“Sindrome”
dell’extra Y e Disturbo Borderline di Personalità:
un
caso clinico
A.
Didonna, A. Lombardo, M. Biondi, P. Pancheri
III
Clinica Psichiatrica Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
In
questo lavoro gli autori presentano un caso raro di associazione della
trisomia XYY e Disturbo Borderline di Personalità (secondo il DSM-IV),
evidenziando tale particolarità, essendo questa anomalia genetica
riscontrata molto frequentemente in soggetti maschili con Disturbo
Antisociale di Personalità, spesso condannati per crimini violenti.Il
comportamento dei soggetti XYY è stato oggetto di studi e controversie
fin dal 1965, i quali hanno sottolineato un alto tasso di aggressività
precoce e violenza eterodiretta, legato direttamente alla presenza del
cromosoma sovrannumerario.
I soggetti affetti da tale “sindrome” presentano inoltre, secondo i
dati riscontrati in letteratura, altre caratteristiche peculiari quali
alta statura e robusta costituzione, un livello intellettivo inferiore
alla norma, l’assenza di sentimenti di colpa, comportamenti manipolativi
motivati da desideri di potere, profitto o guadagni materiali e una bassa
scolarità.
Dall’osservazione di questo caso in studio emergono invece differenti
caratteristiche di personalità che non depongono a favore della
predisposizione alla delinquenza e alla sociopatia, determinata dal
cosiddetto “cromosoma del crimine”.
Gli autori si soffermano a considerare uno squilibrio dello sviluppo
psicofisico come fonte di inadeguata elaborazione del proprio schema
corporeo e della conseguente reazione impulsivo-aggressiva, in questo caso
autodiretta.
La valutazione diagnostica ha consentito così l’ottimizzazione dei
risultati farmacoterapeutici, tenendo conto dell’atteggiamento
ambivalente del paziente nella compliance.
INTRODUZIONE
Il
single case che presentiamo offre uno spunto di riflessione riguardo la
personalità dell’individuo con “sindrome” genetica dell’extra Y.
Si tratta di un caso raro di associazione tra tale “sindrome” e
Disturbo Borderline di Personalità.
La condizione XYY è un’anomalia dei cromosomi sessuali, che comporta
scarse modificazioni fisiche: i maschi affetti possiedono un cromosoma Y
sovrannumerario ed un’altezza media che supera 1,80 m. Viste le limitate
caratteristiche fisiche, è stata perfino messa in discussione
l’applicabilità stessa del termine “sindrome”.
Essa è stata descritta per la prima volta trenta anni fa da Sandberg (1)
è la sua prevalenza è stata stimata essere di 1/1000 neonati maschi (2).
Da allora sono stati effettuati diversi studi con risultati spesso
contrastanti, specialmente riguardo il comportamento dei soggetti
affetti.Da studi realizzati nelle carceri è stata evidenziata una
prevalenza maggiore di tale anomalia cromosomica di dieci volte, tra i
detenuti, rispetto a quella riscontrata alla nascita, suggerendo
l’ipotesi di un maggior coinvolgimento in comportamenti criminali con
manifestazioni aggressive eterodirette da parte di tali soggetti. Essi
presenterebbero infatti un alto tasso di aggressività precoce, legato
direttamente alla presenza del cromosoma sovrannumerario. Fu inoltre
osservata una corporatura superiore alla media (3) ed un livello
intellettivo inferiore alla norma (4). Da queste prime ricerche sarebbe
nato lo stereotipo del soggetto “alto, violento ed eventualmente di
intelligenza inferiore” ((4,5).Il fatto di aver comunque esaminato
preferenzialmente uomini alti ha comportato dei bias di selezione con una
conseguente sovrastima della prevalenza. (5) Inoltre non sarebbero stati
presi in considerazione altri fattori confondenti dei detenuti quali il
livello di funzionamento intellettuale e il livello di istruzione
raggiunto e il campionamento sarebbe stato insufficiente. I soggetti
venivano reclutati esclusivamente dalle istituzioni carcerarie e i gruppi
di controllo erano inadeguati. (6). Uno studio più rigoroso condotto da
Witkin (7), mostrava una prevalenza dello 0.28% della “sindrome”
dell’extra Y tra soggetti di alta statura nella popolazione generale, in
Danimarca.. Il 42% di questi individui erano imputati per crimine,
tuttavia , una volta approfonditi i piani socioeconomico, intellettivo e
della scolarità, emergeva una riduzione della quota di criminalità. La
