STORIA DI ANNA di Paola Tulipano
Anna inizia la sua terapia nel 1998.Nel nostro primo incontro mi parla della sua depressione: sensazioni di vuoto, perdita di senso che la costringono ad una dura lotta con se stessa. - Dottorè la mattina a volte, appena sveglia corro a controllare che tutte le persiane siano chiuse, invece di aprirle… il mio primo pensiero è buttarmi di sotto-. - A che piano abiti- - Al secondo- - Forse è meglio se sali più su, prima. Così rischi solo che ti rompi una gamba- Sorride. E’ stato il mio modo di dirle che non avevo paura del suo vuoto; di allinearmi con la sua usuale soluzione rispetto alla vita: salire più su, come essere più forte; capire di più; lavorare di più; affinché la sua paura-desiderio di cadere-morire potesse trovare spazio e senso nel nostro incontro.Ha 42 anni; è una donna bruna, forte, bella. Sposata con due giovani figlie.La sua vita le diventa insopportabile in seguito alla decisione di sua sorella di abortire. Avrebbe tenuto lei il bambino, visti gli impegni lavorativi della madre. Questa idea l’aveva riempita di progetto e speranza. La sua storia: Nasce da una relazione breve e senza seguito. Sua madre, che descrive come una donna molto attraente lascia il suo compagno appena dopo la nascita della bambina. Va a vivere con la famiglia materna. Ne parla come del periodo più bello della sua vita, con nonni, zii, cugini e giochi all’aperto.La madre ha molte storie sentimentali. Si sposa quando Anna ha 6 anni con un uomo ‘schifoso’, cosi lei lo definisce. Vanno a vivere in una nuova casa. - Mi ha strappata via da tutta la mia vita. Se prima il nostro legame era bello, ora avevo perso anche lei, completamente assorbita da quello-. Il marito di sua madre beve, non lavora, ha altre donne. Sta sempre in casa anche quando la bambina è sola; la madre costretta a lavorare per due. Anna racconta di episodi in cui lui la molesta. Non c’è stata violenza fisica.Quando nasce il primo fratellino, lei ha 9 anni, la madre la ritira dalla scuola perché deve occuparsi di lui.In casa anche il patrigno ubriaco. - mi ha ucciso per la seconda volta perché la scuola mi piaceva-. Durante il percorso terapeutico si iscrive ad una scuola serale, consegue la licenza media e ‘rivive’ in parte la sua adolescenza, bruciata dalla sua storia.A 16 anni va a lavorare nel salone di un parrucchiere. A 17 anni lo sposa.La sua vita scorre piuttosto tranquilla fino alla fase dello ‘svincolo’ delle sue figlie: non deve più occuparsi di niente. Solo di se stessa. Ma lì ‘cade’ nel vuoto: non valgo niente; non sono niente… chi sono..’. Da lì l’emozione, i pensieri tornano indietro a cercare il senso, le origini. E nel processo ricostruisce anche la sua identità.Trascrivo integralmente una sua lettera datata luglio 2000: “Il giorno in cui ho saputo che mio padre era vivo risale a circa 7-8 anni fa. Mia madre con molta naturalezza quel giorno mi ha detto che mio padre non era morto come io avevo da sempre creduto, ma viveva, era sposato ed aveva anche due figli maschi. Non ricordo ora che cosa ho sentito in quel momento ma sicuramente è stato un impatto molto forte, dopo che, per circa 37 anni, avevo creduto che questa persona era morta. Ricordo che appena sono venuta a casa ne ho parlato con mio marito e subito dopo mi è venuta la curiosità di sapere qualcosa di questa persona. Così ho provato con l’unico elemento che avevo per cercarlo, il cognome, ma questo non è stato possibile, visto che il sig. ‘Lampati’ in questione non esisteva. Subito non ho pensato di fare altro e così ho lasciato perdere; non ne ho parlato più, anche se certamente dentro di me qualcosa era accaduto.Poi è successo che due anni fa sono andata da una psicologa ed ho cominciato a fare i conti con il mio disagio tirando fuori tutte le cose che ho dentro da piccola (l’infanzia spezzata, il matrimonio di mia madre con una persona negativa e tantissimi punti di riferimento che mi sono mancati, hanno fatto di me una persona insicura). Così sono andata alla ricerca delle mie origini ed ho deciso che dovevo cercare mio padre visto che era in vita.Io di questa persona sapevo solo che si chiamava Giorgio Lampati e che mia madre lo aveva conosciuto in una clinica dove lei lavorava, lui era malato di tubercolosi. In un primo momento ho pensato di rivolgermi all’anagrafe; poi ho pensato di andare in polizia; ma per essere sincera mi sembravano tutti tentativi che non mi avrebbero portato ad avere nulla di concreto. Così ho telefonato a mia madre chiedendole se era sicura che il cognome fosse proprio quello. Ma