SENSO
DI CATASTROFE: TRA TECNICA PSICOANALITICA INDIVIDUALE E GIOCO DI RUOLO
NELL'ANALISI IN GRUPPO.
di
Roberto Pani [1]
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parecchie circostanze, la donna aveva esclamato di
fronte al figlio che lui non avrebbe dovuto emulare il padre in alcun
modo, perché persona meschina ed indegna; in qualche modo il paziente
continuamente era coinvolto in situazioni nelle quali i genitori
litigavano ed il padre ne usciva denigrato, perché la madre lo accusava
di appartenere ad una classe sociale inferiore alla sua. Verso la fine
di una recente seduta di psicodramma analitico Matteo racconta un sogno
in cui lui stesso tentava di avere un rapporto sessuale con una donna di
fronte ai suoi amici: il paziente non riusciva ad avere erezione (Lacan,
Altro, Evans 1966) e pertanto si rendeva ridicolo davanti agli amici, un
terremoto provocava il crollo dell’edificio in cui si trovavano. In
seguito Matteo accetta di giocare l’episodio del sogno e per questo
sceglie Emanuela come partner: il direttore suggerisce di giocare
soltanto la parte preliminare del sogno insieme a pochi partecipanti che
interpretavano gli amici guardoni…. poche parole pronunciate, pochi
movimenti del corpo, molti sguardi scambiati… Matteo irrigidito con
respirazione difficoltosa. Gli amici nei ruoli di interlocutori
inconsci, trasformati in Io ausiliari si precipitano ad aiutarlo e
sostenere il suo Ego che appariva in stato di crollo in una tensione
somatica da incubo. Suggeriscono: .… non debbo sentirmi mortificato,
non debbo vergognarmi… lei non potrà mai divorami…. Io rimarrò
sempre me stesso e in me stesso.. e qualcun altro: se pur non sono un
eroe sono pur sempre Matteo! ….Promuovo personalmente, come direttore,
un’inversione di ruolo e Matteo diviene molto calmo: né l’immagine
della madre, né il gruppo degli amici sembravano turbare la sua
tranquillità mentre giocava il ruolo femminile. Nel soliloquio, sempre
nel ruolo femminile disse: Matteo è un ragazzino, ma e così carino e
tenero! … mi piacerebbe stare con lui….!Tutti tornarono a sedere in
cerchio, e commentarono sulle difficoltà di Matteo nel differenziare la
sua stessa immagine da quella della madre dentro di sé: così pure
pareva difficile distinguersi dalla donna e dal gruppo degli amici,
nella sua funzione d’interezza contenente. Tale confusione gli rendeva
impossibile sperimentare personali ed autentici desideri di base.
Matteo, infatti, appariva in soggezione di Manuela e del gruppo nella
sua unicità e, pertanto, non riusciva a trovare una propria posizione
psicologica autonoma. L’impressione che ricavai nel gioco sulla madre
di Matteo riguardava l’immagine Lacaniana di un coccodrillo che teneva
ancora dentro la sua bocca il giovane figlio proteggendolo e
minacciandolo al tempo stesso senza mai lasciarlo andare. Come Luca,
Matteo non poté fare affidamento infatti su una funzione di padre
supportivo, sul quale non aveva potuto né contare né fare investimenti
significativi, non avendo la madre stessa mai riconosciuto la sua
funzione paterna.
Caso C: Manuela e Matteo
Circa dodici anni or sono avevo trattato in psicoterapia individuale, al
ritmo di due volte la settimana, Manuela, (oggi di trentanove anni) per
risolvere un dubbio ossessionante che la riguardava: dichiarava di
essere legata ad un uomo da parecchi anni, ma di non essere pronta a
sposarlo. Allo stesso tempo non era in grado di lasciarlo. Dopo un breve
periodo dall’inizio della psicoterapia, si sentì meglio e decise di
sposarsi. In seguito, la paziente interruppe la psicoterapia, in
considerazione del fatto che, oltre ad essere venute meno le motivazioni
per le quali lei era venuta in cura, provenendo da un’altra città, il
mantenere la psicoterapia le sarebbe costato troppo anche in termini di
tempo. Nello stesso periodo in cui Matteo entrava nel gruppo di
psicoterapia, Manuela chiese nuovamente il mio aiuto a causa di gravi
attacchi di panico; inoltre la tormentavano alcuni dubbi circa tentativi
falliti nell’avere figli attraverso l’inseminazione artificiale[9].
Si trovava dunque ad un bivio: doveva decidere se perseverare nei
tentativi di procreazione, scelta che avrebbe comportato una lunga serie
di controlli medici piuttosto invasivi, oppure rinunciare
definitivamente alla maternità. Nel suo mondo interno era comunque
prevalente il teatro psichico secondo cui i test avrebbero confermato la
sua inabilità ad avere figli, cosicchè avrebbe deluso la propria madre
che invece, secondo la paziente, aveva grandi aspettative nei suoi
confronti in tal senso. Manuela scelse Matteo come partner per
rappresentare la propria madre, nella scena in cui stava spingendo ed
incoraggiando la figlia nei suoi sforzi di aver un bambino, ma, al tempo
stesso, inviava messaggi svalutativi circa le sue capacità procreative.
In una seduta di psicoterapia di gruppo, Manuela giocando il ruolo di
madre si distinse per la sua perfetta identificazione con lei, seguendo
il copione che aveva ben raccontato precedentemente. Quando toccò a
Matteo, nell’inversione di ruolo, interpretare la madre di Manuela, il
paziente, fuori dal copione, esclamò: … Va all’inferno! …. sono
stanca di sentire i tuoi lamenti; è ora che tu ti arrangi per conto tuo
… io sono vecchia e stanca e tu hai la tua barca, stai nella tua
barca! Tale esclamazione aiutò Manuela a comprendere come ella stessa
avrebbe dovuto
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