tipologia dei crimini commessi riguardava soprattutto atti rivolti contro
la proprietà, mostrando una totale assenza di interiorizzazione delle
norme sociali (piccoli furti, furti d’auto, violazioni di domicilio,
incendio doloso, peculati e così via).Tra i soggetti XYY era stato
comunque riscontrato un maggior tasso di condanne, rispetto ai soggetti XY
ed una altezza maggiore, che gli autori non correlavano tuttavia con la
criminalità. Un altro dato importante riportato è quello relativo
all’indice del livello di istruzione e di intelligenza che risulta
essere significativamente inferiore ai maschi XY, riguardando ancora di più
gli individui con precedenti . Naturalmente ciò non implica
necessariamente che i soggetti con minore livello di funzione intellettiva
commettano più crimini, in quanto potrebbero essere catturati con
maggiore facilità. In ogni caso i dati danesi sembrano indicare che
l’alto tasso di criminalità fra i maschi XYY sia dovuto al leggero
deficit di funzionamento intellettivo.Già da questa osservazione si
evince la necessità di contrastare le opinioni correnti al tempo sulla
“sindrome” che tendevano a stigmatizzarne gli individui affetti,
condannandoli in maniera arbitraria e ipergeneralizzata, anche grazie al
contributo delle stampa scandalistica. In alcuni casi si è giunti alla
decisione di interrompere la gravidanza, alla notizia dell’alterazione
cromosomica (7,25). Sulla base degli studi scientifici preliminari erano
stati addirittura proposti screening di massa dei neonati per
un’individuazione precoce di tali soggetti, allo scopo di poter
intervenire con misure educative, assistenziali e riabilitative contro il
supposto “istinto ad uccidere”. Tale aggressività “innata”, da
altri autori (7,5) è da considerarsi quale manifestazione diretta delle
presenza di un cromosoma sessuale sovrannumerario, che determinerebbe
alterazioni aspecifiche del sistema nervoso centrale con conseguente
livello intellettivo limite, essendo ciò presente sia in soggetti XYY,
che in pazienti affetti dalla sindrome di Klinefelter (XXY).Noel (8),
successivamente, utilizzando diversi
test psicologici e di intelligenza, non trovò alcuna evidenza di livelli
inferiori alla norma di intelligenza o di particolare aggressività
eterodiretta nel gruppo degli individui XYY esaminati. Al contrario
Theilgaard (9) evidenziò tale legame ed in particolare notò come
l’aggressività fosse diretta nei confronti della moglie. Hook (2)
propone di considerare come rilevante nel comportamento l’aumentata
impulsività, piuttosto che un livello maggiore di aggressività
eterodiretta. Da altri autori (10) vengono menzionate ulteriori
caratteristiche quali l’immaturità, l’instabilità emotiva, la bassa
tolleranza alla frustrazione e ancora l’impulsività, sebbene non sia
stato effettuato uno studio controllato.La necessità di approfondire il
supposto legame tra una condizione psicopatologica e il genotipo XYY, è
evidente anche in campo criminologico: troppo spesso in passato si è
attribuita con estrema facilità l’infermità mentale a tali soggetti,
soltanto in virtù della loro condizione genetica. A tale proposito Freyne
(11) riporta la discussione nel campo psicosociale che contribuirebbe al
manifestarsi delle fantasie aggressive nei confronti di persone. Ancora
oggi diversi studi sembrano confermare un legame diretto tra la
“sindrome” e una storia criminale caratterizzata da manifestazioni
aggressive dirette contro persone o contro la proprietà, con assenza di
sensi di colpa (12-13-14) che sembrerebbero ascriversi ad un quadro
antisociale di personalità (secondo il DSM IV).Al contrario altri autori
non hanno riscontrato nei loro studi una tale correlazione (15),
ipotizzando diverse soluzioni quali un possibile ruolo di un aumento di
testosterone in circolo, poi smentito dagli stessi, o(6)una certa
variabilità di espressione di queste caratteristiche (16).Il caso che
presentiamo riguarda un paziente affetto da “sindrome” XYY con un
Disturbo Borderline di Personalità che si pone proprio in questo ambito e
riveste un particolare interesse clinico, suggerendo alcuni spunti di
riflessione per la formulazione di nuove ipotesi interpretative sugli
eventuali rapporti esistenti tra l’anomalia genetica e disturbi di
personalità.
