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QUANDO LEI VEDE 

Marco Esposito

 

La piccola lampada sul ripiano del comò in soggiorno è accesa. Lui è seduto sul divano. Qualche ricordo, un po’ di riepilogo. Immagini passate sbiadite da un presente che sta abbassando la testa, che stenta a proseguire. Ora pensa a quand’era ragazzo. A scuola non ci andava, e quando ci andava si faceva cacciare fuori dall'aula. Non li digeriva per niente i professori. "Tu hai buone capacità, potresti riuscire a fare delle ottime cose in futuro" gli diceva l’insegnante. Ma per lui era un’altra lingua. Non che fosse cattivo o altro, solo che la scuola gli piaceva ancora meno di quanto non piacesse ai suoi coetanei. Un giorno lui e Sandro, l’amico del palazzo in cui abitava, decisero di scappare via da casa e se ne andarono a Roma. Erano le otto del mattino. Alle sei di sera erano all’ingresso dell’autostrada a fare l’autostop per tornarsene ma nessuno voleva dargli un passaggio, allora lui si stese per terra e fece finta di sentirsi male mentre Sandro agitava le mani verso le auto che arrivavano. Un uomo si fermò e chiese cos’era successo e Sandro gli disse che all’improvviso il suo amico si era sentito male. L’uomo li fece salire e si avviò verso l’ospedale più vicino, ma dopo un centinaio di metri li sentì sghignazzare e capì che l’avevano preso in giro, ma loro lo supplicarono spiegandogli tutta la situazione e lui alla fine decise di portarli ugualmente fino al punto in cui si sarebbe dovuto fermare, poi se la sarebbero cavata in un altro modo. Arrivarono a casa all’una di notte, e furono mazzate di quelle pesanti. Quand’è che aveva cominciato a lavorare in fabbrica? A diciassette o diciotto anni. Le catene di montaggio e le paranoie e i casini di quegli anni. La gente girava armata, pure i poveri cristi erano costretti a girare armati. Erano gli anni di piombo e gli anni in cui i ferri si trovavano facilmente, ma erano anche gli anni in cui la camorra organizzata cominciava a darci dentro di brutto. Qualche operaio si presentava a lavoro con un sacchetto bello pesante e chiedeva al capoturno se poteva mettere la merenda nel terzo cassetto, e il capoturno che sapeva come andavano quelle cose gli diceva va bene. Poi c’erano gli scioperi. Scioperi su scioperi, sciopero per ogni cazzata. Era proprio durante uno di questi che aveva conosciuto Diana, che all’epoca lavorava anche lei in fabbrica e faceva i turni nel secondo stabilimento. La prima volta che uscirono insieme ebbero un incidente con l’auto di lui e lei si tagliò sulla fronte. Quando si sposarono lei era già incinta, ma non si sposarono affatto per quello. Si sposarono perché l’avevano previsto già da tempo, ed era capitato che lei fosse rimasta incinta prima. Il viaggio di nozze lo fecero lo stesso, in Spagna. Il giorno in cui nacque Luca fu un giorno magnifico per entrambi, finalmente conoscevano la felicità che tutti dicevano di provare. E magnifici furono i giorni che seguirono. Poi cos’è che successe? Niente, si scoprì che Luca era sordomuto, ma che con l’aiuto di un’apposita scuola e con molta volontà poteva trovarsi un buon posto nella società e riuscire ad avere un’esistenza discretamente felice. Bisognava non dare eccessivo peso alla sua condizione, c’erano tanti altri ragazzi come lui. Così si andò avanti. Lui superò un concorso di lavoro ed entrò come impiegato in una nuova azienda. Trovarono un appartamento in affitto ad un prezzo conveniente e vi si trasferirono lasciando la casa dei genitori di Diana. Lui riusciva a mettere da parte qualche soldo per l’estate e per le vacanze. Luca cresceva bene. Un paio di mesi dopo aver compiuto i dieci anni la salute di Luca declinò rapidamente. Cominciò a non vedere bene, sembrava non saper distinguere gli oggetti. Poi prese a sbandare, doveva appoggiarsi alle pareti per proseguire. Poi cadde a terra e non riuscì più a rialzarsi. Non riusciva a rimanere in piedi, come se nelle gambe non gli fosse rimasto nulla, come se fossero trasparenti. In un breve arco di tempo era diventato incapace di fare qualsiasi movimento, gli arti si erano incrinati e non c’era verso di