lei dopo tanti anni non lo ricordava.Così io con rabbia, ma anche con determinazione mi sono detta che non mi sarei fermata ed ho pensato di andare nella clinica dove all’epoca lavorava mia madre e dove si erano conosciuti.Sono andata lì; devo dire che la sorte mi è stata favorevole: in questa clinica lavorava ancora il direttore che prestava servizio nel lontano 1953. Gli ho spiegato i fatti dicendogli anche che avevo dei dubbi sul reale cognome. Lui ha preso il registro dei ricoveri dal 1954 al 1956, anno in cui sono nata io ed abbiamo, insieme a due segretarie e ad un altro impiegato, cominciato a sfogliare per vedere se comunque si riusciva a trovare qualcosa che ci potesse portare a questa persona. Non abbiamo trovato nulla. Io caparbia, ho chiesto a questo signore se poteva andare a guardare anche nel registro dei ricoveri del 1953; lì sfogliando con un po’ di pazienza, ad un certo punto abbiamo letto ‘Lappai Giorgio’, un nome che poteva essere facilmente scambiato con Lampati. Ricordo che la segretaria ha subito detto che era un cognome sardo, ne era sicura perché lei era sarda. Io ad istinto ho subito capito che era la persona che stavo cercando. Loro non hanno voluto dirmi più niente perché si sono resi conto che la questione era molto delicata. Ma il segretario comunque mi ha fatto capire che ero sulla buona strada. Ringraziando me ne sono andata.A casa ho subito messo mio marito al corrente della situazione; poi ho preso l’elenco telefonico (quella mi era sembrata la prima cosa da fare ed anche la più semplice) ed ho trovato due ‘Lappai Giorgio’ . Ho chiamato subito quello che mi sembrava il più indicato tramite la zona di appartenenza, visto che conoscevo la zona di Roma in cui aveva abitato.Al telefono mi risponde un uomo; io con una scusa gli chiedo del signor Giorgio e lui mi dice che è deceduto. Premetto che io ho sempre creduto che la persona che stavo cercando in quel momento fosse mio padre, ma poi questo signore mi ha dato conferma dicendomi che la sorella si chiamava Anna Maria e se volevo poteva darmi il suo numero di telefono. Io naturalmente non dissi niente a lui, perché non volevo portare scompiglio nella vita di persone che non sapevano nulla di questa storia. Però avevo sempre saputo, fin da bambina, che aveva una sorella che si chiamava Anna Maria; il mio istinto è stato quello di comunicare con lei; mi sono fatta dare il suo numero di telefono. Ho chiamato ed ho messo al corrente questa signora di chi ero. Ha voluto subito che io andassi da lei per conoscerci. Così è stato. Mio marito ha voluto accompagnarmi perché ha visto che io non ero molto in grado di orientarmi con la macchina, dopo aver avuto tutte queste notizie, una vicina all’altra, così forti e profonde. In macchina mi veniva da piangere, perché veramente non avrei mai creduto di trovare questa persona morta.Devo essere sincera io veramente, ero molto arrabbiata quando ho saputo che mio padre, al contrario di quello che avevo sempre creduto era invece vivo e quando mia madre mi ha detto che era sposato ed aveva 2 figli, mi è cresciuta dentro la rabbia: non mi riuscivo a capacitare di come può una persona crearsi una famiglia con dei figli e non voler sapere più niente della vita di una figlia sua avuta tanti anni prima. Questo mi faceva molto male; quindi mi è venuto molto rancore ed ero determinata a ritrovarlo anche per ferirlo in qualche modo. Dentro di me il fatto di sapere che era vivo me lo aveva reso immortale e quando quel giorno ho saputo invece che non c’era più mi ha fatto veramente male.Appena sono arrivata mi sono trovata davanti mia zia: ho avuto come l’impressione di avere davanti una persona che avevo già visto e poi invece mi sono resa conto che in quella persona vedevo tante cose di me, familiari (ci assomigliamo) così ci siamo abbracciate. Lei è stata felicissima di conoscermi, non le sembrava vero di aver ritrovato questa nipote che pensava di non conoscere mai nella sua vita visto che ormai erano passati più di 40 anni dall’epoca dei fatti e comunque non sapevano neanche come fare perché anche mio padre non aveva mai voluto parlare con nessuno di mia madre o di me; però ho saputo che questa scelta non lo aveva fatto vivere bene. Si era sposato in tarda età e non aveva avuto figli. (Era stata una sua scelta. La moglie aveva accettato). Poi comunque nella sua vita c’era sempre stata come un’ombra, una sorta di non essere sereno; forse la decisione di non cercarci più gli era pesata, anche se aveva sempre tenuto fede al suo orgoglio. Mia zia mi ha raccontato che