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Il Soccorritore – Madre.


Giovanna Rodorigo

 

Dal latino succurrere composto da sub (sotto) e currere (correre), il termine soccorso significava in origine correr sotto, divenendo poi accorrere, venire in aiuto quando il bisogno incalza. Il “soccorso” è un intervento attivo mediante il quale una persona viene tratta in salvo da una situazione di pericolo a cui non può sottrarsi da sola e che gli ha anche causato del danno. L’attività di soccorso si caratterizza per il coinvolgimento della sfera delle emozioni e delle strategie di coping utilizzate dal Soccorritore stesso, per cui egli finisce chiaramente per essere implicato attivamente dalla vittima e dall’emergenza stessa derivandone la necessità di essere pertanto in grado di saper gestire responsabilmente le emozioni proprie ed altrui. E questo è per l’appunto il paradosso di chi opera come Soccorritore nelle emergenze: dover cioè necessariamente “funzionare in modo sano” in una condizione in cui a tutti gli altri è invece concesso di “funzionare in modo anomalo”. Le ricerche in campo scientifico sugli effetti a breve e lungo termine sulle reazioni psicologiche nei Soccorritori sono piuttosto recenti; pionieristico è il lavoro di Lifton del 1967 volto a verificare gli le conseguenze delle devastazioni conseguenti allo sgancio della bomba atomica su Hiroshima: gli operatori del soccorso tendevano a mostrare reazioni di rabbia, ostilità, odio e risentimento che interferivano nella vita quotidiana. Ad oggi possiamo affermare con certezza scientifica che ripetute esperienze di esposizione a situazioni drammatiche portano gli Operatori dell’Emergenza (soprattutto quelli che arrivano per primi sul luogo) al rischio di sviluppare diversi disturbi, proprio per il reiterato ed inteso contatto nel tempo con i fattori di stress. Tra gli eventi maggiormente stressanti che il Soccorritore deve fronteggiare ritroviamo in primis la morte o il ferimento grave di un collega; seguono gli eventi che coinvolgono bambini o neonati; gli eventi che coinvolgono molte persone; scenari particolarmente cruenti; la perdita di una vittima dopo ripetuti tentativi di trarla in salvo o di mantenerla in vita; la presenza di stimoli particolarmente angosciosi. Come fattori stressanti tipicamente legati all’attività del soccorso ritroviamo inoltre la necessità di agire e prendere decisioni in breve tempo e con lucidità, insieme al notevole carico fisico e mentale che ciò comporta; la possibile carenza di risorse necessarie rispetto a quelle realmente disponibili sul luogo; l’esposizione diretta del Soccorritore a condizioni rischiose o pericolose per la propria salute; non riuscire nel proprio intervento, con la possibile imputazione a se stesso del fallimento. Inevitabilmente possono in aggiunta innescarsi meccanismi di identificazione proiettiva con la vittima o con le circostanze che portano il Soccorritore a rivivere eventi passati o a stabilire un legame psichico con la persona soccorsa, un legame talora così rigido da non volerla lasciarla andare o vivere la sua guarigione come una vera e propria perdita affettiva. Da non dimenticare poi la possibile eventualità che il Soccorritore non possa sentirsi adeguato all’emergenza o al contesto d’azione, sia dal punto di vista professionale che umano: chi mai, dei soccorritori intervenuti l’11 settembre 2001 a Grund Zero, avrebbe potuto dirsi pronto ad affrontare un’emergenza dai risvolti umani e professionali al di fuori di ogni scenario immaginabile dalla mente umana. Ecco dunque che il Soccorritore è chiamato a dover gestire attivamente e responsabilmente la propria condotta non soltanto durante l’azione ma anche dopo che essa sia esaurita: il dopo comporta infatti la rielaborazione del carico emotivo represso durante l’azione, l’insieme dei vissuti indotti dalla separazione dagli altri soccorritori e le aspettative relative al ritorno alla vita quotidiana. E’ dopo l’azione di soccorso che l’Operatore può trovarsi a sperimentare sentimenti e desideri ambivalenti oscillanti tra la voglia di tornare a casa insieme al timore della conflittualità con i familiari che teme non possano capirlo. Inevitabilmente l’esperienza del soccorso cambia profondamente l’Operatore che a casa non sarà più lo stesso; avrà difficoltà nel distendersi, nel