Descrizione
del caso
Il
paziente è un giovane di 21 anni, giunto in visita all’ambulatorio
della III Clinica Psichiatrica dell’Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”, inviato dal pediatra curante, a causa di rilevate
“turbe psichiche a contenuto aggressivo”.Il medico indicava inoltre la
presenza di un cariotipo XYY, riscontrato in epoca precoce dello sviluppo
del paziente.
L’anamnesi raccolta durante un primo colloquio individuale, evidenziava
alcuni elementi esplicativi, risultando tuttavia negativa per malattie
psichiatriche.
Il paziente vive con i propri genitori; gli altri germani con le proprie
famiglie acquisite.
E’ nato da parto eutocico e l’allattamento è stato materno.
Durante la fanciullezza la madre, pensando che il figlio fosse affetto da
patologia ipofisaria non meglio precisata, a causa della sua struttura
corporea, lo portava in visita presso uno specialista endocrinologo;
sarebbe stata in seguito accertata la “Sindrome” dell’extra Y.
Il paziente ha frequentato regolarmente, ma con scarso profitto, la scuola
dell’obbligo, manifestando poca motivazione agli studi e una certa
difficoltà nell’instaurare relazioni sociali con il gruppo dei pari,
che a sua detta, sottolineava la sua “singolarità” nella costituzione
fisica.
Già durante l’adolescenza comincia ad evidenziarsi l’atteggiamento
ambivalente assunto nei rapporti interpersonali, non solo nell’ambito
delle amicizie: gli insegnanti venivano esaltati o svalutati in diversi
momenti, secondo una modalità oscillante e discontinua.
Le stesse dinamiche relazionali possono essere riscontrate all’interno
del contesto familiare. Anche nei rapporti con i genitori si nota la
stessa ambivalenza, il paziente ricerca la loro vicinanza, ricevendone, a
sua detta, un “rifiuto”, accusandoli di “non essere capaci di
comprendere i suoi reali bisogni”. Tale sentimento lo prova anche nei
confronti del fratello maggiore, che non lo avrebbe aiutato
nell’inserimento nel gruppo amicale e nel migliorare il clima
relazionale con i genitori. Delle due sorelle maggiori, entrambe sposate,
il paziente accenna soltanto.
Ha conseguito la qualifica professionale di litografo, dopo aver
frequentato tre volte la prima classe e le altre due regolarmente,
proseguendo gli studi presso la stessa scuola per il raggiungimento del
diploma finale (alla fine del quinto anno), che però non ottiene.
E’ stato esonerato dal Servizio Militare, a sua detta, in seguito agli
accertamenti medici.
Si dedicherà in seguito ad una saltuaria attività di arbitraggio, presso
una società sportiva di pallavolo, resa difficoltosa da frequenti litigi
con i partecipanti alla partita.
Non riferisce alcun rapporto affettivo, nemmeno di tipo superficiale,
lamentando una propria incapacità nel proporsi affettivamente,
ritenendosi “timido, impacciato e brutto” e per paura di essere
“rifiutato”.
Non ha mai fatto uso di sostanze stupefacenti, non beve alcolici, né
fuma.
All’ingresso in ambulatorio il paziente, di alta statura, appariva
sovrappeso, di aspetto adeguato alla circostanza, la postura è piuttosto
curva e rigida, l’atteggiamento nel complesso disponibile, ma con note
di reattività, irascibilità ed impulsività che lasciano intravedere un
temperamento irritabile.
Queste caratteristiche di instabilità e ambivalenza riemergeranno
fortemente durante il rapporto terapeutico ed in particolare riguardo alla
compliance farmacologica: il paziente accetta di buon grado la terapia in
un primo periodo, per poi sospenderla in parte di propria iniziativa,
rompendo addirittura a relazione terapeutica.