quando io sono nata mio padre mi voleva tenere con sé, ma non voleva sposare mia madre. Lei aveva un carattere molto forte; sono nate delle ripicche tra loro: mia madre è sparita con me e mio padre ha deciso che se non si faceva come diceva lui non ci avrebbe più cercato. E così è stato. Mia nonna, mia zia Anna Maria e mia zia Giovanna hanno molto sofferto per questa decisione ma hanno dovuto accettarla. Mio padre non ne ha voluto più parlare; a detta loro però ha pagato molto cara la sua decisione; si vedeva che la sua vita era segnata da qualcosa di molto forte e profondo.Dopo aver saputo tutte queste cose mi sono resa conto di non provare più quella sensazione di rancore dentro di me. Mi sono sentita soltanto molto amareggiata per non aver conosciuto mio padre prima, quando era vivo, perché penso che sarebbe stato meraviglioso aver avuto questa possibilità e so che lui ne sarebbe stato felice. Il destino purtroppo ha voluto che le cose andassero così. Di lui ho le foto che mi ha dato mia zia. Era un bell’uomo da giovane ed anche da adulto; è morto a 72 anni per un male incurabile. A me è mancato un padre nella vita, molto; e sapere che lui esisteva quando io ne avevo bisogno e non ho avuto la possibilità di averlo vicino mi riempie di tristezza. Ma credo che esistono delle persone destinate a non conoscersi mai; comunque credo che mio padre mi abbia voluto bene anche senza avermi mai cercato.Cara Paola ho buttato giù queste pagine di getto, in modo spontaneo, senza andare a rileggere o correggere nulla. Queste riflessioni mi sono venute da dentro, così, proprio come le pensavo e tu sai quanto valore io do alle cose vere. Anna L’incontro con la morte di suo padre, la conoscenza e la comprensione di una parte sconosciuta della sua storia le consentirono di ‘vedersi’ sotto una nuova luce. - Mio padre mi voleva con sé… Non ebbe altri figli… nella sua vita c’era come un’ombra…- Era come dire -Mio padre mi amava, non mi ha cercata per un suo limite e per mia madre-. La somiglianza fisica con i familiari paterni le permise di ‘entrare’ in una dimensione di appartenenza che mai aveva sentito: - Nella famiglia di mia madre, i miei fratelli compresi, sono tutti biondi o castani, chiari di pelle. Mi sono sempre sentita diversa-. Era l’unica figlia fuori dal matrimonio. Si era sempre occupata dei suoi fratelli e di sua sorella più piccoli, da sempre. La diversità somatica, sommata alla differenza funzionale che rivestiva all’interno del gruppo familiare, le aveva impedito di fondare la sua identità su un’appartenenza. Poteva esistere solo se si occupava di tutti; solo nel ‘fare’ estenuante e continuo.La relazione che nasce dal nostro incontro è diversa: lei poteva stare senza dover fare, o meglio nella misura in cui automaticamente lei ‘faceva’ anche per me, del suo fare le riflettevo e restituivo il senso e poteva ricevere.Questo le permise lentamente di pensare le differenze e di osservare anche i suoi rapporti con la madre ed i fratelli: - Quando vado a trovare mia madre le rimetto a posto tutta la casa. I miei fratelli le chiedono sempre soldi, lavorano, ma sembrano molto egoisti. Quello (il patrigno) è malato e vive in camera da letto con le bombole d’ossigeno. Però fuma. Mia madre dorme sul divano. Non mi ringrazia mai. Forse perché io odio il marito-. Anna dirada le sue visite e cerca sempre di più un rapporto personale con sua madre. Che non arriva mai.Comincia a fare dei viaggi con suo marito, mi manda cartoline dal Marocco, dal Mar Rosso.Mi dice che ama le genti, i colori ed il calore delle terre del Sud.Proprio nel periodo in cui ricerca e ritrova suo padre la madre viene colpita da un ictus.Si salva ma una emiplegia la costringe su una sedia a rotelle. Viene ricoverata in clinica per la riabilitazione.L’atteggiamento di Anna è commovente: la assiste quotidianamente, finchè non muore. -Per la prima volta avevo mia madre con me. E lei mi cercava e mi voleva, anche quando non c’ero. La capivo, anche se non riusciva più a parlare. Mi prendeva la mano, anche se non poteva muoversi facilmente. Quella sua manona calda…Le avevo tagliato la mela a pezzettini, come facevo sempre. Vedevo che lei con difficoltà aveva diviso i pezzettini in due parti. Metà erano per me. Il giorno dopo la trovai morta.Quei pezzettini di mela per me avevano un valore immenso-. Anna ha potuto sentire l’essere figlia proprio nella morte dei genitori. Il suo vuoto non era più pieno di rabbia, tensione e non-senso. Aveva fatto chiarezza nella sua storia.
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