ANNO
2000: IL 1000 E NON PIU' 1000
CRONACHE DI MORTI ANNUNCIATE
di
Barbara Rossi
La cronaca di questi giorni ha registrato l'ennesimo comportamento
suicidario. In 10 mesi abbiamo contato almeno un suicidio a settimana, a
volte per impiccamento, altre per avvelenamento, per precipitazione, da
arma da fuoco, per arrotamento, per asfissia….quindi nei vari modi
immaginabili. Infinite ondate di morte. E ogni volta la morte provocata
così improvvisamente ha lasciato domande e quesiti senza risposta,
insieme a una marea di pensieri interrotti. Restano anche emozioni
doppiamente spiacevoli, perché al lutto per la perdita della persona cara
si aggiungono sentimenti di colpa, vergogna, pudore per non essersi
accorti di qualcosa, per non aver visto ed evitato il dramma,
l'irreparabile. Viene da chiedersi infatti come mai queste persone si sono
sentite affondare, un po' come il comandante di una nave nel corso del
naufragio, dove spicca l'identificazione di un corpo biologico a uno scafo
metallico che si infrange contro gli scogli. La metafora del Titanic,
quindi, speronato da un iceberg sommerso. La vita diventa un corpo lungo
quanto un corpo immaginario di 19-30-40-50 anni, a seconda dell'età dei
passeggeri. I passeggeri morti sono i ricordi che si portano appresso i
sopravvissuti, con la consapevolezza dei ricordi morti e affondati con la
nave, per quelle domande che non avranno più risposta, che non potranno
più nemmeno essere dette. Viene in mente l'insostenibile leggerezza
dell'essere, la ricerca della felicità, l'ebbrezza della vita, la caducità
delle cose. Ci si chiede contro quale iceberg si sono infranti i progetti
esistenziali di queste persone, che cosa pensavano di poter far vivere con
la loro morte (secondo il "mors tua vita mea"), ma soprattutto
ciò che preoccupa noi spettatori, lettori, psichiatri, psicologi,
sociologi è il non ascolto dell'S.O.S. sicuramente lanciato. Anche l'S.O.S.
del Titanic non fu compreso, scambiato da una nave di passaggio per un
gioco di luci. Questo apre una grossa riflessione non solo sul quando e
sul come ascoltare gli altri, ma anche sul cosa si comunica nell'emissione
di un messaggio di sofferenza. Che cosa ci abbaglia? E' possibile
naufragare, gli scogli e gli iceberg esistono nel corso della vita, ma non
è detto che questi ostacoli portino alla morte. Cosa ci impedisce di
capire il messaggio d'aiuto durante l'agonia che precede la fine? Per quel
che è possibile sapere, l'S.O.S. era una domanda troppo in codice, o
forse ancora meno, era un'aspettativa passiva di vedere una mano tesa
verso qualcuno che non si poteva vedere. Una persona rannicchiata in una
grotta con la speranza di essere vista e soccorsa. Spesso capita di
accorgersi solo dopo che quell'atto non era frutto di un momento
d'impulso, ma era stato pensato e progettato in una disperata e ostinata
solitudine, in tutti i suoi dettagli. Si potrebbe dire allora che manca la
salute psicologica, che non è assenza di malattia ma presenza di una
soggettiva sensazione di benessere, piacere e felicità. Il fatto di non
essere ammalati e di non avere dei dolori evidenti non vuol dire essere
felici. Il suicidio si incontra infatti là dove ci sono oscuri silenzi,
segreti angoscianti e misteri connotati da una solitudine e da un blocco
della comunicazione e dell'emozione. Per un qualche motivo queste
sensazioni restano imprigionate, non è possibile condividerle con altri.
Non necessariamente questo blocco è diffuso a tutti gli ambiti della
vita, ma certamente caratterizza alcune aree fondamentali e vitali. Questo
è uno dei motivi per cui è difficile accorgersi del rischio di suicidio.
Benché non si possano fare generalizzazioni assolute, si può dire che
succede di trovare come motivazioni valide quella di uccidersi per il
lavoro, per amore, per un'amicizia significativa, per lo studio, ma anche
per l'idea esclusiva di aver concluso il proprio compito nel mondo
(raggiunto o fallito che sia) che è legato alla perdita della speranza.
Non a caso una regola verbale latina diceva che "spero, prometto e
giuro reggono l'infinito futuro", cioè che la speranza si proietta
nel futuro. Spesso si sentono anche persone anziane dire che non hanno
tempo per morire perché devono portare avanti ancora molti progetti,
ovvero che non hanno ancora portato a termine i loro scopi. E' invece
drammatico quando i progetti finiscono. Nell'ottica psicosociale quindi
forte è il valore dei progetti personali che hanno un riconoscimento e un
consenso familiare, gruppale, sociale. L'isolamento che la nostra società
induce, nonché la forte competitività non possono che aumentare
l'incidenza dei fattori, appunto psicologici e sociali, che predispongono
al suicidio. La sfida per il futuro allora è: basta rompere il muro del
silenzio per essere tutti un po' più felici?
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