La motivazione che conduce il paziente in visita è l’inadeguata
elaborazione dell’esito dell’anno scolastico (la non ammissione agli
esami finali), in alcuni momenti vissuto come “sconfitta meritata”,
con l’espressione di sentimenti autosvalutativi e di colpa, in altri,
come “ingiustizia” impartita da insegnanti “che non l’hanno saputo
capire”.
Il paziente fa aperta richiesta ai clinici di trovare uno spazio per
essere ascoltato e compreso, lamentando “tristezza, risentimento” e
bassi livelli di autostima.
Egli non nega, né nasconde che questi sentimenti con le conseguenti
manifestazioni comportamentali sono sempre stati presenti: infatti avrebbe
mostrato atteggiamenti autoaggressivi fino ad arrivare al tentativo di
suicidio, avvenuto all’età di sedici anni, in seguito ad un litigio col
padre, a sua detta, per un’offesa subita.
L’episodio viene ricordato con toni d’ira, rammarico, tristezza,
amarezza e “odio”.
Il paziente sottolinea la facilità con cui si trova in contrasto con i
genitori e le frequenti discussioni, nonostante una forte suggestionabilità;
tuttavia riferisce di non aver mai agito il proprio sentimento di rabbia,
se non verbalmente (“non ho mai fatto a botte, perché non voglio essere
abbandonato”).
Sebbene quindi mostri una certa reattività nei confronti delle
“imposizioni” genitoriali, il più delle volte finisce per subirle,
perché si sentirebbe in colpa se non è conforme al ruolo in cui viene
identificato.
Rimprovera ai genitori di essere il loro “caprio espiatorio”,
mostrandosi rivendicativo e oppositivo nei confronti di accadimenti ormai
remoti, che ricorda in dettaglio, come anche nei riguardi del loro attuale
atteggiamento, a detta del paziente, di scarsa collaborazione nella
ricerca di un lavoro.
Trattando la problematica del lavoro riemergono sentimenti abbandonici,
poiché i familiari “non gli troverebbero un lavoro che a lui piace”.
Non sembra disposto ad accettare una qualsiasi attività lavorativa,
mostrando un’evidente ambivalenza, quando afferma che sarebbe
felicissimo di trovare un impiego di pulizie.
Decide pertanto di aspettare in maniera passiva una risposta dall’unica
struttura lavorativa, presso cui si è rivolto.
Anche nelle relazioni sociali con i coetanei, ricercate all’esterno
della famiglia, dove si sentirebbe “limitato”, incontra grosse
difficoltà: tende infatti a ripetere le stesse modalità
sadomasochistiche di rapporto. Sperimentando un nuovo rifiuto, viene
presto emarginato dai coetanei, allontanandovisi e accrescendo sempre più
la propria convinzione che il suo “sia l’unico modo giusto” di stare
con gli altri.
La non accettazione dei compagni viene elaborata in termini persecutori e
comporta un maggior senso di inadeguatezza, riconosciuto con difficoltà
dal paziente, che si rifugia nuovamente in famiglia, in una situazione che
comincia ad “odiare”, ma che gli fa comunque meno paura
dell’esterno.
Gli insuccessi sperimentati sia con le amicizie, sia con le ragazze
appaiono strettamente correlati all’immagine negativa del proprio schema
corporeo. Il paziente non accetta la propria costituzione fisica,
mostrandosi fortemente critico circa il suo aspetto estetico, che gli
viene spesso sottolineato dagli stessi genitori (il paziente lamenta al
riguardo un profondo senso di vuoto, tale da averlo spinto a gesti
autolesivi). Tuttavia l’immagine complessiva di sé è complessivamente
instabile, considerati i marcati cambiamenti di atteggiamento e di
considerazione delle proprie risorse e abilità. Il paziente tende in
alcuni momenti a sottolineare i propri punti di forza, nello svolgere le
attività in cui si impegna ( “tutti mi cercano per fare l’arbitro,
perché sono bravo”), mentre in altri li minimizza (“sono soltanto uno
degli arbitri di un centro sportivo”).
L’anamnesi familiare è risultata negativa per malattie psichiatriche.