rilassarsi, nell’addormentarsi; potrà sentirsi triste, teso, o rivivere ancora gli episodi trascorsi accompagnati dai relativi vissuti emotivi particolarmente forti. Possiamo dunque immaginare il ruolo del Soccorritore rapportandolo a quello di una madre alle prese con il suo bambino: la Vittima e l’emergenza generano emozioni intollerabili, elementi beta, terrore senza nome, che proiettate nel Soccorritore - Madre necessitano di accoglienza, tolleranza, trasformazione in elementi alfa. Le implicazioni che ne derivano sono difficilmente controllabili e minano continuamente l’equilibrio psichico dell’aiutante generando spesso una sintomatologia psicosomatica con disturbi comportamentali quali depressione, stanchezza, irritabilità, insonnia, ansia, affaticamento eccessivo, isolamento, fino allo sviluppo di veri e propri disturbi psichiatrici, tra cui il Disturbo Post Traumatico da Stress, il Disturbo Acuto da Stress, la Depressione, lo Sviluppo della sindrome del Burnout, lo sviluppo di Condotte di Abuso di Sostanze. L’esperienza del Soccorritore che è empaticamente vicino alla vittima è per questo stata definita come una traumatizzazione vicaria: un processo cumulativo tramite cui l’esperienza interna del Soccorritore risente negativamente dell’esperienza traumatica della Vittima nella sfera cognitiva (con comparsa di pensieri intrusivi, eccessiva preoccupazione), nella sfera somatica (aumento della frequenza cardiaca, del respiro e della pressione, nausea, vomito, diarrea, sudorazioni), nella sfera emotiva (da una massiccia identificazione con la vittima fino a stati depressivi, tristezza, insieme a disturbi del sonno, apatia, debolezza, vulnerabilità e senso di inadeguatezza); nella sfera relazionale (allontanamento dalla famiglia, dagli amici, dal partner perché ritenuti non in grado di comprendere; insieme all’aumento delle condotte di abuso di sostanze come alcool, droghe, fumo). E’ chiaro dunque che da una normale condizione di stress positivo, un comportamento adattivo volto alla messa in allarme di tutto l’organismo utile alla sopravvivenza, il Soccorritore rischia nel tempo di sviluppare stress negativo, caratterizzato da un prolungarsi dello stato di allarme dovuto alla continuità della percezione del pericolo con ripercussioni sul fronte psicologico e sul fronte fisico. Il processo elaborativo Soccorritore - Madre può dunque non funzionare quando il contenitore è troppo fragile, stanco, impreparato, spaventato, o rigido, così da non riconoscere le emozioni, ignorandole, non elaborandole, con ripercussioni profonde e significative delle aree dell’identità personale e professionale, il sistema dei valori e delle credenze, il livello di autostima personale, dell’autoefficacia personale, la percezione della propria competenza. E’ per questo che è necessario ricorrere a fattori di prevenzione e di protezione contro la traumatizzazione vicaria quali:
 un’adeguata formazione e preparazione professionale;
 l’attribuzione di un ruolo che rispecchi adeguatamente le proprie competenze, attitudini e caratteristiche di personalità;
 la profonda conoscenza di se stesso, dei propri limiti e delle proprie capacità;
 l’accurata informazione sia dei rischi fisici che psicologici,che delle più efficaci strategie di prevenzione e organizzazione del lavoro; 
 il supporto psicologico immediato e a lungo termine per il Soccorritore e per la sua famiglia;
 la capacità di eseguire autonomamente tecniche di rilassamento;
 poter costruire e contare su una catena di supporto umana, specie sui colleghi da cui ci si può sentire maggiormente compresi;
 partecipare attivamente a gruppi terapeutici e di auto mutuo aiuto;
 sperimentare interventi attivi post-intervento (Defusing e Debriefing);
 l’acquisizione progressiva di abilità per gestire l’evento critico temuto (Esercizi di immaginazione guidata,Role- Playing,Visione di filmati relativi a situazioni reali traumatiche, etc.);
 il trattamento del trauma (EMDR).

Tali fattori di protezione sono considerati utili in quanto fattori di prevenzione dei disturbi comportamentale specie nella misura in cui fungono da protezione contro gli stressors che subiscono i Soccorritori, diminuendo il grado di vulnerabilità degli stessi e aumentando l’efficacia personale nel fronteggiarli e nel rielaborarli consapevolmente.



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