Quando
il sintomo toglie il respiro: asma e terapia familiare
Di
Alessandro Mascherpa e M. Chiara Gozellino
E’
con una certa cautela che ci troviamo a parlare, da terapeuti sistemici,
di una patologia così largamente diffusa e così strettamente connessa a
fattori fisiologici come è l’asma bronchiale. Questo atteggiamento
circospetto può essere ricondotto a grandi linee alla difficoltà di
riflettere su un oggetto così sfuggente e sfumato quale è la malattia
psicosomatica, per definizione a cavallo tra mente e corpo. Nel caso poi
dell’asma, di cui molto si è detto e si dice da un punto di vista
medico, la cautela cresce di pari passo alla consapevolezza del fatto che
la psicoterapia può giocare un ruolo sicuramente importante ma non sempre
fondamentale nel trattamento della malattia, di norma principalmente
farmacologico. Nonostante sia ormai accertato clinicamente che la sfera
emotiva possa rivestire un ruolo fondamentale nell’insorgenza delle
crisi asmatiche, difficilmente le famiglie si rivolgono in prima battuta
allo psicoterapeuta per un problema che viene inteso dalla collettività
come prevalentemente medico. In questa situazione la sfida che si trova ad
affrontare la psicoterapia è proprio quella di riuscire a favorire una
non sempre semplice integrazione tra mente e corpo, cercando di (ri)costruire
nuovi significati psicologici e relazionali da assegnare a quelle crisi
insolite, che insorgono in assenza di apparenti stimoli allergenici, non
riconducibili ad alcun elemento chimico, fisico o, più in generale,
corporeo. Questi significati, secondo la teoria sistemica, vengono
co-costruiti nella conversazione terapeutica insieme al paziente, o alla
famiglia, e vanno ricercati nelle comunicazioni, nelle narrazioni e nelle
particolari modalità relazionali che legano tra loro i membri del
sistema. Così è possibile ridare un senso alle misteriose crisi di un
bambino che si verificano “casualmente” proprio mentre i genitori
stanno discutendo in modo acceso, o agli accessi che insorgono ogni volta
che un qualcuno fa salire “la temperatura” della conversazione. Poiché
la malattia di un membro della famiglia ha notevoli implicazioni su tutti
gli altri, da un punto di vista emotivo e relazionale, diviene allora
indispensabile, per poter comprendere meglio il significato di tali
sintomi, allargare il campo di osservazione ad un contesto più ampio (Watzlawick
et al. 1971). La nostra attenzione verrà pertanto rivolta non solo
all’individuo ma anche al suo principale sistema di riferimento: il suo
nucleo familiare.
L’asma e sintomi psicosomatici all’interno del contesto familiare
Possiamo considerare la famiglia come un sistema in cui la totalità è
qualcosa di più della semplice somma dei singoli elementi che la
compongono. Ad esempio, si può paragonare la famiglia ad un organismo
complesso che raggiunge un equilibrio interno, interagisce con il mondo
esterno ed ha un’evoluzione nel tempo (Bateson 1976). I componenti della
famiglia sono tra loro interconnessi ed un evento che coinvolge un suo
membro inevitabilmente avrà ripercussioni su tutti gli altri, nel bene e
nel male. Il sintomo
allora per essere compreso e superato deve essere collocato all’interno
del sistema in cui si manifesta e perdura nel tempo, allargando il campo
di osservazione a tutta la famiglia. Quando
un membro della famiglia soffre di asma, le crisi respiratorie, i metodi
di cura e le reazioni degli altri familiari possono assumere dei
significati peculiari per ciascun nucleo. Ogni comportamento evoca dei
significati precisi, delle emozioni particolari e attraverso
l’osservazione delle famiglie possiamo ascoltare un “discorso senza
parole”. Ad esempio la sensazione di “fame d’aria” verrà vissuta
da un bambino in modo molto differente a seconda delle reazioni che
susciterà nei suoi genitori, se anche loro si sentono morire insieme al
figlio oppure provano rabbia verso una malattia imprevedibile o
ancora sospendono i conflitti per curare il piccolo. Conoscere
la famiglia ci è quindi utile per comprendere in quale modo i
comportamenti messi in atto nel sistema possono influenzare la frequenza o
l’intensità delle crisi, a parità di condizioni cliniche generali.