Il paziente non riferisce alcuna patologia degna di nota; al momento in
cui è giunto alla nostra osservazione non assumeva alcuna terapia.
VALUTAZIONE
PSICOMETRICA
La
valutazione psicometrica è stata effettuata mediante somministrazione dei
seguenti strumenti:
_
MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory) (17)
_
SCID (Intervista Clinica Strutturata per il DSM-IV) (18)
_
DIB-R (Diagnostical Interview for Borderline-Review) (19)
_
BPRS (Brief Psychiatric Rating Scale) (20)
_
HAM-A (Hamilton Anxiety Rating Scale) (21)
_
HAM-D (Hamilton Depression Rating Scale) (22)
_
STAS-S (State-Trait Aggressiveness Scale-State) (23)
_
STAS-T (State-Trait Aggressiveness Scale-Trait) (24)
MMPI, SCID,
DIB-R
L’MMPI
compilato dal paziente all’ingresso in ambulatorio, descrive, secondo
l’interpretazione APAP (25), una persona che sembra dare discreta
importanza alla possibilità di fornire un’immagine di sé socialmente
sfavorevole.
La descrizione secondo l’APAP prosegue così: “il paziente presenta un
tono dell’umore tendenzialmente depresso con astenia e talvolta
riduzione dell’iniziativa.
Mostra difficoltà nel prevedere le conseguenze dei propri comportamenti
spesso caratterizzati da valenze ostili ed oppositive nei confronti
dell’ambiente. Tali tratti non sembrano comunque suscitare elevate
manifestazioni di ansia libera.
Può avere un’eccessiva fiducia nelle proprie possibilità, mostrando
ipervalutazione di sé, ma sono possibili oscillazioni in senso opposto
con dubbi sulle proprie reali possibilità operative.
Può presentare un’eccessiva tendenza a dare importanza alle proprie
funzioni somatiche: ciò può essere utilizzato al fine di ottenere
gratificazioni di tipo affettivo.
Si rileva una certa tendenza a mostrarsi compiacente, imitativo, e a
strumentalizzare il rapporto interpersonale”.
Il paziente riporta un punteggio di 15 alla sezione della Personalità
Borderline, dell’intervista clinica strutturata per i disturbi di
personalità “SCID”, mentre i punteggi delle altre sezioni, relative
ad altri disturbi di personalità non appaiono significativi.
Anche la valutazione complessiva della DIB-R, depone per una personalità
Borderline, essendo il suo punteggio totale superiore a 7.
BPRS, HAM-A,
HAM-D, STAS-S, STAS-T
Le
scale di valutazione psicometrica sono state somministrate alla prima
visita,dopo 15, 30 e 60 giorni dall’inizio della terapia farmacologica (Tab
I)
Tabella
I.- Andamento dei punteggi delle scale di valutazione dello stato
psicopatologico.
|
Baseline
|
15
giorni
|
30
giorni
|
60
giorni
|
BPRS
|
35
|
27
|
33
|
23
|
HAM-A
|
17
|
11
|
7
|
3
|
HAM-D
|
23
|
13
|
17
|
6
|
STAS-S
|
22
|
20
|
23
|
16
|
STAS-T
|
22
|
28
|
26
|
19
|
VALUTAZIONE
NEUROCOGNITIVA
Il
paziente è stato valutato sul piano del livello intellettivo mediante
l’uso della Wechsler Adult Intelligence Scale (WAIS). Alla
somministrazione della scala, il ragionamento aritmetico, la memoria di
cifre, specialmente nella serie inversa, la capacità di astrazione,
l’associazione di simboli a numeri e la capacità di modificare i propri
schemi cognitivi risultano alterate, ed il paziente si mostra insofferente
e a tratti rinunciatario e sfiduciato rispetto alle proprie capacità di
“ottenere buoni risultati.” Il Q.I. totale è stato 91, il Q.I.
verbale, 98 e il non verbale, 83.
DIAGNOSI E
TERAPIA
Dai
dati emersi dall’assessment clinico è emerso un chiaro quadro di
Disturbo Borderline di Personalità, secondo il DSM IV.Il
paziente è stato inizialmente trattato farmacologicamente con una terapia
antipsicotica a base di modalina 2mg/die, per il disturbo del
comportamento e con una terapia antidepressiva a base di fluoxetina 20mg/die,
per le valenze depressive e per il controllo dell’impulsività e della
autoaggressività.