fargli riprendere la loro funzione naturale, la vista era quasi sparita. Un vegetale, ecco quello che era realmente diventato. Perché e perché e perché. Da dove veniva tutta quella crudeltà, qual era il suo dannato nome e quello del guerriero abilitato ad annientarla, dov’era la cura. Silenzio, nessuno sapeva niente. Il nome del mostro era LEUCODISTROFIA, una malattia di cui si sa poco perché rara. Può colpire il bambino dalla nascita fino all’adolescenza inoltrata, è suddivisa in varie fasi, quella di Luca viene chiamata ‘giovanile a esordio tardivo’; la sostanza grigia del cervello invecchia in maniera impressionante, i nervi non vengono più stimolati, l’intero sistema nervoso cade in pezzi, ogni cosa cade in pezzi. Il cervello non è più in grado di inviare comandi al resto del corpo. Se vuoi chiudere o aprire una mano, spostare un braccio o una gamba, non sei padrone di farlo. E il rimedio? Non esiste rimedio, la scienza medica non l’ha trovato, sono stati effettuati pochi studi al riguardo, è una malattia rara. Oggi Luca compie diciotto anni. Praticamente non ha più carne addosso, gli sono rimasti la pelle e le ossa. Gli unici segni che dà sono i lamenti. Tristi uggiolii, amari uggiolii che di notte sembrano racchiudere tutti i mali di questo mondo a cui si possono dare mille risposte e nessuna. Diana lo accudisce e gli sta vicino dividendosi fra lui e i compiti che ci sono da svolgere ogni giorno. Lo nutre con cibo tritato, gli apre la bocca e lo fa deglutire. Diana è una donna in gamba. Lui intanto continua a fare del suo meglio per far quadrare i conti, le spese ed il resto. Ma ultimamente le cose non è che vadano tanto bene. Corre voce che l’azienda sia in crisi, che potrebbe chiudere da un momento all’altro. E corre voce che il suo comportamento non sia molto rispettabile da un po’ di tempo a questa parte, che si stia assentando troppo. Ma siamo a Giugno, e la sera è così rilassante rimanere seduto a fumare all’arietta fresca o a guardare un buon film alla TV dopo aver cenato con quel vino bianco ghiacciato, con Diana che gli ricorda di andarci adagio e di non dimenticarsi che ha problemi allo stomaco e di quello che gli ha detto il dottore. Il dottore, l’ultima volta che ci è andato gli ha fatto un discorso un po' strano : "...io comprendo la tua situazione, ma dobbiamo essere abbastanza forti da riuscire a vedere il tramonto e il giorno finire, e accogliere la nuova alba a testa alta." Sembrava un profeta da come parlava. Come fai a fargli capire che è rilassante. La mattina quando ti svegli e invece di andartene a lavorare te ne vai girando per le strade, ti fermi a un paio di bar, attacchi discorso con qualcuno e vedi la gente tutta indaffarata sotto il sole mattutino. Ma da quando in qua è nato quest’atteggiamento da sognatore, Diana se lo chiede, perché non è mai stato così. Lui non le vuole dare spiegazioni. Certi giorni, la mattina presto, lo trova a parlare da solo con Luca. Il tempo che è passato. La pazienza e la costanza che ci sono volute, e che ci vogliono. Non si dimenticano. Come quel periodo in cui diventò intrattabile. I colleghi di lavoro non gli rivolgevano più la parola, neanche i familiari volevano averci a che fare, a casa non veniva quasi più nessuno a trovarli. Restava sempre zitto, e quando parlava era per arrabbiarsi o per prendersela con qualcuno. Fu sicuramente lì che cominciò ad accusare le prime fitte allo stomaco. Un periodo difficile, fra tutte le altre cose che c’erano da sostenere, ma per fortuna riuscì a superarlo. "Cos’è che non va? Cos’è che non va?" La voce di Diana era uguale a quella dell’insegnante di scuola, un’altra lingua. Un sorso di caffè freddo, è quello che ci vuole. Si alza e va in cucina, apre il frigo, prende la bottiglietta e se ne versa mezza tazza. Non riesce a spiegarsi il perché, ma gli è venuto in mente il giorno in cui stava quasi per ammazzare Diana senza volerle far del male intenzionalmente, circa un anno fa. Di quel giorno ricorda varie fasi in particolare. Stava tornando a casa in auto e c’era traffico, si voltò alla sua destra e vide degli operai che probabilmente stavano aspettando il furgone