IL
RUOLO DELLA FAMIGLIA PER L’INTEGRAZIONE DELLE PERSONE CON DISABILITA’ Dott.ssa
Daniela Di Nino L’
organizzazione pratica della famiglia, i suoi ritmi e le sue abitudini
stanno mutando in modo assolutamente radicale. A questo proposito il
Professor Federico D’Agostino (docente di Sociologia della Famiglia
nella nostra Facoltà) in un intervista svolta di recente, sostiene che la
famiglia resta nonostante le difficoltà ed i cambiamenti, espressione di
valori positivi: dal desiderio di paternità e maternità alla vitalità
più sana. Del resto, a suo avviso, un nucleo familiare non nasce soltanto
per ragioni materiali ma, anche e per fortuna, per bisogni di altra
natura. Oggi è il contesto generale a non favorire la stabilità dei
rapporti affettivi perchè sono cresciuti i bisogni, le esigenze, i
consumi. Però tutto questo non necessariamente comporta la fragilità
affettiva e familiare. È utile proporre una forma di counseling per i genitori, forse il compito principale del counseling alla nascita è proprio permettere che inizino a porsi le basi per questo reinvestimento nel bambino nuovo, affinché venga superata la condizione di vuoto, di annullamento di tutti i sentimenti e di tutti i significati del loro passato, del presente e del futuro, che spesso si riscontrano in queste famiglie. Il punto di vista dei familiari influenzerà l’interpretazione degli eventi messi in relazione con la disabilità, la ricerca di aiuto e l’approccio alla cura. Alcuni ricercatori hanno descritto questo processo come una ricerca di significato, altri ne hanno parlato come di uno spiegarsi dell’evento o anche di un account-making (decidere il da farsi), mentre altri ancora hanno enfatizzato l’importanza di accettare l’evento a livello cognitivo e razionale. I
genitori debbono poter sperimentare le risorse che hanno a disposizione, i
deserti della propria geografia emotiva, ma anche la fecondità dei propri
punti di forza. Vengono
dunque analizzati i bisogni dei genitori che trasformano il loro stile di
vita in seguito alla scoperta della disabilità. L’azione
educativa dei genitori è fondamentale nell’assicurare uno
sviluppo cognitivo e armonico al figlio che vive una condizione di
disabilità. Saper
riconoscere i punti di forza
anche nelle famiglie maggiormente in difficoltà e aiutarle a mettere in
campo le proprie risorse, sembrano competenze professionali importanti e
imprescindibili per chi ha a che fare con persone disabili. Qualsiasi
nucleo familiare, nel corso della sua evoluzione, si trova ad affrontare
eventi e compiti che richiedono un più o meno vasto processo di
riorganizzazione. Le famiglie differiscono tra loro per le modalità con
cui fronteggiano tali compiti evolutivi e anche il singolo nucleo, in
questo percorso, non rimane uguale a se stesso[2].
Dario Ianes[3]
sostiene che non esiste un adattamento assoluto, totale e stabile,
quindi si può parlare di un adattamento parziale e relativo: la
famiglia “adattata
positivamente” è la famiglia che riesce a soddisfare in modo
sufficiente i bisogni dei suoi membri. E’
necessario comprendere anche quali
siano le risorse considerate ‘punti
di forza’ per un adattamento positivo della famiglia. Le risorse
positive vengono classificate in risorse
esterne -cioè risorse oggettive e materiali- e risorse
interne -ossia intrapsichiche, cognitive ed emozionali, facenti quindi
parte della persona-. Tra le più importanti risorse esterne vengono
indicate: il livello di benessere e quello economico; l’evoluzione
positiva della disabilità; la disponibilità di cure e terapie efficaci;
la disponibilità di una rete informale di supporto. Tra le risorse
interne, troviamo di fondamentale importanza: il grado di sensibilità dei
genitori verso questa problematica;la qualità della relazione tra
coniugi;il livello di cultura dei genitori;il livello delle abilità
comunicative tra i membri della famiglia. Patterson e Garwick[4]
affermano che ci sono tre livelli
di significato importanti da prendere in considerazione quando le
famiglie sono costrette a riadattarsi a seguito di una situazione
stressante, sia essa l’evento disabilità o altro:
Vi
è chi stabilisce un più stretto
rapporto tra gestione familiare di un figlio handicappato ed esperienza di
lutto vera e propria. In particolare, Calandra e collaboratori[5]
sostengono che le famiglie con un membro handicappato attraversano le
stesse fasi descritte da Kubler-Ross con riferimento alla elaborazione del
lutto, e che sono: rifiuto ed
isolamento, rabbia, approccio al problema, depressione, accettazione.
In
Italia e all’estero attualmente si stanno affermando diversi approcci
teorici e metodologici che hanno già dimostrato notevole efficacia sul
piano pratico, ad esempio le tecniche cognitivo-comportamentali, la teoria
razionale emotiva di Ellis[6]
e l’approccio sistemico relazionale (un esempio è l’organizzazione di
un servizio di Consulenza Familiare in un equipe Socio-Sanitaria
pluridisciplinare che si occupa di persone con disabilità e delle loro
famiglie a Milano[7]).
L’isolamento
sociale è uno dei principali rischi per le persone disabili e i loro
familiari. La disabilità di un figlio può essere occasione per
incontrare persone che si trovano nella stessa situazione, creando
rapporti importanti proprio perché basati sulla condivisione di problemi
simili. In Italia si stanno sviluppando gruppi
di auto-mutuo-aiuto in istituzioni come il Centro Italiano Sviluppo
Psicologia (CISP) di Roma[8]
(www.psicoterapie.org)
e anche forum virtuali per mezzo dei quali le persone disabili e i loro
familiari possono condividere le loro esperienze. L’Università di Roma
Tre, attraverso il Servizio di Tutorato, aiuta agli studenti disabili ad
integrarsi nella vita universitaria, orienta ai loro familiari ed offre il
servizio di “counseling”. [1]
J. Gottman - J. Declaire, Intelligenza emotiva per un figlio,
Rizzoli, Milano, 2001. [2]M.
Zanobini, M. Manetti, M.C. Ussai,
La famiglia di fronte al
problema dell’handicap. In O. Cellentani (a cura di), Lavorare
con la famiglia. Manuale ad uso degli operatori dei servizi sociali.
Angeli, Milano, 1998, pp. 282-306. [3]
D. Ianes in : (a cura di) M. Tortello - M. Pavone., Pedagogia
dei genitori. Handicap e famiglia. Educare alle autonomie. Paravia,
Torino, 1999, cit., p.160. [4]
Patterson
e Garwick, Levels of family
meaning in family stress theory, “Family Process”, vol. 33,
pp. 287-304, 1994-b. [5]
C. Calandra, G. Finocchiaro, L. Raciti, A. Alberti, Grief
elaboration in families with handicapped member. “Ann. Ist.
Super. Sanità” vol. 28, pp. 269-272, 1992
[6] L. Marin, Terapia Razionale Emotiva. “Rivista telematica Centro Italiano Sviluppo Psicologia”, vol. 1 pp.1-9. www.psicoterapie.org , 2006. [7]
D. Grezzi, Consulenza
familiare e handicap: le ragioni di un servizio. “Rivista
interdisciplinare di ricerca ed intervento relazionale” num. 32, pp.
41-60, 1990. [8]
L. Marin, Gruppi
di auto mutuo aiuto. www.psicoterapie.org,
2006
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