IL
TIFO ORGANIZZATO E I SUOI PROTAGONISTI
Paola
Maffeis
I
cuori palpitano, gli spalti rumorosi dello stadio si colorano, il fischio
dell’arbitro è il segnale dell’inizio di un nuovo spettacolo
calcistico e coreografico.Il
calcio continua ad essere lo sport più seguito a livello nazionale, e
come sostiene G. Desiderio (2005), penso
che il suo fascino sia insito nella squadra e nell’avversario, nella
pluralità come condizione dell’azione: si agisce con gli altri o per
gli altri o contro gli altri, ma soprattutto fra gli altri.
Lo stadio è
meta di migliaia di spettatori e spesso ha fatto da scenario ad episodi di
violenza ingiustificabili.Calcio
e tifosi sono rimasti legati alle origini del gioco popolare, nonostante
la comparsa dello sport civilizzato e il suo sforzo ad assumere
un’ideologia pedagogica.
Gli anni
Settanta sono gli anni delle controculture, degli sfondamenti di massa ai
concerti rock e della cultura ultrà. La ribellione giovanile di quel
particolare periodo riguarda la politica e si allarga alla sfera del
consumo e del tempo libero.La
maggior organizzazione del tifo porta ad un’evidente degenerazione della
violenza negli stadi. Giornali, radio e televisioni ritengono queste
manifestazioni violente incompatibili con il valore umano e puro dello
sport, senza riconoscere i valori simbolici di battaglia e di competizione
( Ida Magli, 1981).
Attualmente
l’adesione militante a movimenti politici è in calo, mentre le curve
degli stadi risultano le principali aree di condensazione di questa
mentalità giovanile ribelle ( NONPLUSULTRAS, 2001).Il conflitto tra le
tifoserie e le forze dell’ordine è sempre più incomprensibile e
illegittimo.Spesso
quando si parla di aggressività scatenata dai tifosi ultrà vi è la
tendenza a dare una spiegazione di deindividuazione, come giustificazione
di un comportamento collettivo garantito dall’anonimato.
Se si esamina questo complesso fenomeno sociale è opportuno considerare
che l’individuo è un soggetto intenzionalmente teso verso uno scopo,
capace di compiere una scelta dei comportamenti congrui al
suo ruolo ( A. Salvini, 2004).
Inoltre, si deve
definire quando un comportamento violento è “antisociale”, perché
ogni cultura possiede un insieme di norme generali che disciplinano una
data sfera di vita, in una particolare società ( A. Zamperini, 2004).Entrare
a far parte di un gruppo significa spogliarsi della propria soggettività,
attuare un processo di apprendimento dei comportamenti idonei al ruolo che
si vuole indossare e successivamente metterli in atto per dimostrare
l’appartenenza ad un particolare gruppo sociale.Il tifoso sacrifica la
propria identità per un’identità sociale riconosciuta e stimata
all’interno del gruppo ( A. Zamperini, 2004).Oltre alle idee, ai
sentimenti, alle emozioni e ai comportamenti della tifoseria, il soggetto
condivide un’identità collettiva riconosciuta all’interno del gruppo,
ma che sfugge all’omogeneizzazione della società.La maggioranza dei
tifosi attribuisce a teppisti e delinquenti estranei al mondo sportivo gli
atti trasgressivi che si manifestano negli stadi, pur riconoscendo che il
confronto fisico fa parte delle regole “non scritte” della tifoseria.A
partire dagli anni Ottanta il governo ha attuato provvedimenti sempre più
restrittivi nei confronti del tifo organizzato, il più noto è la
D.A.S.P.O. (divieto d’accesso agli impianti sportivi), mostrando
un’elevata preoccupazione non sempre riconosciuta dall’opinione
pubblica.Queste realtà giovanili, caratterizzate dalla passione per la
propria squadra e dall’identificazione
nel ruolo del tifoso, promuovono iniziative benefiche che meriterebbero
maggior rilievo da parte dei mass-media,
soprattutto interessati agli episodi violenti di forte impatto
sociale.I tifosi si sentono prigionieri di questa società in cui tutto è
organizzato e rivendicano la
possibilità di autorganizzazione del proprio protagonismo sugli spalti e
nelle proprie città ( NONPLUSULTRAS, 2001).Il modello culturale
attualmente predominante, che tende alla parificazione dei ruoli sessuali
e rappresenta il fallimento del movimento femminista ( Ida Magli, 1981),
ha influito anche sulla cultura ultrà, sorta come aggregazione tutta
maschile.Le donne stanno ritagliando il proprio spazio all’interno delle
tifoserie, si occupano soprattutto dell’organizzazione delle trasferte,
preparano slogan e stendardi, vendono abbigliamento e gadget della curva.
La presenza femminile potrebbe portare ad una riduzione delle
manifestazioni violente e alla riaffermazione della virilità dell’uomo,
che si mostra fisicamente superiore alla donna.Le curve rappresentano
ancora oggi uno dei pochi spazi in cui l’uomo può affermare la
propria mascolinità.
BIBLIOGRAFIA
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D., Brimson, E. (2003). Follie da stadio ( Everywhere we go). Milano:
Edizioni Libreria dello Sport.
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G. (2005). Platone e il calcio. Saggio sul pallone e la condizione umana.
Arezzo: Edizioni Limina.
Magli,
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Edizioni Rizzoli.
Marchi,
V. (2005). Il derby del bambino morto. Violenza e ordine pubblico nel
calcio. Roma: Edizioni DeriveApprodi.
Mariottini,
D. (2005). Ultraviolenza. Storie di sangue del tifo italiano. Torino:
Edizioni Bradipolibri.
NONPLUSULTRAS
(2001). Barcollo…Ma non mollo. Presente e futuro di Noi Ultras. Roma:
autoprodotto.
Roversi,
A. (1990). Calcio e violenza
in Italia in A. Roversi (a cura di) Calcio e violenza in Europa. Bologna:
Il Mulino.
Salvini,
A. (2004). Ultrà. Psicologia del tifo violento. Firenze-Milano: Edizioni
Giunti.
Zamperini,
A. (2004). Prigioni della mente. Relazioni di oppressione e resistenza.
Torino: Edizioni Einaudi.
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