SENSO
DI CATASTROFE: TRA TECNICA PSICOANALITICA INDIVIDUALE E GIOCO DI RUOLO
NELL'ANALISI IN GRUPPO.
di
Roberto Pani [1]
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Matteo.
Quando tale importante evento venne raccontato in gruppo, creò un gran
scalpore in alcuni, ma non sembrò che causasse in Matteo una perdita di
equilibrio; ebbi l’impressione che le fantasie primarie del paziente
sulla madre fossero più significative ed intense degli stessi legami
reali. Sebbene ci sia stato un periodo di lutto, questo non sembrò durare
molto a lungo, considerando che la relazione di Matteo con la madre
appariva essere il problema centrale di certi suoi sintomi. Negli ultimi
anni la sintomatologia ansiosa della madre peggiorò notevolmente forse
anche perché andava realizzando che Matteo all’età di ventott’anni
non riusciva a guarire da sintomi ossessivi-compulsivi, nonostante avesse
intrapreso il trattamento individuale: i disturbi d’angoscia
insopportabile si erano enormemente accentuati da quando il paziente si
era reso conto di poter perdere il gruppo dei suoi ex compagni di scuola
con i quali aveva mantenuto un rapporto quasi simbiotico sino a quel
momento. Temeva di rimanere disperatamente solo ed in verità i compagni,
pur non desiderando abbandonarlo, effettivamente, uno dopo l’altro, si
fidanzavano con ragazze che incontravano la sera, sempre più
frequentemente, poi si appartavano e si staccavano dal gruppo. Matteo
trascorreva le serate passando da un locale ad un altro, pieno di rancore,
imprecando contro gli amici sempre più stanchi dei suoi lamenti ed accuse
loro rivolte. Egli era catturato da sensazioni di catastrofe e immaginava
che sarebbe piovuto tutto il peggio sulla sua famiglia. Occasionalmente
faceva abuso d’alcol .Così anche per questa preoccupazione che
aggravava il senso della dipendenza dal gruppo degli amici, venne
consultato uno psichiatra che suggerì la psicoterapia di gruppo. Lo
psichiatra pensò, considerando che i sintomi emergenti erano connessi con
il gruppo, un lavoro gruppale di psicoterapia avrebbe offerto maggiori
indicazioni e più ampie possibilità di risoluzione. Matteo, nonostante
le difficoltà della sua vita, riuscì a laurearsi in Economia e
Commercio. Sfortunatamente e all’improvviso come già detto, la madre
pochi giorni dopo, morì. Il paziente che aveva con lei una relazione di
tipo simbiotico, raccontava al gruppo di psicoterapia che la poveretta,
prima della sua morte, si rivolgeva a Matteo proclamandolo il più bello,
il più intelligente, in breve, il migliore di tutti i ragazzi. Nelle
sedute di psicodramma analitico durante i primi sei mesi di lavoro
psicoterapeutico, Matteo aveva assunto un comportamento passivo e
rifiutava di collaborare e quindi di giocare tutti i ruoli che, secondo la
prassi dello psicodramma analitico, gli altri pazienti gli richiedevano
d’interpretare. Gradatamente, l’interesse del gruppo nei suoi
confronti cominciava a svanire. Il terapeuta, (direttore) nelle molteplici
occasioni presentatesi, nelle quali Matteo rifiutava la sua partecipazione
al gioco, interpretava il rifiuto alla partecipazione di Matteo come una
difesa da vergogna ad un'intrusione estranea. In altre parole, sembrava
che il paziente si sentisse minacciato al suo interno, lasciando
trasparire un senso d’inconsistenza. Un giorno Matteo cominciò a
segnalare la sua presenza fisica doppiando un’altra partecipante di nome
Manuela, rivelando mentre stava collocato dietro di lei, secondo la
tecnica di psicodramma, i sentimenti inconsci di vergogna che la donna non
era in quel momento ancora in grado di riconoscere. L’interesse del
gruppo nei suoi confronti dopo un tale intervento si riaccese e, da quel
momento in poi egli fu invitato a giocare di nuovo. In un gioco importante
egli fu chiamato a interpretare prima se stesso, poi in un’inversione di
ruolo, a giocare la posizione della madre ansiosa che emanava un senso di
catastrofe a causa del ritardo del marito nel rincasare. Matteo
naturalmente mostrò difficoltà nell’interpretare la parte della madre,
ma fu molto aiutato dagli altri partecipanti (Io ausiliari). Questi
usarono il doppiaggio ed il rispecchiamento, cosicchè l’ambivalenza di
Matteo verso la madre poté essere riconosciuta e contenuta da se stesso
con l’aiuto degli altri. Mentre Matteo stava giocando la parte di sua
madre, le sue espressioni mimico facciali cambiavano considerevolmente e
la sua postura diveniva passiva e claunesca. Egli appariva poi stressato e
senza respiro, probabilmente come molto spesso appariva la povera madre
nella vita reale, quando era presa da attacchi di asma. Il senso di
catastrofe di Matteo fu parzialmente supportato dagli Io ausiliari che
cercarono di tenere insieme l’esperienza frammentata; quando gli
ausiliari abbandonarono la scena, il direttore in posizione di alle spalle
del paziente ancora nel ruolo della madre, invitò Matteo a continuare nel
ruolo materno a verbalizzarne l’eventuale pensiero (soliloquio). Matteo
disse: sono così dipendente da mio marito che non immagino come potrei
vivere da sola, se davvero gli capitasse un incidente ….. avrei soltanto
Matteo su cui contare. Il paziente realizzò in pochi minuti,
probabilmente per la prima volta, quanto la madre avesse bisogno di lui e
quale funzione fallica gli venisse richiesta.….Lei contava su di me,
infatti, non stimava per nulla mio padre… anch’io non l’ho mai
apprezzato ….ma, lei si aspettava da me veramente troppo …. Solo ora
posso capire che non potevo essere me stesso e che lei era più dipendente
da me, rispetto a quanto io lo fossi da lei stessa……Matteo ripeté al
gruppo che la madre non stimava per nulla il marito, un ragioniere
consulente, sebbene ne fosse legata morbosamente. In
continua
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