Le relazioni all’interno
della famiglia non solo possono influenzare l’insorgenza delle crisi, ma
anche un’eventuale cronicizzazione dei sintomi. Può avvenire che tutta
la vita del sistema e dei suoi membri si riorganizzi in funzione del
sintomo, generando una sorta di “paralisi del tempo della famiglia”,
che nel tentativo di fronteggiare la malattia ne resta inevitabilmente
schiava. Per mantenere questo equilibrio ogni giorno deve essere uguale al
precedente e possono essere visti come potenzialmente minacciosi tutti
quei cambiamenti che appartengono alla normale evoluzione di vita dei
figli e dei genitori. Se questo assetto familiare può essere utile nel
breve periodo, rischia di diventare iatrogeno con il passare degli anni,
poiché a ciascun familiare viene assegnato un ruolo da impersonare in una
rappresentazione senza fine, nella quale, ad esempio, il paziente non può
che essere “il malato”, la madre “l’infermiera”, il fratello
“il guardiano” e così via…
Quale
ruolo assume allora il sintomo nel contesto familiare con il passare del
tempo?
Se
facciamo riferimento alle parole di Watzlawich secondo cui “è
impossibile non comunicare” (Watzlawick et al. 1971), anche il sintomo
ed i comportamenti ad esso associati possono avere il valore di un
messaggio comunicativo trasmesso dal paziente alla sua famiglia. Un po’
come se un figlio dicesse ai genitori: “Se litigate, io starò male”,
oppure “Se mi sgridi, mi uccidi”, ma anche: “Se ci divertiamo
troppo, potrei stare male”. Questa
modalità di comunicazione, che non viene scelta esplicitamente o
deliberatamente, è estremamente immediata e crea una cornice di
significato che può condizionare il modo di reagire alle crisi da parte
di tutta la famiglia. Una reazione possibile a questo tipo di
comunicazione può essere una sopravvalutazione dello stato di salute
rispetto allo stato emotivo delle persone. Di fronte al rischio della vita
stessa, preoccuparsi delle emozioni sembrerebbe fuori luogo. Con queste
premesse potremo osservare famiglie che ormai sono disabituate a parlare
delle proprie emozioni, assimilando lo stato di salute al benessere
psicologico, creando l’equivalenza: “Se sei in salute, allora sei
felice”. Ci saranno allora persone che parleranno sempre meno di
emozioni e sempre più di sintomi somatici. Talvolta,
ascoltando le conversazioni di queste famiglie, sembra di assistere ad un
convegno di medicina generale dove tutti sono esperti di patologie e
dibattono sulle terapie più adeguate da sottoporre al paziente di turno.
A fronte di questa elevata competenza sulla sofferenza del corpo si può
riscontrare una scarsa familiarità con la sofferenza dell’animo, che
rischia di diventare incomunicabile. Il sintomo asmatico può allora avere
anche un significato metaforico, poiché il paziente può servirsi delle
proprie crisi per comunicare un proprio stato di disagio psicologico,
ribaltando l’equivalenza e dicendo: “Sto male, allora sono
infelice”. Un altro
valore che può assumere la crisi asmatica è quello di “termometro
delle emozioni”: non appena il clima della conversazione raggiunge una
temperatura critica il paziente può dare segni di disagio fisico. Il
concetto di emozione rischiosa è molto diverso per ogni famiglia e ciò
che a prima vista sembra inspiegabile, assume un significato peculiare
nella cultura di ogni sistema. Avere
un sintomo può dare un enorme potere nelle relazioni, perché rende la
persona in qualche modo privilegiata ed al centro dell’attenzione,
infatti tutti sembrano guardare al paziente come al fulcro della vita
familiare. D’altro canto, con il passare del tempo, la persona viene
sempre più identificata esclusivamente con il proprio sintomo, diventando
sempre di più “l’asmatico” e sempre meno “il figlio” o “il
marito”… tanto che viene da domandarsi quale posto avrebbe il paziente
in famiglia se non avesse più il sintomo. Queste
dinamiche, che in minima parte sono presenti in tante famiglie, in alcuni
casi hanno delle gravi conseguenze, ad esempio nel caso in cui le crisi
d’asma diventino imprevedibili e molto frequenti o ancora nel caso in
cui l’equilibrio creato attorno al sintomo perda la sua funzione
protettiva e generi sofferenza agli altri membri della famiglia.
Quale intervento terapeutico?