Il paziente è stato seguito ambulatoriamente con controlli periodici ogni
quindici giorni; da tali controlli è emersa una riduzione della quota di
aggressività, con miglioramenti sul piano delle relazioni interpersonali,
meno improntate allo scontro diretto, seppure solo verbale.
Ciò ha consentito un riavvicinamento del paziente al gruppo amicale, con
una sua frequenza regolare, una ripresa dell’attività lavorativa
saltuaria in qualità di arbitro e la comparsa di una buona progettualità
a breve e a medio termine.
Racconta di essersi organizzato le vacanze con gli amici, mostrando di
apprezzarne la compagnia.
Il paziente ha iniziato a mostrare inoltre una certa iniziativa nel voler
trovare una sistemazione lavorativa stabile, anche se sembrava poco deciso
sul campo di applicazione: a volte rifiutava l’idea proposta dalla madre
di fare il magazziniere, perché attività era ritenuta poco gratificante
e “poco degna di lui”, per poi affermare con decisione di essere
“disposto a tutto, pure a fare lavori umili”.
Ha cominciato comunque a inviare diversi curriculum vitae a varie ditte,
dove le capacità richieste erano effettivamente quelle da lui possedute,
mostrando una buona adesione al piano di realtà.
Persistevano ancora le difficoltà di rapporto intrafamiliari, per una
frequente oscillazione del tono dell’umore: il paziente appariva
improvvisamente triste e sfiduciato circa le sue possibilità e circa
l’affetto dei suoi familiari, che a sua detta gli veniva negato e per la
presenza di frequenti acting-out.
Si notano atteggiamenti di sfida ed oppositività durante i colloqui, nei
confronti dei genitori presenti.
Sembrava acritico nell’attribuire la responsabilità delle continue
discussioni “sempre agli altri”, mostrandosi soltanto superficialmente
più tollerante, ma sentendosi in realtà “un Re”, con una
discontinuità nell’immagine di sé.
Dopo circa un mese dall’inizio del processo clinico viene pertanto
aggiunto, sul piano terapeutico, uno stabilizzante del tono dell’umore:
carbamazepina 600mg/die.
Inizialmente il paziente sembra trarre giovamento da tale terapia,
riferendo una riduzione della labilità affettiva e dei dissidi familiari.
I rapporti interpersonali appaiono improntati ad una minore instabilità e
l’impegno nei confronti dell’attività lavorativa più costante e
presente.
Proprio in questo periodo di riscontrato miglioramento, il paziente
riferisce durante una visita di aver sospeso arbitrariamente la terapia
con carbamazepina, giustificando tale atto con una “fobia delle
analisi”, che gli erano state consigliate di effettuare periodicamente.
Nonostante sia stato effettuato un tentativo di rinforzo della compliance
farmacologica, che invece fino a quel momento si era mostrata
soddisfacente, il paziente interrompe la relazione terapeutica.
DISCUSSIONE
Dai
dati di letteratura riportati, emerge come la “sindrome” dell’extra
Y sia stata all’inizio correlata con la criminalità; i criminologi
cercavano quasi come suo attestato la presenza di quella specifica mappa
cromosomica, considerando tale sindrome come sinonimo di sociopatia.Gli
individui ai quali veniva diagnosticata questa anomalia genetica venivano
etichettati automaticamente come “psicopatici”, determinando tutta una
serie di conseguenze per l’individuo di ordine sociale, come
l’emarginazione e l’isolamento, che, a volte lo spingevano ad assumere
il ruolo già segnato.
Questo fattore, potrebbe aver dato origine ad una interpretazione non
appropriata della relazione che intercorre tra la sindrome genetica e
l’atteggiamento criminale, secondo l’indirizzo prettamente
organicistico seguito dalla criminologia dell’epoca.
Alcuni studi successivi si sono distanziati da tale posizione, confermando
l’associazione tra la “sindrome dell’extra Y e alcune
caratteristiche fisiche quali un’altezza superiore alla media e una
marcata robustezza fisica con un deficit del funzionamento intellettivo,
causa quest’ultimo del comportamento antisociale.