che saliva da una strada alle loro spalle e che doveva condurli a casa dopo una giornata di lavoro. C’erano due uomini poggiati al muro e un ragazzo con una bottiglia di plastica che spruzzava del liquido azzurrino e ghignava e faceva dei versi verso il primo di questi. Quest’uomo aveva gli occhiali ed era robusto, e riceveva gli spruzzi senza reagire, rassegnato, con un’espressione del viso davvero comica, come a dire guarda che mi tocca sopportare prima di andarmene a casa. Lui seguì tutta la scena e gli venne da ridere, e ancora oggi quando ci pensa gli viene da ridere. Superato il traffico sostò al bar per bere un aperitivo, e lì si mise a parlare con un camionista di passaggio. Gli disse che aveva un figlio di diciassette anni. Così il camionista gli chiese come se la cavava il figlio con le ragazzine, e lui gli rispose che le tormentava; che proprio il giorno prima l’aveva beccato su un motorino assieme ad una spilungona bruna; che non pensava ad altro. Il camionista gli sorrise e gli diede una pacca sulla spalla. Quando tornò a casa, si sedette di fronte a Luca e rimase lì a fissarlo, a fissare la sua faccia scavata, la bocca spalancata e gli occhi aperti nel vuoto, le mani come quelle di un anziano paralitico di novant’anni. Diana non era ancora tornata. E quando tornò aprì la porta e si presentò con tre buste piene di spesa, le rovesciò sul tavolo e fece un sacco di casino mettendosi a farfugliare discorsi a proposito di argomenti che solo lei conosceva. Poi andava vicino a lui e lo scuoteva chiedendogli se la capisse, se la ascoltasse. Allora lui che non era dell’umore più allegro le diede una piccola spinta per farla smettere e Cristo in croce la vide inciampare e sbattere con la testa sul tavolo di marmo e non muoversi più. Quando la portò all’ospedale il medico gli disse che la moglie era stata fortunata, della gente era finita in coma per delle banali botte simili a quella. Il giorno successivo la accompagnò a fare degli accertamenti che gli aveva consigliato lo stesso medico e nel traffico furono tamponati lievemente da un’auto. Lui accostò, scese e vide che la sua auto era a posto. Poi accostò anche l’altra auto e lui vide che aveva il faro anteriore destro spaccato. La guidava una ragazza sui vent’anni tutta agghindata e messa bene, ma quando scese cominciò a sbraitare e a sbattersi come una gallina. Lui la fissava, poi venne Diana, lo prese per un braccio e gli disse che potevano pure andarsene. Si rimisero in auto e la lasciarono là come se per loro fosse un essere inesistente. Diana è a casa. Ha comprato una torta per festeggiare questo giorno nonostante tutto. Quando si dice ottimismo. Ma Luca ha raggiunto i diciott’anni, è maggiorenne, l’età in cui i ragazzi diventano consapevoli delle loro scelte. Certo, in questo caso non c’entra un cazzo, come non c’entrano le feste in discoteca e al ristorante e gli amici e i parenti e i regali, ma che importa. Va in soggiorno e dà un bacio a Luca, steso immobile sulla sedia a sdraio. Sul tavolo nota un messaggio, l’ha lasciato lui, dice che è sceso da poco e che tornerà più tardi. Diana mette la torta in frigo e consulta l’orologio in cucina, sono le sette e mezzo di sera. "Questo pub è comodo" gli dice uno che sta seduto affianco a lui vicino al bancone. "E’ comodo perché c’è un bel po’ di spazio fra il bancone ed il resto del locale, così le comitive e le coppiette che stanno seduti ai tavoli non rompono le palle con le loro cazzate a chi sta seduto al banco. E poi guarda, è l’una e c’è ancora tanta gente. Non ti senti solo; non come in quei bar dove alle undici e mezzo non c’è più nessuno e ti senti uno che se ne va a casa più tardi di tutti e ti sale la tristezza. Qui no." Sono le due. Diana è a letto, ma sveglia. Sente i passi in casa. Lui va in cucina, apre lo sportello del frigo e vede la torta, richiude lo sportello. Diana dal letto riesce a vedere il balcone, dove lui è poggiato alla ringhiera e sta fumando l’ultima sigaretta. Diana guarda Luca, poi guarda di nuovo lui, poi si sposta su un fianco, chiude gli occhi e cerca di addormentarsi.

 

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