All’interno del modello sistemico-relazionale esistono, come in quasi
tutti i modelli teorici, differenti correnti di pensiero che si traducono
poi in altrettante tipologie specifiche di intervento. In questa sede ci
limiteremo a prendere in esame solo alcune idee legate all’intervento
terapeutico mutuandole da terapeuti sistemici appartenenti ad alcune di
queste correnti di pensiero. Salvador
Minuchin (Minuchin et al. 1975; Minuchin et al. 1980) ha definito alcune
linee guida per il trattamento dei disturbi psicosomatici facendo
riferimento al modello strutturale da lui teorizzato. Partendo dalla
definizione di alcuni pattern relazionali costanti nelle famiglie
“psicosomatiche” ha elaborato una strategia terapeutica basata sulla
sfida che il terapeuta deve porre ai membri della famiglia per poter
ottenere un cambiamento. Il terapeuta, ad esempio, può sfidare l’invischiamento
familiare, una modalità di relazione identificabile come tendenza ad una
estrema coesione che non lascia spazio a forme di individualità e che
prevede una scarsa differenziazione dei confini generazionali. Altrettanto
importante può essere sfidare la tendenza all’iperprotettività
genitoriale, che rischia di ritardare notevolmente il processo di
autonomizzazione dei figli malati, che si vedono lentamente costretti a
rinunciare, sempre per il loro bene, a tutto ciò che sta al di fuori
della vita familiare. O favorire una presa di coscienza dell’iperprotettività
dei figli nei confronti della famiglia, che con i loro sintomi permettono
alla famiglia di rimanere unita. Infine è anche possibile lavorare
sull’esplicitazione dei conflitti, che solitamente, proprio a causa
della tendenza all’invischiamento ed all’iperprotettività, rimangono
sotto soglia e creano un clima carico di nervosismo e tensione. In
quest’ottica l’accento viene posto sull’idea che il cambiamento
debba passare attraverso una riorganizzazione delle relazioni che
intercorrono all’interno dei membri del sistema, e dei loro ruoli,
creando una frattura in quell’equilibrio omeostatico che la famiglia ha
creato e che in qualche modo favorisce la persistenza del problema.
Luigi Onnis (1985, 2006) mette
inoltre in risalto l’importanza di un lavoro terapeutico integrato che,
agendo a livelli differenti, possa restituire al corpo un senso globale
del suo essere, che comprenda biologia, emozioni e relazioni. Attraverso
un lavoro di significazione relazionale del sintomo asmatico, diviene
possibile restituire all’individuo, ed alla famiglia, le parole perdute,
proprio rendendo esplicito e comunicabile ciò che in precedenza poteva
essere espresso solo attraverso un comportamento doloroso. In
una prospettiva narrativa potremmo invece osservare come la storia
familiare, bloccata dal sintomo in un eterno presente, aprendosi al
cambiamento possa riprende a scorrere, permettendo ai membri della
famiglia di sperimentare nuove possibili storie alternative. In accordo
con quanto sostenuto da Von Foerster (1994) possiamo notare allora come il
lavoro terapeutico in questo caso, massimizzando le risorse del sistema e
dei suoi membri, punti essenzialmente proprio ad aumentare le possibilità
di scelta della famiglia, liberando gli individui dall’idea di un
percorso immutabile, di un destino già segnato.
BIBLIOGRAFIA
Bateson
G. “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi Edizioni, Milano 1976 (ediz.
orig. 1972)
Minuchin S., Baker L., Rosman B.L., Liebman R., Milman L., Todd T. “A
conceptual model in psychosomatic illness in children”, Archives of
General Psychiatry 32, 1031-1038
Minuchin S., Rosman B.L., Baker L. “Famiglie psicosomatiche”,
Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma 1980 (ediz. orig. 1978)
Onnis, L. “Corpo e contesto. Terapia familiare dei disturbi
psicosomatici”, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1985.
Onnis, L. “Quando il corpo parla nella famiglia. un approccio sistemico
integrato alla malattia somatica cronica” in a cura di Ugazio, V.
“Famiglie Gruppi e individui: le molteplici forme della terapia
sistemico relazionale”, Franco Angeli, Milano 2006.
Von Foerster H. “Etica e cibernetica di secondo ordine”, Psicobiettivo,
14, 3, 47 -57
Watzlawick P., Beavin J. H., Jackson D.D. “Pragmatica della
comunicazione umana”, Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma 1971 (ediz
orig. 1967)
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