Soltanto recentemente è stato smentito il legame con l’aggressività
eterodiretta, sottolineando invece la presenza di altre disposizioni
temperamentali quali l’impulsività, la bassa tolleranza alla
frustrazione, l’instabilità emotiva e l’immaturità.
Il nostro caso clinico si inserisce in questa prospettiva, presentando
diverse caratteristiche sopra riportate, che ci hanno condotto a non
considerare la “sindrome”dell’extra Y come necessariamente legata in
maniera univoca alla criminalità, ma ad un “temperamento irritabile”
di natura costituzionale e ancorato alla struttura biologica.
Basandoci sulla descrizione recente di Millon di tale temperamento ci
sembra di ravvisare tra i criteri descrittivi alcune caratteristiche
presenti nel caso clinico riportato, come anche in pazienti con disturbo
antisociale di Personalità.
I criteri per il temperamento irritabile comprendono almeno cinque tra le
seguenti caratteristiche:
-
irascibile e collerico
-
-emotività talmente intensa che anche attività normalmente
piacevoli risultano spesso intollerabili
-
-tendenza a rimuginare
-
-ipercritico e intollerante (lamentoso)
-
-non accetta gli scherzi
-
-inopportuno e invadente
-
-impulsivo
Nel
nostro paziente sono presenti tutti i punti riportati eccetto
l’invadenza e l’essere inopportuno nelle situazioni, e in un paziente
con disturbo antisociale di personalità si possono ugualmente riscontrare
alcuni di questi criteri quali l’essere collerico, intollerante e
ipercritico, il non accettare gli scherzi e l’impulsività. Anche
l’alto livello di sofferenza e la grande difficoltà sul piano dei
rapporti sociali e interpersonali, considerati dallo stesso autore come
parti integranti del temperamento irritabile, sono presenti in entrambi i
casi. Inoltre dal test MMPI effettuato dal paziente risulta un alto valore
del fattore PD o “deviazione psicopatica” che descrive una facile
liberazione di valenze ostili ed oppositive nei riguardi dell’ambiente,
profilo appartenente anche ad un quadro antisociale.
Il fatto di aver evidenziato tali caratteristiche temperamentali comuni,
ci fa ipotizzare un possibile legame tra la “sindrome” in esame ed un
determinato temperamento che poi si articolerebbe in diverse personalità
come quella antisociale e quella borderline.
La personalità risulterebbe infatti dall’interazione di fattori
costituzionali ed acquisiti, non misconoscendo l’influenza dei fattori
familiari, educativi, sociali ed ambientali in genere.
Il temperamento infatti rimanda a un substrato biologico-funzionale, da
cui deriverebbe un diverso “stile” di reazione agli stimoli-eventi,
registrandosi livelli differenti di reattività, di slancio vitale e di
strutturazioni cognitive, mentre il carattere è inteso come
quell’insieme di disposizioni più o meno stabili della personalità
costruite sulle interazioni ambientali.
Le caratteristiche costituzionali del paziente che contribuiscono alla sua
taglia elevata non ci sembrano quindi legate in maniera diretta
all’aggressività , ma piuttosto in maniera indiretta, vista la reazione
familiare a tale condizione (i genitori lo hanno deprezzato spesso proprio
a causa del suo fisico sottolineando l’associazione
“grossezza-stupidità”) che hanno certamente contribuito alla
formazione di uno schema corporeo autosvalutativo e alla conseguente
aggressività, in questo caso autodiretta.
L’influenza ambientale si esplicherebbe secondo varie modalità,
supportate dai diversi modelli teorici: il rapporto particolare del
paziente con la madre o con la coppia genitoriale, o ancora col gruppo dei
pari e alla famiglia in genere.
Lo studio di un single case, pur non
consentendo generalizzazioni, permette di operare un confronto tra dati
clinici e modelli interpretativi. In tal senso si è ipotizzato che
l’anomalia genetica riportata possa determinare un particolare
temperamento, forse riscontrabile anche nella personalità
antisociale.Questo caso offre quindi un nuovo spunto di riflessione per
approfondire le correlazioni tra anomalie genetiche e disturbi di
personalità.
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