloce e può costituire il prototipo di successive situazioni difficile che il cliente fino ad allora non è riuscito ad affrontare, forse perché si sente incapace, o ritiene di non poterlo fare, ecc..

 

Bibliografia

Borgna E., (2001) L’arcipelago delle emozioni, Feltrinelli, Milano.

M. Bracco, (2005) Empatia e neuroni specchio. Una riflessione fenomenologia ed etica, Comprendre 15.

Calzeroni R., (2007) I neuroni specchio, Vertici Network.

Gallese. V., (2007) Dai neuroni specchio alla consonanza intenzionale. Meccanismi neurofisiologici dell’intersoggettivit, Rivista di Psicoanalisi, LIII.

Gallese. V., (2003) La molteplice natura delle relazioni interpersonali: la ricerca di un comune meccanismo neurofisiologico. Networks 1.

Jodorowsky A., (1997) Psicomagia, Feltrinelli, Milano. 

Ravenna A.,(2003) Diventare Psicoterapeuti: Formazione Teorico - Pratica o Percorso di Iniziazione?", Informazione, Roma, vol. 1.

Ravenna A., (2004) Oggetti e fenomeni, Informazione, Roma. vol. 4.

Ravenna A., (2005) L’ottica costruttivista come matrice dell’incontro psicoterapeutico, INformazione, Roma, vol. 5.

Zinker J., (2001) Processi creativi in psicoterapia della Gestalt, FrancoAngeli, Milano.


[1] R. Calzeroni, I neuroni specchio, Vertici Network 2007, pp. 9-10

[2] E. Borgna, L’arcipelago delle emozioni, Feltrinelli, Milano, 2001, pp. 189-190

[3] A. Jodorowsky, Psicomagia, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 98

[4] A. Ravenna, Diventare Psicoterapeuti: Formazione Teorico - Pratica o Percorso di Iniziazione?", Informazione, Roma,2003, vol. 1, p.96.

[5] A. Ravenna, Oggetti e fenomeni, Informazione, Roma, 2004, vol. 4, pp. 29-30.

[6] A. Ravenna, L’ottica costruttivista come matrice dell’incontro psicoterapeutico, INformazione, Roma, 2005, vol. 5, pp. 10

[7] M. Bracco, Empatia e neuroni specchio. Una riflessione fenomenologia ed etica, Comprendre 15, 2005, pp. 41-42.

[8]V. Gallese, Dai neuroni specchio alla consonanza intenzionale. Meccanismi neurofisiologici dell’intersoggettività, Rivista di Psicoanalisi, 2007, LIII, 1, p. 197.

[9] J. Zinker, Processi creativi in psicoterapia della Gestalt, FrancoAngeli, Milano, 2001, pp. 119-124

 

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